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(29 Aprile 2010) Enzo Apicella

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25 Aprile : memoria resistente

(25 Aprile 2007)

Il revisionismo, in Italia, è ormai giunto all’affondo finale. Lo testimonia, ancor più del martellante dibattito sui libri di Pansa, l’atteggiamento del Presidente Napolitano che ha inaugurato il suo settennato parlando delle zone d’ombra della Resistenza. E’ il culmine di un processo iniziato nella metà degli anni ’90, nel segno della equiparazione tra partigiani e repubblichini: entrambi avrebbero reagito alla sensazione della morte della patria, diffusasi dopo l’8 settembre e lo sbandamento che ne seguì. Questo percorso è oggi arrivato al definitivo abbandono della Resistenza come mito di fondazione della Repubblica.

Nella lettura ufficiale un tempo in voga la Resistenza era ridotta a liberazione dall’occupante e deprivata delle sue connotazioni più radicali. Ora, invece, si riabilita il fascismo, cui si imputano solo l’iniziale violenza squadrista, le leggi razziali e l’alleanza con la Germania nazista. Tutto ciò che è compreso tra questi avvenimenti sarebbe un autoritarismo benevolo, che aveva magari il torto di non celebrare periodicamente libere elezioni. Il nuovo valore fondante della Repubblica diventa l’antitotalitarismo, ovvero l’avversione ai due mostri del ‘900: nazismo e, soprattutto, comunismo.

E’ in questo quadro che si colloca la criminalizzazione del partigiano comunista. Gli eventi accaduti nel cosiddetto triangolo rosso, nell’immediato dopoguerra, sono restituiti senza il loro contesto, ignorando decenni di violenze subite ad opera del regime.

Dall’equiparazione, cara a Violante, si passa ora al fascista vittima ed al partigiano aggressore. Una lettura stravolta della realtà che mira a rendere credibile l’anticomunismo, che in verità non potrebbe fondarsi sulla concreta esperienza del paese. Una lettura, ancora, che sacrifica recenti acquisizioni della migliore ricerca storiografica. Come quella che restituisce le analogie tra il confino fascista, basato sulla classificazione dei soggetti indesiderati (politici, omosessuali, zingari, prostitute, Testimoni di Geova) ed il sistema concentrazionario nazista, il più feroce della storia. L’idea di un fascismo benevolo, spinge lo storico Giovanni Belardelli ad insistere su un Mussolini estraneo all’antisemitismo, cui sarebbe stato “costretto” da Hitler. Perché si è arrivati a questo? Per lungo tempo abbiamo criticato l’antifascismo ufficiale, che eliminava il lato “scomodo” della Resistenza e ignorava la spinta a combattere, insieme, il nazifascismo ed il capitalismo. Ora tale lettura, pur edulcorata, è superata e per capirne il motivo occorre gettare uno sguardo sull’attuale realtà italiana. A prima vista questo sembra un paese istupidito dalla droga televisiva, segnato da un dibattito politico-culturale di infimo livello, forse il peggiore che la borghesia abbia mai prodotto. La società pare attraversata solo da umori egoistici, per cui ognuno si fa lupo nei confronti del prossimo.

Eppure c'è dell'altro. Dopo anni di attacco ai lavoratori e di progressiva erosione delle garanzie sociali, ovunque nascono lotte, ancora poco collegate tra loro, che coinvolgono anche i nuovi settori precari. Gli immigrati si organizzano autonomamente, nello stesso tempo invocando l’unità con i lavoratori italiani. Dovunque prendono piede mobilitazioni contro la devastazione del territorio e si diffonde la riflessione sul modello di vita che ci è imposto. In questo quadro, si cerca di demonizzare ogni idea che rimandi al protagonismo di massa ed alla possibilità di un ordine sociale diverso. Il paese deve essere pacificato, in un quadro in cui il dissenso è meno tollerato che nei decenni scorsi, quando le istituzioni canalizzavano le spinte sociali meno radicali. A spingere alla concordia, non va dimenticato, concorrono pure le “responsabilità internazionali”, ovvero il coinvolgimento italiano nelle aggressioni imperialiste in varie parti del mondo. Perciò, le lotte non devono svilupparsi, soprattutto non devono assumere una prospettiva di trasformazione sociale. Le sollevazioni collettive del passato, del ’43-’45 come degli anni ’70, vanno additate come “cattivi esempi”.

Ora, reagire a ciò è necessario e non è cosa altra dallo sforzo quotidiano che svolgiamo per creare collegamenti tra le lotte. Ma per reagire va ricostruito un punto di vista autonomo sulla storia di questo paese, che, rispetto alla Resistenza, recuperi in particolare quelle istanze che sono state sacrificate da decenni di antifascismo istituzionale.

Le versioni ufficiali, non lo si dimentichi, hanno agevolato il revisionismo, facendo cadere nell’oblio componenti estranee al CLN, ma molto radicate nelle classi subalterne (come Bandiera Rossa a Roma), e favorendo chi vende l’immagine di un paese che, nel ’43-’45, assisteva passivo allo scontro tra due gruppi.

Recuperare realtà dimenticate, però, non vuol dire solo smontare pezzo dopo pezzo il dogma revisionista.

Ripercorrere decenni di esperienza proletaria può anche aiutare le resistenze attuali a fare un passo in avanti, trasformando il protagonismo di massa e la spinta all’autorganizzazione che le caratterizza in progetto sociale, alternativo allo stato di cose presenti.

Corrispondenze metropolitane – collettivo di controinformazione e d’inchiesta

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