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Finanziaria e autonomie locali

(16 Novembre 2005)

La Corte Costituzionale ha bocciato le norme del decreto “taglia spese” del 2004, che imponevano tagli a Enti Locali e Regioni.

I giudici dell'alta Corte hanno considerato che gli articoli in questione ledono l'autonomia degli Enti Locali, in relazione ai nuovi articoli compresi nel titolo V della Costituzione.

Nel dispositivo della sentenza si intrecciano due elementi, quello dell'impossibilità per lo Stato di imporre alle Regioni, alle Province, ai Comuni, vincoli sulle singole voci di spesa (una imposizione del genere contrasta con gli articoli 117 e 119 della Carta Fondamentale), e quello della potestà statale di esercitare la determinazione dei “principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica”.

Da questo intreccio è sortita la valutazione secondo la quale sono legittimi i tetti di spesa di carattere generale, ai quali gli Enti Locali si debbono attenere, pur mantenendo la possibilità di spalmarne, a loro discrezione, sulle diverse voci di spesa.

La sentenza appare di tutto rilievo sul piano tecnico – finanziario, e va letta prima di tutto in quell'ottica.

Apre una falla, al momento non qualificabile, sui conti del 2004, ma rischia di creare un ammanco (come è stato avvertito subito dagli osservatori più attenti) anche sui conti del 2006.

Non correranno rischi, infatti, i due tetti complessivi del 3,8% sulla spese delle Regioni, ed il 6,7% su quella di Province e Comuni, ma al riguardo della manovra 2005 risulta sicuramente illegittimo il comma 6 dell'articolo 1.

Gli effetti più rilevanti si hanno e si avranno, però, sul piano politico: in particolare se passerà la “devolution” questo tipo di situazione dimostra l'assoluta esiguità dei margini di manovra utili per evitare lo sfascio dell'unità repubblicana, mentre agli Enti Locali – dopo tante proclamazioni federaliste – è nuovamente affidato, come ai tempi dei Decreti Stammati e Spadolini, il compito di “gabellieri per conto dello Stato”.

Occorre interrogarsi a fondo su questo tipo di situazione, e sulle prospettive che si presentano.

Molti autorevoli editorialisti pongono già, da diversi giorni, il dito sulla piaga: al di là degli effetti concreti di questo verdetto della Consulta si segnala l'urgenza di un ripensamento complessivo su quello che è stato definito uno dei “più gravi pasticci” che il Parlamento Italiano, in tutta la sua storia, ha compiuto e sta compiendo.

Il federalismo, infatti, ormai da molti anni (almeno dall'ascesa elettorale della Lega Nord, risalente al 1992) è stato assunto in maniera generica e priva di consistenza politica, non chiarendo tra l'altro (mistero italico) il rapporto reale tra federalismo cooperativo e federalismo competitivo.

Sia la modifica costituzionale del titolo V, approvata dal Centrosinistra in chiusura della legislatura 1996 – 2001, sia la “devolution” che il centrodestra approva in conclusione della legislatura 2001- 2006 (entrambe a colpi di maggioranza, senza condivisione reale) hanno aggravato i conflitti di competenza, la macchinosità delle procedure, gli squilibri territoriali.

Il meccanismo di superamento del “bicameralismo paritario”, con la nuova configurazione del Senato della Repubblica prevista nelle modifiche al titolo II della Costituzione, rimane un esempio di questo deficit di cultura politica, espresso dal Parlamento repubblicano.

Da quando la Lega Nord è diventata il possibile ago della bilancia nella competizione tra i due poli, tutti i partiti (compresa AN...) sono diventati federalisti senza una profonda convinzione, un vero dibattito politico, costituzionale, senza considerare che non si trattava di costruire un nuovo Stato ma di modificare l'impianto istituzionale di uno Stato già esistente.

Ci si è lanciati in quella che è stata definita “folle corsa” verso bicamerali, commissioni, seminari che hanno partorito progetti contraddittori, superficiali.

Senza pensare alla realtà multiforme del sistema degli Enti Locali, senza curare minimamente il processo di formazione dei nuovi amministratori (privi tra l'altro di reali supporti politici, essendo intervenuta anche la trasformazione del sistema dei partiti).

Non basta l'alternanza ed il giudizio degli elettori dopo cinque anni: il sistema dei controlli è stato massacrato, senza adeguare i meccanismi di esercizio della giustizia amministrativa e senza pensare alle difficoltà, oggettiva, che i consessi elettivi avrebbero incontrato ad esercitare proprio quel tipo di funzione, loro assegnata – adesso lo si può anche cominciare a pensare – in una dimensione puramente demagogica.

Siamo arrivati al punto di stabilire possibile che ogni Regione potesse disporre di una propria legge elettorale e di una propria forma di governo (proprio nel momento in cui una legge costituzionale, la 1/99, stabiliva l'elezione diretta del Presidente: al di là del giudizio, personalmente negativo sui meccanismi dell'elezione diretta, questo appare un altro macroscopico esempio di contraddizione).

I rappresentanti degli Enti Locali non possono, in questo frangente, limitarsi a reclamare “sui tagli”, è necessario pensare ad una inversione di tendenza, alla possibilità di mettere mano ad un progetto coerente di rapporto tra Stato e Sistema Autonomistico: l'idea del patto di stabilità, il meccanismo delle leggi di spesa, il sistema dei trasferimenti e delle imposizioni fiscali direttamente gestite dalla periferia (non ho il coraggio, per carità di patria di richiamare in ballo l'articolo 119 ed il “federalismo fiscale”), il riequilibrio del sistema dei controlli, ma soprattutto una concezione della politica orientata sulla rappresentanza sociale e non esaurita nel coacervo indistinto della governabilità, appaiono i punti di una riflessione da aprire con urgenza.

Esiste, infine, un problema di costume politico e di collocazione sociale degli Enti: il costume politico (alludo ai cosiddetti “costi della politica”) deve essere urgentemente mutato e la collocazione sociale degli Enti, in particolare in tempi di crisi, non può che essere al fianco dei settori più deboli della popolazione, riallocando le risorse disponibili e reclamando nuove possibilità di soddisfare i bisogni sociali più urgenti.

Savona, li 15 Novembre 2005

Franco Astengo

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