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E adesso via dall’Iraq. Subito!

(27 Aprile 2006)

Ancora morti a Nassirya. Questa volta non è toccato agli irakeni uccisi ogni giorno nei bombardamenti e nei rastrellamenti, o a quelli rapiti e giustiziati con un colpo alla nuca dagli squadroni della morte o dai servizi segreti delle potenze occupanti. Tutte vittime senza volto e senza nome, e quindi inesistenti per una opinione pubblica occidentale ormai assuefatta e distratta.

Questa volta è toccato ai militari italiani, di nuovo. Di loro “Porta a Porta” e “La vita in diretta”, con il morboso e voyeuristico interesse che tanto appassiona milioni di spettatori, ci diranno tutto: chi erano, quanti anni avevano, quali sogni perseguivano, quanto gli volevano bene fidanzate, mogli e genitori. E l’Italia, invasa dalla retorica patriottarda bipartizan che si appresta a celebrare la potenza delle nostre forze armate con la parata militare sulla via dell’Impero di Mussoliniana memoria, avrà nuovi eroi, nuovi martiri da immolare sull’altare della patria. Dall’altra parte i soliti terroristi, gli islamici, gli uomini di Bin Laden. Da annichilire.

Lo abbiamo detto fin dall’inizio: che i primi responsabili delle morti in Iraq, di quelli che cadono sotto i colpi degli occupanti e di quelli che cadono sotto i colpi della Resistenza, sono i governi che hanno deciso di mandare migliaia di soldati ad ammazzare e a farsi ammazzare in terra irakena in nome del petrolio e della superiore civiltà occidentale.

In Italia la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica, nonostante la propaganda guerrafondaia, continua a volere la fine della partecipazione italiana all’occupazione dell’Iraq. Ma le dichiarazioni del probabile futuro premier Prodi all’indomani della pur risicata vittoria elettorale non lasciano ben sperare. I se e i ma sono così tanti da mettere in ombra la promessa di ritirare i militari italiani da Nassirya. “Lo faremo solo in accordo con il governo di Baghdad” ha ribadito più volte il capo del centrosinistra facendo finta di non sapere che i ministri dell’esecutivo irakeno si decidono a Washington.

Un escamotage per mantenere l’occupazione dandone un’immagine più soft – e quindi più facile da giustificare per i ministri “comunisti” e “pacifisti” - potrebbe essere quello di ritirare i militari e mandare i carabinieri, come se Nassirya fosse Napoli o Palermo e il problema fosse quello di aiutare gli irakeni a mantenere l’ordine pubblico.

Di lasciare l’Iraq, quindi, non se ne parla nemmeno, e fanno spavento i balbettii di una sinistra che si definisce radicale ma che non punta i piedi su una questione, quella del ritiro, su cui sa di poter contare sull’opinione favorevole della maggioranza dell’opinione pubblica. Una sinistra radicale che invece non ha neanche un sussulto di dignità quando dall’ambasciatore di uno Stato violento e illegale come Israele piovono accuse di “fascismo” a chi brucia due bandiere.

E’ più grave bruciare due bandiere o ammazzare ogni settimana decine di persone in nome di un’ideologia razzista e colonialista come quella sionista? Vale la pena di mandare al macero la propria dignità e i propri valori in nome di una poltrona in più nel prossimo governo? Vale la pena di morire, e di farsi ammazzare, per difendere gli interessi dell’ENI a Nassirya?

Crediamo di no, e continueremo a ribadirlo. Anche il 2 giugno, fino a prova contraria festa della Repubblica nata dalla Resistenza e non celebrazione degli eserciti occupanti.

Giovedì 27 aprile

Editoriale di Radio Città Aperta

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