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Don Riccardo Seppia

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Lo stato“arlecchino”. NO a ogni forma di autonomia differenziata

(19 Febbraio 2024)

Arlecchino

Il dibattito sull’Autonomia differenziata, iniziato già qualche anno fa, è tornato prepotentemente oggetto di discussione politica negli ultimi mesi, a causa dell’accelerazione impressa dalla presentazione, da parte del ministro leghista Calderoli, di una proposta di legge che sancisce, in maniera definitiva, la questione della autonomia differenziata.

La proposta Calderoli non è una novità ma piuttosto la prosecuzione di un percorso iniziato già da alcuni anni. In particolare trae origine da riforme costituzionali iniziate con la modifica del titolo V della Costituzione, voluta dal centro sinistra nel 2001 e avallata dai governi che si sono succeduti e dal PD, e prosegue nel 2018 con il governo Gentiloni e con la stipula delle preintese da parte delle tre regioni che allora ne avevano fatto richiesta (Veneto, Lombardia, Emilia Romagna), finalizzate alla realizzazione della AD, fino ad arrivare alla situazione di oggi con l’approvazione, da parte del Senato, del DDL Calderoli lo scorso 23 gennaio che ha dato il via libera alla AD per le Regioni a statuto ordinario. Approvato in prima lettura con 110 sì, 64 no e 3 astenuti, il DDL Calderoli, che definisce i principi generali per l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario, in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione nonché le relative modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e ciascuna Regione, riceverà a breve un altro sì da Montecitorio con il passaggio definitivo.

Cosa rappresenta il progetto di AD

L’Autonomia differenziata è un progetto che viene quindi perseguito da anni e rappresenta una proposta di legge che consente alle regioni a statuto ordinario di accedere alla potestà legislativa ed avere competenza esclusiva su 23 materie che la riforma costituzionale del 2001 ha assegnato alla competenza concorrente tra Stato e Regioni e che passerebbero, per le regioni a statuto ordinario che dovessero farne richiesta, alla potestà legislativa esclusiva della regione. Con l’attuazione dell’autonomia differenziata, quindi, materie come le norme generali sull’istruzione, la gestione delle infrastrutture, la sanità, il governo del territorio, la sicurezza sul lavoro e tante altre, passerebbero, per le regioni a statuto ordinario che dovessero farne richiesta, alla potestà legislativa esclusiva della regione Ogni regione, tuttavia, potrà non chiedere competenza per tutte le 23 materie oggetto di AD e potrà quindi stipulare un contratto sulle materie di cui ritiene di avere necessità. L’articolo 1 del DDL, che ne definisce le finalità, sinteticamente nel comma 1 chiarisce il contenuto del disegno di legge attraverso la definizione dei principi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, nonché le relative modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione. Il comma 2 dello stesso art.1, stabilisce che l’attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, relative a materie o ambiti di materie riferibili ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, è consentita subordinatamente alla determinazione, nella normativa vigente alla data di entrata in vigore della presente legge o sulla base della procedura di cui all’articolo 3, dei relativi livelli essenziali delle prestazioni (LEP) concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. I LEP, si dice nell’articolo 3, indicano la soglia costituzionalmente necessaria e costituiscono il nucleo invalicabile per rendere effettivi tali diritti e per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale, per assicurare uno svolgimento leale e trasparente dei rapporti finanziari fra lo Stato e le autonomie territoriali e per favorire un’equa ed efficiente allocazione delle risorse e il pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali.

Conseguenze relative alla approvazione del DDL Calderoli

L’approvazione della AD implicherà, come primo effetto, una afferenza da parte dei cittadini al proprio ente regionale e non allo stato nazionale, per tutta una serie di materie importanti, pensiamo alla scuola ad esempio, causando il rafforzamento delle disuguaglianze che già esistono nel nostro paese. Le conseguenze saranno quindi gravissime a partire dalla frantumazione dell’unità dei lavoratori, che avranno controparti istituzionali diverse contro cui lottare per la difesa dei diritti e che subiranno trattamenti salariali differenti nelle diverse regioni a seconda della forza contrattuale che saranno in grado di esprimere a livello locale. Ritorna lo spettro delle “gabbie salariali” che la stagione delle lotte del ’68 aveva archiviato. L’istituzione di una zona economica speciale (ZES), comprendente tutto il Sud, potrà essere un’ulteriore occasione per dare ai padroni libertà di aumentare lo sfruttamento del lavoro. Il paese che si prospetta sarà un paese “arlecchino”, con competenze differenziate relative a materie come la sanità, la scuola, i trasporti (ma non l’energia, una gestione regionale delle fonti energetiche andrebbe a vantaggio del Sud), e senza meccanismi perequativi e quindi non uno stato federalista ma semplicemente uno stato sfasciato e diviso per 21. Uno stato di staterelli con interessi contrapposti, e soprattutto uno stato con al suo interno livelli diseguali di cittadinanza dettati dalla frammentazione della Repubblica senza rispetto dei concetti di uguaglianza e sussidiarietà così come previsti dalla nostra Costituzione. Attraverso l’Autonomia Differenziata vengono di fatto istituzionalizzate definitivamente le ingiustizie e le disuguaglianze. L’autonomia differenziata incentiverà le privatizzazioni, liquidando definitivamente tutto ciò che è “pubblico”, cioè finalizzato all’interesse generale, destinato a diminuire le differenze tra ricchi e poveri. Principi e diritti sociali previsti nella prima parte della Costituzione di fatto saranno annullati. Ogni Regione farà da sé, con i propri fondi, trattenendo la maggior parte del proprio gettito fiscale che è estremamente diverso non solo tra regioni settentrionali e meridionali, ma anche tra le diverse regioni settentrionali. I Livelli essenziali di prestazione (LEP), da molti ritenuti come la soluzione del problema, sono semplici indicazioni, non essendo determinati i relativi costi per le finanze statali ed il reperimento dei fondi necessari è astrattamente rimandato alle leggi finanziarie degli anni futuri. Essi rischiano di definire servizi minimi costituzionalizzati e non livelli uniformi di prestazione.

Considerazioni e storia

L’approvazione dell’autonomia differenziata segna di fatto la vittoria del progetto secessionista che la Lega persegue da più di trent’anni, presentato nella sua propaganda come “liberazione” delle aree più ricche del paese dal “peso” di quelle meno ricche, agganciandole alla cosiddetta “locomotiva tedesca”, che al momento, però, sembra essersi fermata.

Il progetto sembra essere l’antitesi di quello nazional-sovranista di FdI e di Giorgia Meloni ma in realtà le due istanze, nazional-statalista e federal-secessionista, sono molto più vicine di quanto si possa pensare e nei fatti convivono da sempre nella destra tripartitica partorita da Berlusconi nel ’94 e si sostengono a vicenda sulla base di un interesse economico comune e trovano infatti pieno coronamento nella accoppiata che mette insieme l’autonomia differenziata e il premierato autocratico.

Doppietta che a sua volta porta a compimento il progetto originario della destra tripartitica suddetta: fare fuori, fare a pezzi, letteralmente l’ordinamento della Repubblica delineato dalla Costituzione antifascista.

Occorre tuttavia ricordare che questo sfascio si deve in gran parte alla politica colpevole del PD attraverso la dissennata riforma del Titolo V della Costituzione, voluta da un governo di centrosinistra per rincorrere la Lega sul suo terreno, e ancora perché sull’autonomia differenziata si sono allineati Bonaccini e altri governatori del PD, o per fare a loro volta gli interessi delle aree ricche del paese o per consolidare i propri governi locali e soprattutto perché nel corso degli ultimi trent’anni il Pd nel suo insieme si è accodato alla narrativa leghista del Sud assistito e piagnone, sotterrando qualunque istanza meridionalista e qualunque lettura critica del capitalismo nazionale e delle sue iniquità e disuguaglianze. Con i risultati che oggi tutti possiamo vedere. Il PD di oggi trae la sua forza non da un progetto nazionale di cambiamento, ma dalla presenza nelle istituzioni locali, cercando di preservare le sue posizioni adeguandosi al sentire politico prevalente in ogni territorio.

Che fare

Non è ancora detto, ma è molto probabile che questo progetto vada in porto, in assenza di una mobilitazione straordinaria delle sue vittime sacrificali.

Al momento, nonostante il progredire dell’iter relativo alla proposta di legge giunta ormai alle battute finali (manca solo l’approvazione alla Camera), non si registra una forte mobilitazione generale al riguardo.

In realtà le mobilitazioni e i presidi, organizzati da varie forze e anche dai sindacati sono state numerose su tutto il territorio nazionale, ma la partecipazione è stata complessivamente modesta, con qualche punta maggiore al Sud dove più forte è la percezione del pericolo che incombe. Nell’insieme delle classi lavoratrici e popolari non c’è ancora né conoscenza, né percezione di cosa questa controriforma scellerata comporterà per le condizioni di vita della stragrande maggioranza delle persone. Con la Lega naturalmente che soffia sul fuoco della divisione e della contrapposizioni tra le diverse regioni del paese. E’ mancato quindi finora un momento di mobilitazione straordinaria, quella mobilitazione indispensabile per impedire che questo progetto vada in porto.

Finora l’opposizione più significativa è rappresentata dai coordinamento territoriali “contro ogni forma di AD” che si sono unificati in un coordinamento nazionale attraverso la rete che si è venuta a creare a partire dal 2018 (governo Gentiloni e stipula delle preintese, finalizzate alla realizzazione della AD). Sinistra Anticapitalista è interna ai coordinamenti territoriali e a quello nazionale sin dal 2018 e cerca di dare il proprio contributo alla lotta per impedire che questo scellerato disegno, basato soprattutto sul rafforzamento delle disuguaglianze, possa arrivare a conclusione. Recentemente si sono stabilite due manifestazioni nazionali il 16 marzo, una a Milano ed una a Napoli.

Difficile ormai pensare che il processo legislativo dell’AD si interrompa e Lega e governo rinuncino al loro disegno criminoso. Decisiva diventerà quindi la battaglia per vincere l’indispensabile referendum abrogativo. Ma per riuscire a vincere questa battaglia politica fondamentale occorre che si costruisca un grande movimento di massa e una grande effervescenza sociale che eserciti forza e credibilità complessiva sull’opinione pubblica più larga. E’ dirimente che si sviluppi una primavera di lotta e di mobilitazione sociale per i salari, per l’occupazione, per la difesa del welfare e dei diritti, creando in questo modo i rapporti di forza per vincere anche lo scontro sull’AD.

E’ questo un compito che coinvolge non solo i sindacati combattivi, ma anche quelle grandi organizzazioni sindacali che in questi giorni hanno denunciato i danni dell’AD, dichiarando la loro forte opposizione, ma che devono ora dimostrare di avere la volontà e la coerenza di attivare una stagione di lotte e vertenze in difesa della condizioni materiali delle lavoratrici e dei lavoratori. Solo un clima generale di lotta per la difesa delle condizioni di vita delle masse popolari permetterà di buttare a mare il progetto reazionario dell’AD impedendo la frammentazione e la sconfitta delle classi lavoratrici e un ulteriore crollo delle loro condizioni di vita. E’ questo l’impegno e l’attività della nostra organizzazione in tutti i luoghi di lavoro, sociali e territoriali in cui è presente.

Maria Giuseppina Izzo (Circolo di Napoli Sinistra Anticapitalista)

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