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(29 Dicembre 2023)
Intervento di Paolo Gianardi all’iniziativa per la Palestina “La resistenza e la lotta di classe dopo i massacri di massa a Gaza e in Cisgiordania” del 21 dicembre 2023 a Livorno.
Io non lo so. Non so che farei se vivessi nella Cisgiordania occupata, dove da decenni i coloni israeliani cacciano armi alla mano i residenti palestinesi dalle loro case, dalle loro botteghe, dai loro campi, riducendoli alla vita eternamente provvisoria e piena di umiliazioni dei campi profughi, centinaia e centinaia di migliaia disseminati in tutto il Vicino Oriente mediterraneo, ospiti mal sopportati e spesso perseguitati. Se Israele ha il diritto di difendersi, come ripetono molte voci assordanti, non lo hanno forse i palestinesi? In quei luoghi, magari sarei un militante di Hamas, così come forse sarei stato un militante terrorista sionista dopo la Shoah.
Ma perché Hamas ha fatto quello che ha fatto il 7 ottobre? Non per sconfiggere le forze armate di uno Stato atomico, le quali, nonostante l’iniziale deficit di intelligence, hanno poi reagito occupando la Striscia: i numeri parlano tragicamente chiaro su chi sia il più forte sul campo. Hamas puntava e punta a conquistare l’egemonia sul movimento di liberazione palestinese, mettendo da parte l’ Autorità nazionale, non meno di Hamas stessa compromessa con i governi sionisti e imperialisti, corrotta e incapace di guidare tale movimento.
Ricordo che, nei primissimi anni settanta (del secolo scorso…), quando mi iscrissi all’università, a Pisa erano attivi gruppi politicizzati di studenti palestinesi, con i quali fraternizzavamo, laicamente appartenenti a diverse confessioni: musulmani, ovviamente; cristiani protestanti e cattolici; ricordo per inciso che una delle collaboratrici di Arafat fu Hanan Ashrawi, docente universitaria di religione cristiana anglicana. Dall’ottobre 2008 al marzo 2009, furono ospitati nel villaggio turistico Il Veliero di Follonica un centinaio di richiedenti asilo; fra loro c’erano 9 giovani palestinesi, scappati
da Gaza attraverso i tunnel, verso l’Egitto e poi il Mediterraneo. Puntavano al nord Europa, ottennero poi il riconoscimento dell’asilo e le ultime notizie che abbiamo di loro dicono che sono arrivati a destinazione. Negli ultimi giorni del 2008 e nei primi del 2009, il governo israeliano
scatenò il massacro a Gaza (operazione Piombo fuso). Noi compagni della zona, amici dei ragazzi del Veliero, organizzammo una manifestazione a Follonica contro il massacro, insieme ai 9 palestinesi, che portavano la loro bandiera alla testa del corteo. Ero accanto a loro, ci volevamo
bene, ci chiamavamo fratelli, perciò non nascondo che rimasi amaramente colpito dal fatto che, al posto delle laiche parole d’ordine del movimento di liberazione, scandite un tempo dai loro fratelli a
Pisa, essi intonarono in coro perfetto, in arabo: “Allah è grande!”. Sono un vecchio studente di teologia delle religioni e riconosco volentieri alle tre religioni abramitiche, ebraismo, cristianesimo
e islam, un patrimonio comune, il quale si riassume almeno in parte della comune regola d’oro “comportati con gli altri così come vorresti che essi si comportassero con te”. Ho numerosi amici musulmani, ma il canto di quei giovani di Gaza nei primi giorni del 2009 a Follonica mi fece dolorosamente intuire la regressione di almeno una parte del movimento di liberazione: Hamas esprime e dirige quella regressione, mi pare.
Dall’altro alto, ricordiamoci che gli ebrei sono una quindicina di milioni nel mondo, preoccupati del loro numero che tende a diminuire. Non sono affatto tutti uguali ma il governo sanguinario di Netanyahu è il braccio criminale del sionismo fanatico, a sfondo etnico e religioso, il quale sostiene
la guerra (a bassa intensità?!?…) che strazia ogni giorno, da decenni, i palestinesi casa per casa, oliveto per oliveto, vicolo per vicolo a cominciare da Gerusalemme Est: questo crimine è forse più vile e ipocrita dell’invasione; il diritto al ritorno ai palestinesi deve sembrare ogni minuto più
remoto, mentre quelli che erano restati sono cacciati da sempre e oggi Gaza diventa un cimitero spopolato. Chi è senza speranza è vittima due volte.
E intanto in giro per 11 mondo risuonano le parole ipocrite degli imperialisti signori della guerra di turno:
Infatti l’aumento del numero di morti a Gaza, molti dei quali bambini, mette a nudo i doppi standard della realpolitik imperialista. Per le “nostre” classi dirigenti, alcune vite valgono più di altre. Sono le alleanze economiche, politiche e militari a decidere di quali atrocità si parla e dove. Basta confrontare i diversi blocchi di voto nelle risoluzioni delle Nazioni Unite su alcuni recenti conflitti, o il modo in cui i media mainstream di tutto il mondo li hanno trattati.
Ancora meglio, osserviamo le risposte ipocrite di alcuni dei nostri stimati leader mondiali:
- il Presidente degli Stati Uniti Biden aveva definito l’uccisione di civili ucraini un “crimine di guerra”, ma in risposta atta notizie di oltre 7.500 morti palestinesi [8.306 morti palestinesi (3.500 minori) finora, 30 ottobre] ha dichiarato di non avere “fiducia” nei numeri. Il suo regime proclama che Israele ha “il diritto di difendersi”.
- il Presidente russo Putin ha parlato delle “catastrofiche” morti tra i civili a Gaza, ma non si è pubblicamente assunto la responsabilità di una sola morte tra i civili in Ucraina (cifra che ufficialmente è di 10.000, ma potrebbe essere molto più alta).
- il Presidente della Turchia Erdogan ha dichiarato Israele “occupante” e ha denunciato il “massacro” dei palestinesi. Nel frattempo, il suo regime continua a bombardare regolarmente le aree curde in Iraq e Siria.
- Dopo aver represso brutalmente le proteste di massa nel suo Paese (uccidendo almeno 500 persone), il presidente iraniano Ebrahim Raisi denuncia ora i “crimini di guerra” israeliani e proclama che sono i palestinesi ad avere il “diritto all’autodifesa”.
Dati invecchiati ma ugualmente significativi. L’UE e l’Italia, poi, sono sempre commosse di fronte agli innocenti assassinati dagli “altri”, ma non si commuovono affatto per gli oltre 20mila innocenti sepolti in fondo al Mediterraneo, molti dei quali bambini e bambine, vittime di politiche migratorie disumane.
Ho sostenuto politicamente ed economicamente l’esperienza del villaggio della pace di Nevé Shalom-Wahat el Salam, dove vivono insieme palestinesi ed ebrei, non senza tensioni ma collaborando attivamente, come mi raccontò Bruno Segre, per lunghi anni referente in Italia di quel progetto coraggioso: un ebreo erede della più alta e universale tradizione dell’ebraismo, quella che Netanyahu sta affogando nel nel sangue. Bruno è morto pochi mesi fa, era stato uno dei bambini
ebrei cacciati da tutte le scuole del Regno nel 1938, vittima delle leggi razziali di Mussolini e di Vittorio Emanuele III di Savoia. Mi permetto un sogno da sognare insieme e per cui lottare, nel momento in cui trovo consunta e forse controproducente la parola d’ordine “2 popoli, 2 Stati”, in una situazione disastrosa da lunghi anni. Sogno Nevè Shalom-Wahat el Salam come minuscolo embrione e ispirazione vivida di uno Stato democratico laico, aconfessionale e non etnico, non
allineato e denuclearizzato dove possano convivere ebrei e palestinesi, recuperando dal basso i valori socialisti della tradizione progressista ebraica e quelli anticoloniali dei movimenti di liberazione arabi.
Insieme agli altri popoli, nel nome dell’internazionalismo. Per restare umani, insieme.
anticapitalista.org
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