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I maro' tornano...

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(22 Marzo 2013) Enzo Apicella

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(Il nuovo ordine mondiale è guerra)

In attesa del casus belli progettato a Hollywood

(13 Ottobre 2006)

Dal tempo della prima guerra mondiale, la borghesia e i suoi pennivendoli hanno sempre assicurato che la guerra in corso sarebbe stata l’ultima, che avrebbe distrutto i nemici del progresso e della democrazia e assicurato un lungo periodo di pace. Oggi, invece, poiché è in corso una guerra mondiale per tappe, d’ogni guerra ci si dice che è la penultima o la terzultima, perché i “paesi canaglia” sono più d’uno. L’imperativo del momento sarebbe eliminare un nuovo gran pericolo, che minaccerebbe Israele e l’intero occidente, il riarmo atomico iraniano. Occorre creare il casus belli, ma è difficile riprodurre sul suolo americano un altro 11 settembre, perché ormai tra gli americani una parte considerevole, anche quando non crede a una macchinazione dello stesso governo, a dir poco è convinta che ci siano state falle inammissibili nei servizi di sicurezza, e quindi con poca probabilità sopporterebbe il bis. Tutto dovrà svolgersi all’estero. In un primo tempo, sembrava che il primo bersaglio fosse la Siria, col pretesto dell’aiuto agli Hezbollah: Daniel Pipes, direttore del Middle East Institute, consulente della Casa Bianca e del Congresso, in un’intervista al Corriere della Sera dell'8 agosto 2006, aveva dichiarato:

“Bisognerebbe fare alla Siria, lo sponsor di Hezbollah, una offerta che non possa rifiutare: minacciare di bombardarla a meno che non si neutralizzi questo gruppo terroristico. Con o senza l'Onu e l'Ue, gli Usa devono ammonirla che la colpiranno, se continuerà ad aiutare Hezbollah. Io credo che basterebbe un blitz mirato, contro le infrastrutture terroristiche e militari siriane, per piegare Damasco. Sarebbe una lezione anche per l'Iran.”

L’assalto all’ambasciata americana in Siria era un ottimo pretesto, ma le forze di sicurezza lo hanno sventato, perciò alla Rice non è rimasto che esprimere la propria gratitudine al governo siriano. Un alto esponente del Baath ha detto che dietro questo attentato c’è l’America. Ha rivendicato l’attacco Jund al-Sham (Soldati di Damasco), secondo i media occidentali vicino ad Al Qaida. Si tratta di un gruppo sospetto, che ha ucciso un capo hezbollah, Ghaleb Awali, e gli Hezbollah sostengono che è una diramazione del Mossad.

Sfumata l’opportunità siriana, probabilmente attingeranno all’esperienza della storia americana, riproducendo in forme attuali vecchi trucchi: nel 1898, l’esplosione della corazzata Maine nel porto dell’Avana, attribuito agli spagnoli, fu il pretesto per la guerra ispano americana, il falso attacco al cacciatorpediniere Maddox quello per bombardare il Vietnam del Nord. Che cosa impedisce agli americani di affondare (all’interno delle proprie acque territoriali, che comprendono tutti i mari del globo e le acque interne salvo, forse, il lago Bajkal) una vecchia nave e darne la colpa all’Iran? Naturalmente sarà sul posto una troupe cinematografica, e non mancheranno gli effetti speciali. Ci saranno un po’ di morti americani, ma le loro famiglie riceveranno medaglie e onorificenze, e Hollywood ne ricaverà materiale per un film. Nel frattempo – ed è qui il bello della guerra preventiva – avendo letto nella sfera di cristallo che ci sarà un attentato “iraniano”, si schierano gigantesche flotte nelle vicinanze delle coste persiane.

Niente di nuovo: al tempo della guerra in Corea, Amadeo Bordiga, non certo sospetto di simpatie staliniste, demoliva il mito dell’aggressione nordcoreana: “Solo nel 1950, col colpo Corea e il colpo Formosa… crolla il mito dell’America anticolonialista e si svelano gli imperialisti arrivati del XX° secolo, pronti a gettare a mare l’ONU (!) e con essa le tradizioni di Washington e di Jefferson (!!!), pur di predare in Asia”. Dopo avere polemizzato contro chi vede nella storia degli Stati Uniti un esempio di libertà, aggiungeva: “Un marxista non manderà mai giù la balla che gli Stati Uniti americani, regime di coloniali nati, di pirati del capitale, di sterminatori di pellerosse e commerciatori di carne nera, facciano sul serio una politica di astensione coloniale”. Ripercorreva alcuni momenti della storia del colonialismo americano: “1898. Un altro caso classico di aggressione, tipicamente lupagnellistica: il preteso affondamento del Maine nel porto dell’Avana, e la Spagna si vede portare bellamente via dopo una impari lotta piena di batoste e bei gesti la ricchissima Cuba, ogni altra colonia delle Indie di Occidente e le Filippine, che valgono assai più di Gibilterra, Malta, Suez, Aden, più delle migliori posizioni di controllo ultraoceaniche delle potenze di Europa.” “La scuola di propaganda dei messaggi trumaniani è la stessissima di quella dell’imbonimento opportunista. Battere e ribattere su bugie semplici e semplicistiche, che entrano facilmente nelle teste. Sono i nordisti che hanno attaccato varcando il famoso 18.mo parallelo, non vi è dubbio”. E che tutto fosse pronto, in attesa della pretesa “aggressione”, si vede da ciò: “Anzitutto esercito, marina ed aviazione americana sono state messe in moto nel giro di quelle poche ore, dopo averle rapidamente battezzate forze delle Nazioni Unite. Per la parte giuridica hanno tuttavia subito aggregato un modello di fregata britannica tolto da una sala del British Museum, e una dozzina di quei Chassepots francesi che nella campagna di Roma fecero “merveilles” (Da “Schifo e menzogna del mondo libero”, Battaglia Comunista, luglio- agosto 1950).

Allora da partner formali giocarono Francia e Inghilterra, esauste per i disastri della guerra mondiale, oggi questo ruolo è svolto da “coalizioni di volenterosi”, che servono solo da foglia di fico per fingere che non si tratti di una guerra “lupagnellistica” dell’America, ma di un’azione della Comunità Internazionale, per punire il reprobo di turno.

Qualcuno potrebbe pensare che tutte queste considerazioni sono nostre fantasie in conformità ad analogie con guerre di vecchia data. Perciò facciamo parlare gli americani.

Un articolo di Dave Lindorff, Segnali di Guerra (1), rivela che “the Nation” “è venuta a conoscenza del fatto che l’Amministrazione Bush ed il Pentagono hanno iniziato lo spiegamento di un grosso “gruppo di attacco” (“strike group”) di navi che include la portaerei nucleare Eisenhower e la scorta di incrociatori, distruttori, fregate, sottomarini e navi di supporto perché si attestassero nel golfo persico, appena fuori la costa occidentale dell’Iran.” Secondo la rivista Time, inoltre “un gruppo di navi atto a minare porti ha ricevuto l’ordine di essere pronto a navigare verso il golfo persico per il 1° Ottobre.” Molti ufficiali di marina starebbero protestando perché verrebbero mandati ad attaccare l’Iran senza nessun ordine dal Congresso.

Il colonnello Gardiner ha dichiarato: “Io penso che il piano è stato scelto: bombardare i siti nucleari iraniani”. “E' una idea terribile, è contro la legge degli Stati Uniti ed è contro la legge internazionale, ma penso che hanno deciso di farlo.”

Gardiner dice che mentre gli Stati Uniti hanno la capacità di colpire quei siti coi loro missili cruise “gli iraniani hanno molte più possibilità di quelle che abbiamo noi: loro possono attivare Hezbollah, possono organizzare sommosse in tutto il mondo Islamico, incluso il Pakistan, il che potrebbe far cadere il governo di Musharraf, mettendo armamenti nucleari nelle mani dei terroristi; loro possono incoraggiare le milizie sciite in Iraq ad attaccare le truppe USA e possono bloccare gli oleodotti e chiudere il golfo persico.” La maggior parte degli stati che producono petrolio in medio oriente hanno sostanziali popolazioni sciite, il che è stato a lungo un problema per i loro leader sunniti e per i sostenitori della politica di Washington, data la connessione a volte molto stretta delle popolazioni sciite con le autorità religiose iraniane.”

Ci sono divergenze all’interno dell’imperialismo americano, perché molti, militari e non, giudicano troppo pericolosa questa guerra. Tra i fautori, il solito Cheney, Richard Perle, Paul Wolfowitz, Rumsfeld, tra i contrari Colin Powell, e persino il giornalista Bob Woodward, che in passato aveva elogiato Bush e Rumsfeld, ora pubblica il libro “State of denial”, dove ridicolizza i due esponenti del governo. Non bisogna equivocare, non si tratta di amanti della pace, ma di freddi calcolatori che valutano se il gioco vale la candela, visti che gli obiettivi dichiarati, in Afghanistan e Iraq non sono stati raggiunti. Se si trattasse di attaccare un paese più debole dell’Iran, come Siria o Sudan, non avrebbero obiezioni. Quanto ai militari, non c’è da farsi illusioni, sarebbe fuori luogo attendersi un’azione di tipo portoghese, come la “Rivoluzione dei Garofani” del 1974, che pose fine a guerre senza speranza. Se l’azione verrà decisa, i militari obbediranno, anche se qualche soldato diserterà o finirà in galera per le proteste.

L’attacco è probabile, ma non è detto che sia assolutamente certo. L’Iran potrebbe cedere sull’arricchimento dell’uranio. Ma un tale schieramento di forze non resterà inutilizzato: potrebbe essere impiegato contro qualche altro paese nemico (Siria, Somalia, Sudan) o amico (occupando i pozzi petroliferi dell’Arabia Saudita, con la scusa di difenderli da Al Qaeda).

Le proteste in America crescono e il 29 settembre 20 parlamentari hanno scritto una lettera aperta a Bush chiedendogli di consegnare tutti i documenti sull'intelligence o le operazioni segrete connessi all'Iran. Vogliono evitare che anche per l’Iran si segua lo stesso metodo usato per l'Iraq - le menzogne sulle armi di distruzioni di massa. Il candidato al Congresso per lo Stato del Vermont Dennis Morrisseau ha chiesto l'arresto di Bush e Cheney, per impedire un attacco non legittimato contro l’Iran, e ha dichiarato che ci sono già forze americane attive dentro l'Iran e le forze navali si stanno schierando ai confini di quel Paese, mentre, da un punto di vista giuridico, Bush non ha alcuna diritto di attaccare l'Iran, in mancanza di una formale Dichiarazione di Guerra da parte del Congresso.(2)

Se si pensa che il Time dedica cinque pagine alla guerra aerea contro l’Iran, è chiaro che la macchina bellica è già pronta per l’attacco.

Molti settori, in America, cominciano a rendersi conto del pericolo. Sarebbe sbagliato pensare che il popolo americano, nel suo complesso, sia composto da guerrafondai.

Spesso militanti che avversano la guerra commettono errori, teorici e pratici, che sono di grave danno alla loro azione . L’odio legittimo contro l’imperialismo americano e il suo spaventoso attivismo bellico, può trasformarsi in odio contro gli americani in generale, e c’è persino chi riprende la teoria del “popolo reazionario”. Per Marx ed Engels, questo poteva accadere per piccole nazioni, che avversavano la rivoluzione borghese: ad esempio i croati, nel corso della rivoluzione del 1848 -1849, confluirono numerosissimi negli eserciti dell’impero austriaco e contribuirono fortemente a schiacciare gli insorti di Vienna, d’Italia e d’Ungheria. Questa idea di popolo reazionario non si può adattare a nessuna grande nazione, anche se ci sono periodi in cui la lotta di classe langue, e l’obbedienza alle mire imperialistiche della classe dominante è totale. Non è neppure vero che tutto il settore chiamato WASP (White Anglo-Saxon Protestant) è sempre schierato col militarismo. Non dobbiamo mai accettare le classificazioni che l’avversario di classe ci presenta, per mascherare le divisioni reali tra proletariato e borghesia. Ci sono ampi settori borghesi d’origine irlandese, ebrea, italiana, asiatica, afro americana e ispano americana, e in ogni etnia ci sono vasti settori proletari. A volte può accadere che il fanatismo patriottico sia più diffuso in strati integrati solo recentemente nel paese. In Italia, ad es., tra i più accesi nazionalisti, molti venivano dalle “terre irredente”, e tanti di loro avevano un cognome tedesco o slavo. Patriottismo a parte, molti dei soldati non hanno neppure ancora la cittadinanza americana, e si sono arruolati nella speranza di ottenerla.

Tutto questo per dire che non possiamo considerare gli Stati Uniti come un blocco monolitico, e negare l’esistenza di reali spinte contro la guerra.

Il coinvolgimento diretto nella guerra, in molti casi, fa capire molte cose:

Dahr Jamail ha incontrati molti reduci, riuniti per il Convegno Nazionale dei Veterani per la Pace, e ha preso nota delle loro dichiarazioni.(3) Questi veterani vogliono diffondere la conoscenza dei costi umani e finanziari della guerra, lavorare per impedire al loro governo di intervenire, in forma palese o nascosta, negli affari interni di altre nazioni e per ottenere giustizia per i veterani e le vittime della guerra. Veniamo a conoscere alcuni dati sulle diserzioni: nell'ottobre del 2003, secondo fonti ufficiali, erano solo 22, cinque mesi dopo 500, e un anno dopo 5000. Riguardo alle munizioni all'uranio, apprendiamo che ne sono state usate 300 tonnellate nella Guerra del Golfo nel '91, e più di 2.200 in quella in corso. Le radiazioni a Bagdad sono ora cinque volte il normale, l'equivalente di 3 esami con i raggi x al torace in un'ora. “Questi non sono incidenti - commentano - il DU (Depleted Uranium) non è un incidente… l'uso del DU e i suoi effetti sono premeditati. Sono incidenti progettati ed orchestrati con attenzione”.

Alex Ryabov, un caporalmaggiore di artiglieria, dice: “Non penso che Bush realizzerà mai quante milioni di vite lui e i suoi lacchè abbiano rovinato nella loro cupida ricerca di denaro e potere.”

Ryabov racconta che la sua unità sparava raffiche che colpivano a 5-10 km dai loro obbiettivi previsti. “Non abbiamo idea di dove cadessero quelle raffiche, o di cosa colpissero.” . “Abbiamo solo lasciato per terra un Iracheno con un colpo di arma da fuoco nella coscia e due persone vicino a lui che sventolavano bandiere bianche... che probabilmente è morto dissanguato.” “La conclusione a cui sono giunto… era che non solo le ragioni per cui ci trovavamo lì erano tutte bugie, ma anche che non ci trovavamo lì per aiutare gli Iracheni.”

Un altro commenta “La maggior parte di quelli di cui stiamo parlando sono crimini di guerra... crimini di guerra in quanto orchestrati dal nostro governo per motivi di potere. La mia semplice risposta per non tornare è … che non volevo essere coinvolto in un crimine contro l'umanità.”

C’è un veterano che ha scritto una “lettera aperta al criminale di guerra George Bush”, da parte di “un repubblicano, cristiano, veterano, padre e patriota.”(4) Un uomo che nelle precedenti elezioni aveva votato per lui, ancora attaccato ai valori tradizionali, ma ferocemente contrario ai massacri di cui il governo Bush è responsabile.

Per chi ha presente l’opposizione alla guerra di Lenin, Liebknecht e Luxemburg, tali proteste sembrano ingenue. E’ vero, tutto l’antimilitarismo ha fatto enormi passi indietro rispetto a quei tempi eroici, per l’azione congiunta di socialdemocrazia e stalinismo. In Italia c’è stato persino un formale richiamo alle posizioni classiste, ma si è finito per votare il finanziamento della spedizione in Afghanistan. Non abbiamo bisogno di persone che parlano come Lenin e Trotsky e poi votano come Scheidemann. Preferiamo i semplici veterani americani, che sono caduti nelle trappole del regime, che hanno creduto nella propaganda della guerra per la democrazia, e si sono trovati a sparare su civili innocenti, ma ne hanno concepito un odio per il regime che fa loro onore, e i comunisti devono riconoscerli come diretti alleati contro la guerra imperialistica.

Essere contro l’imperialismo americano non comporta l’accettazione delle ragioni di qualsiasi suo avversario. Il regime iraniano, ad esempio, è assolutamente intollerabile. L’Iran aveva già subito molti periodi di gravissima repressione. Il colpo di stato del 1953 portò alla distruzione delle organizzazioni operaie nate nel 1941, alla caduta di Reza Khan. 25 anni di terrificante repressione, simboleggiate dalla famigerata SAVAK, peggiore persino della polizia zarista. Non furono gli ayatollah a fare la rivoluzione, ma il popolo, con alla testa i lavoratori salariati più evoluti. Diciotto ore dopo l’inizio dell’insurrezione, mentre la popolazione stava combattendo la battaglia decisiva contro gli Immortali, la guardia dello scia, Khomeini dichiarava alla radio: “Non ho ancora dato l’ordine della guerra santa e mi auguro sempre che il popolo decida del suo avvenire legalmente, per via elettorale”. “Il suo portavoce dava ordine alla popolazione di riconsegnare le armi ottenute tramite i soldati e annunciava che sarebbero state distribuite quando fosse giunta l’ora” (Le Monde, 17/2/1979, citato da “Il Programma Comunista)”. (5)

Molti giovani militanti, sprezzando le consegne dello stalinismo e del partito comunista ufficiale (Tudeh) riscoprirono le autentiche posizioni di Lenin e del Partito Comunista dell’Iran, nato un anno prima del Congresso di Livorno. Gli studenti all’estero, numerosi anche in Italia, desiderosi di studiare i classici del marxismo e le esperienze delle precedenti rivoluzioni, divennero presto magnifici propagandisti della rivoluzione, non solo tra i propri connazionali.

La repubblica islamica cominciò con le persecuzioni di Curdi, Turcomanni e Arabi, che pure avevano partecipato alla rivoluzione. Si dichiarò che, se lo sciopero era stato un’arma contro lo scià, ora diventava un tradimento, si sostituirono le organizzazioni operaie con strutture islamiche, s’istituì la famigerata “guardia nazionale islamica”, si schiacciarono nel sangue gli scioperi e le manifestazioni di disoccupati. Una repressione del tutto analoga a quella dello scià spazzò via comunisti e democratici, con numerosi assassini compiuti anche all’estero.

Opporsi ad una aggressione americana, non deve voler dire solidarizzare con questo detestabile regime. Tanto meno significa essere indulgenti con la dottrina panislamista. Il panislamismo mette gli arabi e i musulmani alla mercé di stati reazionari come l’Arabia Saudita o il Pakistan, esattamente come il panslavismo, nell’Ottocento, asserviva vari popoli slavi – polacchi felicemente esclusi – alle mire zariste. Il II° Congresso dell’Internazionale Comunista, nelle Tesi sulle questioni nazionali e coloniali, evidenziò la necessità di combattere il panslavismo, il panasiatismo e altri movimenti simili, che cercavano “di utilizzare la lotta di emancipazione dall’imperialismo europeo e americano per rendere più forte il potere degli imperialisti turchi e giapponesi, della nobiltà, dei grandi proprietari fondiari, del clero, ecc.”. Forme di panislamismo, soprattutto nella versione saudita, sono riuscite, più ancora dell’azione israeliana, ad impedire ogni sviluppo verso l’unificazione araba, e a guidare, insieme con la CIA, la reazione in Afghanistan.

Per quanto reazionaria sia la repubblica islamica, dobbiamo pensare che, come è stato giustamente detto, se la guerra è loro, i morti sono nostri, operai contadini, povera gente, e quindi dobbiamo usare tutte le nostre forze per denunciare e smascherare questo sporco conflitto.

Un altro errore è pensare che gli USA, con le loro invasioni e col loro militarismo, facilitino l’introduzione di forme avanzate di capitalismo e il superamento di condizioni precapitalistiche, o di capitalismo arretrato. Sono considerazioni che hanno valore per il passato, ma non nell’attuale situazione di imperialismo stramaturo. L’Inghilterra, introducendo la proprietà privata moderna in India, compì quella che Marx chiamò “rivoluzione vigliacca”. Ma gli USA hanno agito in senso conservatore, col colpo di stato contro il riformista Mossadeq per restaurare il potere dello scià, hanno appoggiato la monarchia saudita contro il nazionalismo nasseriano, in Afghanistan hanno aiutato i talebani ad andare al potere, per sostituirli, poi, con i signori della guerra (e della droga) altrettanto reazionari. La cartina di tornasole è data dall’America latina, dove hanno portato al potere i peggiori massacratori, da Batista a Pinochet. Sarebbe ingenuo pensare che gli Stati Uniti possano avere una funzione diversa in Asia.

In ogni epoca, il proletariato deve combattere soprattutto il principale avversario della rivoluzione. Marx ed Engels videro nella Russia zarista il peggior nemico del socialismo e persino della democrazia borghese. Lenin nel 1914 si augurò la sconfitta della Russia, che avrebbe aperto la via alla rivoluzione. Zinoviev a Bakù – in pieno accordo con Lenin – lanciò la parola d’ordine della “guerra santa” contro l’Inghilterra, scandalizzando ottimi comunisti come John Reed, turbati dal fatto che non si parlasse di lotta di classe. L’espressione non era sbagliata perché riguardava una rivoluzione anticoloniale, non ancora quella socialista, anche se c’era un rapporto di connessione.

Trotsky capì prima di molti altri la terribile potenza che si celava dietro la cosiddetta politica isolazionista degli Stati Uniti, e vide chiaramente che stava sorgendo il più potente imperialismo di tutta la storia. Bordiga, nel secondo dopoguerra, affermò che non ci sarebbe stata nessuna ripresa rivoluzionaria senza un indebolimento di questo gigante.

Se gli Stati Uniti e i loro alleati europei verranno cacciati dall’Iraq, dall’Afghanistan e – perché no – dal Libano, è possibile che il contraccolpo produca salutari conseguenze in occidente, liberando il gigante proletario incatenato dalla borghesia e dall’opportunismo, e rendendo possibile il risorgere della lotta di classe.

L’Europa non è più pacifista degli USA, è soltanto meno potente. Zapatero ha ritirato le sue truppe dall’Iraq, tra gli applausi delle sinistre, ma è ben presente in Afghanistan, come la Germania. La Francia, contraria alla guerra irachena, non ha grandi divergenze con gli Stati Uniti sulle questioni siriane e iraniane, e sfoga la sua spinta colonialista in Africa. Teme, invece, che un impegno lontano e insicuro come quello afgano finisca per logorare la Nato, e indirettamente, l’Unione Europea. Chi giudica con superficialità la politica francese da frizioni con gli Stati Uniti, potrebbe concludere che la Francia lavora per l’eliminazione della Nato. Niente di più sbagliato, non bisogna confondere la ricerca di una linea di relativa autonomia con la volontà di rottura. La Francia ha una classe dirigente niente affatto stupida, che sa di non poter condurre da sola la politica mondiale, e ha bisogno di un rapporto abbastanza buono con gli Stati Uniti, anche per impedire che il gigante economico dell’Europa, la Germania, assuma troppo peso politico. Lo si capisce se si considerano le preoccupazioni che i politici francesi hanno esplicitato al momento dell’unificazione tedesca.

Quanto all’Italia, il “popolo della sinistra” attenderà invano una vera svolta pacifista dal nuovo governo. C’è stato qualche aggiustamento, qualche cauta presa di distanza dall’amico Bush, e un riavvicinamento all’Europa.

Nell’Unione ci sono toni diversi. Prodi è più europeista, D’Alema tende assai più a cercare un’intesa con gli Stati Uniti, e ha definito “missione di pace” l’avventura irachena. Il che ha permesso a Fini di dimostrarsi più prete di Prodi, dicendogli: “Presidente, lei, nel discorso d’insediamento parlò di truppe d’occupazione. Si ravveda e dica che è sbagliato: in Iraq le nostre non sono truppe d’occupazione, ma, come ha detto D’Alema, sono in missione di pace”. Un parroco di campagna non avrebbe fatto un fervorino diverso.

Sfumature a parte, non c’è una differenza sostanziale all’interno dell’asse portante del centrosinistra. Ne risulta che il pacifismo, ancora diffuso nella cosiddetta sinistra radicale, è veramente folclore: con Bertinotti alla presidenza della Camera, Rifondazione non potrà più minacciare di far cadere il governo, e con ciò perderà il potere contrattuale. Suo compito sarà di calmare i pacifisti impazienti, il che potrà riuscire solo per un certo periodo.

L’Italia compensa l’uscita dall’Iraq – relativa, perché ci saranno gli “aiuti”, e forse un po’ di armi, perché il blocco riguarda solo il Libano – col notevole impegno di uomini e mezzi finanziari nella spedizione ONU. Nel caso di un attacco Usa all’Iran, il pericolo per le truppe italiane nel vicino oriente e in Afghanistan crescerà a dismisura, cosa che il “giudizioso” e “assennato” Prodi non ha previsto. Ci sono situazioni in cui il cosiddetto buon senso della borghesia si trasforma in un’autentica pazzia.

In conclusione, se gli USA andranno ancora una volta in guerra, nessuna opposizione reale verrà dall’Europa ufficiale. Ci auguriamo che gli avversari della guerra lo capiscano, e intraprendano una lotta senza riguardi, infischiandosene delle belle parole dei Pacifinti.

11 ottobre 2006


Note

1) Dave Lindorff, Segnali di Guerra, in “l’Ernesto”, da Dave Lindorff “War Signals” su The Nation, 21 settembre 2006.

2) “Vermont Congressional Candidate calls for arrest of Bush and Cheney by US. Military”, VAIW (Veterans against the war)

3) Di Dahr Jamail, “Flashback: Cosa abbiamo fatto ?” Da “Come Donchisciotte”, 3 ottobre 2006. ((Fonte: Dahr Jamail's Iraq Dispatches)

4) “Open Letter To War Criminal George Bush. From a Republican, Christian, veteran, father and patriot” By Joe Cortina, Rense, September 21, 2006. VAIW Veterans Against The Iraq War, www.vaiw.org .

5) Le Prolétaire n.288, aprile 1979. Il Programma Comunista n. 12, 13, giugno 1979.

6) Sono stati consultati, inoltre: Debora Billi “Silenziosamente verso la guerra” in Come Donchisciotte.
“Le favole dei media per la prossima guerra” di Norma Solomon (Common Dream) in Nuovi Mondi Media

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