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CAPITALISMO FINANZIARIO, GOVERNO RENZI, PROSPETTIVE (NERISSIME) PER LAVORATORI E DISOCCUPATI

(24 Giugno 2014)

L’analisi del vero e proprio “mutamento di pelle” verificatosi, nel corso di questi mesi, all’interno del capitalismo italiano nella direzione di un ulteriore salto di qualità nel processo di finanziarizzazione a dimensione internazionale spiega meglio perché il governo Renzi, che è espressione proprio dei settori maggiormente interessati e orientati a questo processo di ulteriore sostituzione della produzione con la finanza, si stia muovendo su temi – al riguardo appunto dell’economia – tutto sommato marginali e si stia concentrando – sotto l’aspetto politico- istituzionale – sulla costruzione di un vero e proprio “regime” a partito pressoché “unico”. L’obiettivo, infatti, è quello di un’ulteriore stretta: altro che “direzione giusta” ma ripresa debole come cianciano a Bruxelles e a Francoforte. Si preparano tempi ancor più cupi per lavoratori e disoccupati.
La ragione di questo giudizio risiede proprio nell’analisi del mutamento strutturale nella composizione del capitalismo italiano, sulla via di un’ulteriore stretta finanziaria.
E’ cominciata, infatti, la fase degli acquisti da parte degli investitori finanziari esteri.
Il capofila è Blackrock che in pochi mesi ha investito 18 miliardi in Piazza Affari.
Questi investitori non vogliono comandare nelle aziende ma sono attentissimi alla governance (e quindi al comportamento degli azionisti di maggioranza e del management) e al ruolo che riveste la politica rispetto alla finanza.
Sono capitali mobili, che si fermano solo finché non trovano opportunità d’investimento ancora più convenienti.
Il punto più delicato della trasformazione del capitalismo italiano è questo.
Un capitalismo senza capitali (o meglio con i capitali all’estero) e con un credito contingentato, per andare avanti ha bisogno di danari che arrivano da fuori.
Ora stanno arrivando perché costiamo poco e il governo Renzi è nato in continuità con questo obiettivo: sorgendo proprio, come molti ricorderanno, da incontri riservati nei luoghi dell’alta finanza londinese, quella che fa riferimento alle Isole Cayman.
In questo modo si comprendono alla perfezione almeno quattro cose:
1) L’assoluta assenza, in qualsiasi atto o annuncio compiuto dal governo Renzi, di riferimenti a una politica industriale rivolta a investimenti interni rivolti ai settori strategici dalla siderurgia, all’elettromeccanica, alla chimica, all’agroalimentare. L’Italia non può permettersi una struttura industriale che porterebbe inevitabilmente con sé un ritorno a concentrazioni operaie giudicate, nell’ambiente dell’alta finanza, “socialmente pericolose”;
2) L’insistenza su vecchi arnesi del neo-liberismo come la flessibilità. La flessibilità è da intendersi come fattore che “accompagni” la mobilità dei capitali e, di conseguenza, ulteriori fenomeni di delocalizzazione e di esternalizzazione di tipo privatistico, in particolare al riguardo della Pubblica Amministrazione, sottoposta a un vero e proprio “bombardamento liquidatorio”del quale appare preoccuparsi, addirittura, lo stesso Presidente della Repubblica.Naturalmente in tutto questo si ravvedono sirene neo-corporative ma si tratta di andare al nocciolo della questione: una pubblica amministrazione eccessivamente concentrata rappresenta anch’essa un ostacolo per questa presuntamente necessaria mobilità di capitali.
3) E’ in funzione della possibile nuova ondata di finanziarizzazione dell’economia che il governo Renzi si muove sul terreno europeo con proposte di apparente richiesta di diminuzione del peso dell’austerità. E’ cambiato il quadro. Monti e Letta erano sorti per svolgere il ruolo di “guardiani dello spread”, Renzi per garantire l’assalto alle residue potenzialità dell’industria italiana e ridurla alle ragioni della finanza. E’ su questo punto che occorrerebbe il massimo della decodificazione e della demistificazione delle falsità correnti, ma vige ormai un regime di “mediatizzazione” degli stessi comportamenti politici che impedisce di analizzare questi dati di fatto;
4) Tutto questo quadro va garantito con il massimo possibile della “stabilità” politica anche e proprio sotto l’aspetto degli interpreti del potere dal punto di vista soggettivo. E’ questa la ragione del tentativo di costruzione di un vero e proprio “regime” tagliando organismi istituzionali, varando leggi elettorali che negano qualsiasi possibilità di dialettica istituzionale, puntando alla costruzione del “partito unico della nazione”, comunque già operante di fatto sotto l’insegna di quel “partito di cartello” che i muoverà univocamente per mantenere ai propri attori di riferimento lo “status” e il “ruolo” e, in realtà, non farà altro, alla fine, che suffragare la costruzione di un sistema politico legato sostanzialmente alla “moderna” mobilità di capitali (torna sempre alla mente il ruolo della finanza ai tempi di Napoleone III) anziché alla rappresentanza politica delle contraddizioni sociali.
Se queste non sono ragioni, a sinistra, per pensare da subito a un’opposizione di fase e di sistema…

Franco Astengo

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