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La sottrazione dei pesci

La sottrazione dei pesci

(19 Luglio 2011) Enzo Apicella
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Le ipoteche sulla Palestina

(16 Giugno 2007)

I drammatici sviluppi della situazione e i violentissimi scontri interni allo scenario politico palestinese, devono essere valutati nella loro interezza e nelle loro possibili conseguenze.

1 Le responsabilità di quanto accaduto pesano enormemente sulla cosiddetta “comunità internazionale” e in modo particolare sull’Unione Europea (compreso il governo italiano), che ha assecondato la politica di strangolamento dei Palestinesi voluta da USA e Israele. Aver contribuito con l’embargo ad affamare la popolazione e a demolire quel minimo di struttura statale nei Territori Palestinesi – assecondando l’assedio di Arafat prima e la delegittimazione del governo palestinese poi, sistematicamente perseguiti da Israele – ha prodotto quella “africanizzazione” della realtà palestinese che ha aperto la strada alla ingovernabilità di Gaza. Il degrado, la miseria, l’assedio hanno prodotto l’autonomizzazione di gruppi e clan che hanno sostituito le istituzioni nella soluzione dei problemi della vita quotidiana di quasi un milione di persone rinchiuse in quella prigione a cielo aperto che è Gaza. La cinica ostinazione con cui Unione Europea e Stati Uniti hanno impedito al governo palestinese democraticamente eletto di fare fronte alle esigenze della popolazione, ha volutamente mirato a questo risultato.

2 L’attuale frammentazione dello scenario politico palestinese spazza via definitivamente l’inganno e le ambiguità del processo negoziale di Oslo e il conseguente ruolo dell’ANP, attraverso la quale si è cercato di liquidare l’OLP come organismo unitario della lotta di liberazione palestinese, rappresentativo sia della popolazione dei Territori Occupati che dei milioni di Palestinesi della diaspora e del loro diritto al ritorno. In questo processo, le responsabilità principali sono di Al Fatah, che è stata la maggiore organizzazione e la fondatrice dell’OLP ma che si è prestata a tale operazione. Nonostante le pressanti richieste dei suoi militanti migliori, a partire dai dirigenti detenuti nelle carceri israeliane, la mancata autoriforma interna di Al Fatah, che non ha più convocato il suo congresso, non ha orientato i suoi militanti e soprattutto non ha voluto fare piazza pulita dei corrotti e dei collaborazionisti filo-israeliani al suo interno, hanno portato ad una crisi di credibilità profonda e per molti versi irreversibile. Oggi l’unica soluzione possibile sarebbe lo scioglimento dell’ANP, la conseguente denuncia degli accordi di Oslo (mai rispettati dagli occupanti israeliani) e la convocazione del congresso di Al Fatah che spazzi via la sua attuale direzione politica e riconsegni quell’organizzazione al suo ruolo storico di movimento di liberazione del popolo palestinese, accanto alle altre forze della resistenza.

3 Nella specifica situazione di Gaza, la decisione di Abu Mazen e di Al Fatah di forzare la mano, affidando nuovamente nei mesi scorsi la sicurezza della Striscia ad un personaggio inviso come Mohammed Dahalan, è stata una scelta sciagurata che ha privilegiato l’idea di sostituire una credibilità perduta con manipoli di uomini armati e finanziati da U.S.A., Egitto e Israele. Questa decisione ha legittimato e scatenato la reazione delle correnti più estreme di Hamas, che hanno avuto gioco facile nella contrapposizione politica, morale e militare con Al Fatah a Gaza, dove il suo volto era rappresentato da personaggi come Dahlan, il cui ruolo di collaborazionista, torturatore e corrotto speculatore non era e non è sconosciuto a nessuno.

4 Oggi si affaccia concretamente il rischio che i Territori Palestinesi si trasformino in bantustans separati tra loro. Esiste cioè il pericolo che il progetto coloniale israeliano si realizzi pienamente con la divisione dei Palestinesi tra Gaza, due enclavi in Cisgiordania e un ghetto sempre più ridotto a Gerusalemme Est. Questa prospettiva viene oggi invocata da tutti i circoli sionisti più aggressivi e non trova proposte alternative da parte della cosiddetta comunità internazionale, che anzi sembra pronta a collaborare per la realizzazione di questo scenario, con il dispiegamento di una forza militare multinazionale a Gaza, irresponsabilmente evocato tempo fa dal ministro D’Alema ed oggi rilanciato dal premier israeliano Olmert e da Javier Solana per l’Unione Europea (con accezioni diverse tra loro). Questa forza non avrebbe altro compito che quello di gendarmeria antipalestinese ed è stata giustamente respinta sia da Mustafà Barghouti sia da Hamas come forza occupante da trattare di conseguenza.

5 E’ bene che questa situazione venga tenuta presente dai tanti, troppi che nel nostro Paese hanno subito la fascinazione dell’intervento in Libano e potrebbero ripetere lo stesso errore sostenendo quello a Gaza. A costoro chiediamo quale pensano possa essere la reazione di una popolazione che subisce da oltre un anno l’affamamento provocato dall’embargo cui è stata sottoposta per non aver votato come volevano a Washington e Tel Aviv: come si pensa verrebbero accolti dai Palestinesi i soldati dei governi, come quello italiano, che hanno contribuito alla disperazione ed alla miseria di Gaza e dell’intera Palestina?

6 Infine, la situazione sul campo, se da un lato ipoteca fortemente le prospettive di decenni di lotta di liberazione dei palestinesi, dall’altro sposta in avanti le soluzioni possibili, mettendo fine all’ipocrisia dei “due Stati per due popoli” e ponendo nuovamente alla discussione la prospettiva di “un solo Stato, laico, democratico e multietnico”, fondato sul concetto di cittadinanza piuttosto che su quello di sangue e religione, uno Stato modernamente inteso che ponga fine, almeno in quell’area, all’orrore storico degli stati confessionali ed etnicamente puri.

Il Forum Palestina in questi anni si è assunto la responsabilità di tenere la questione palestinese dentro l’agenda politica dei movimenti e nel nostro Paese, di impedire con ogni mezzo la liquidazione della “seccatura palestinese” nel dibattito e nell’azione politica della sinistra italiana. Riteniamo che oggi questo compito non sia affatto esaurito, semmai è più drammatico ed urgente. Per questo invitiamo tutte le realtà che in questi anni hanno animato la rete nazionale attivatasi intorno al Forum Palestina ad incentivare le occasioni di confronto e di iniziativa. Anche se il vuoto lasciato dalla scomparsa di Stefano Chiarini non sarà facile da riempire, riteniamo di dovere e potere mantenere gli impegni e il lavoro intrapreso in questi anni, con il contributo di tutti gli amici del popolo palestinese, della pace e della giustizia.

Il Forum Palestina
http://www.forumpalestina.org

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