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La Fiom e la Fiat

La Fiom e la Fiat

(29 Dicembre 2010) Enzo Apicella
La Cgil attacca la Fiom per essersi opposta al ricatto di Marchionne

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REALTÀ DEI POTERI DI CLASSE
E MOSCHE COCCHIERE

(19 Gennaio 2017)

La sentenza della Corte Costituzionale ha infine bocciato il quesito referendario mirante a reintrodurre la normativa che prevedeva il reintegro dei lavoratori licenziati illegit-timamente, forma di tutela di fatto azzerata dal Jobs Act del Governo Renzi. Rimane così sul campo un pacchetto referendario evidentemente azzoppato (passa il vaglio il referendum sui voucher e sulla responsabilità in solido di appaltante e appaltatore nei confronti dei lavoratori), privato del quesito-simbolo sull’articolo 18.
Dai vertici della Cgil, che aveva raccolto le firme necessarie per la presentazione dei quesiti, sono pervenuti i prevedibili piagnistei, accompagnati da accuse di scorrettezza e di indebite pressioni da parte del Governo sui giudici della Consulta. La lezione da trarre per un corpo di attivisti sindacali degni di questo nome dovrebbe invece imporsi con cristallina chiarezza: ecco cosa succede quando ci si consegna in mani altrui. Ecco cosa succede quando, invece di impostare un’autonoma battaglia, condotta con gli strumenti e le modalità di organizzazione e di lotta elaborati nell’esperienza storica secolare del movimento operaio, ci si impantana in una prassi e in una logica grettamente “forensi”, ciecamente istituzionali. Ecco i risultati riservati ad un sindacato inabissatosi nella disperata subordinazione alle logiche parlamentari, alle “soluzioni” fornite da ambiti istituzionali storicamente e inevitabilmente espressione delle classi dominanti. Ecco cosa succede quando si preferisce alla lotta la raccolta di firme, quando si manda in soffitta lo sciopero in nome della presunta modernità di strategie sindacali affidate ai consulenti legali e ai politicanti infeudati in qualche giunta o apparato di partito borghese. Se si lotta si può essere sconfitti, se si fa appello al senso di giustizia, al buon cuore, al diritto delle classi dominanti, neanche la dignità della sconfitta è prevista, ci si condanna al ridicolo del servo sciocco (o all’infamia del domestico in combutta con il padrone in cambio delle briciole della sua tavola). Ma, come dicevamo, per poter accogliere questa lampante lezione, occorre essere almeno definibili come attivisti sindacali, con quello che questo termine storicamente comporta. Difatti la reazione dei vertici della burocrazia Cgil è stata nel segno della conferma della via giudiziaria come risorsa principe del proprio arsenale rivendicativo. D’altronde perché mettere in discussione un metodo che tanti successi sta regalando?
L’unica buona notizia per la Cgil, in questo tragicomico disastro, è che con ogni probabilità la sentenza della Consulta la sottrarrà al destino di vedersi bastonata senza appello alle urne (o con il prevalere dei voti contrari o con il mancato raggiungimento del quorum). Le viene infatti almeno concessa l’infima possibilità di invocare la parziale bocciatura come scusante e di sussurrare l’impotente rimpianto per quella vittoriosa campagna referendaria che avrebbe potuto dispiegarsi se i “poteri forti” non ci avessero messo lo zampino...Infatti, quel blocco sociale e politico uscito vincitore dal precedente referendum costituzionale non ha atteso nemmeno l’effettiva chiamata alle urne per proclamare la propria totale indisponibilità a ricomporsi al servizio dei quesiti promossi dal sindacato. Mentre la Lega ha giocato su due tavoli (c’è chi ha criticato la sentenza che ha salvato il provvedimento simbolo del Jobs Act e chi l’ha elogiata), il resto del centro-destra ha inneggiato alla sconfitta della Cgil. I grillini e il loro giornale di riferimento, il Fatto Quotidiano, hanno da parte loro volato molto basso. Nulla di strano: un conto è atteggiarsi a forza di strenua opposizione sul terreno del referendum costituzionale, un altro è farlo sul tema dello strapotere padronale sulla forza-lavoro, con il rischio di alienarsi le simpatie, elettoralmente preziose, di orde di imprenditori a cui la maggiore libertà di licenziamento sancita dal Governo Renzi e l’utilizzo dei voucher garbano moltissimo. E così le mosche cocchiere sindacali si sono ritrovate di colpo senza carro, senza cavalli e senza cocchiere. Possono ormai solo ronzare nel vuoto della perdita di una forza che non era loro. Il vittorioso fronte borghese del referendum costituzionale, in cui il No sociale o proletario sognava di potersi ritagliare uno spazio autonomo o di ricavare vantaggi tattici per la classe operaia, le ha piantate in asso, mettendo a nudo tutta l’inconsistenza e il velleitarismo dei loro disegni e progetti. L’ennesima, velenosa, bolla di sapone con cui si è voluto ingannare i proletari è scoppiata nell’aria, ce ne saranno altre. Rimane però anche l’ennesima conferma della necessità, dell’insostituibilità di una strategia di lotta autonoma del proletariato. Una lezione chiara ma solo per chi può e vuole riconoscerla e farla propria.

Prospettiva Marxista

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