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Il pappagallo

(8 Giugno 2010) Enzo Apicella

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(No basi, no guerre)

No alla guerra, chiudere Camp Darby e le basi Usa Nato

sciopero generale contro la guerra, sostegno attivo alle mobilitazioni pacifiste

(26 Febbraio 2003)

Le proteste contro il trasporto su rotaia delle armi verso la base militare di Camp Darby confermano quanto abbiamo detto negli ultimi anni sul ruolo strategico della base di Tombolo in ogni guerra intrapresa dagli Stati Uniti, un insostituibile supporto logistico considerata la vicinanza al porto di Livorno e all’aeroporto militare di Pisa.

Negli ultimi dodici anni la guerra permanente ha ricostruito assetti geopolitici, economici e strategico militari decretando il rafforzamento del ruolo imperialista degli Usa, la irreversibile crisi degli strumenti internazionali come l’Onu che nel 1991 avallarono la guerra nel Golfo e, negli anni successivi, palesarono l’incapacità di proporre e di far valere soluzioni pacifiche in Medio Oriente ed Asia minore, per esempio a vantaggio di popoli martoriati come i Palestinesi e i Kurdi che subiscono un autentico apartheid da parte di due stati alleati degli Usa : Israele e Turchia..

La guerra permanente si allarga anche al continente latino americano come dimostra la presenza di soldati ed esperti militari usa in Perù e in Colombia, ovunque esista una guerriglia ed una opposizione popolare.

Ci preme sottolineare che le guerre del petrolio sono anche guerre per il controllo dei corridoi, dei gasdotti, per esempio per la gestione del corridoio 10 che collega il Mar Nero e Mare del Nord e consente il diretto afflusso alle risorse energetiche del Medio Oriente . Chi gestisce i corridoi controlla l’economia mondiale, le guerre servono per rafforzare la supremazia economica militare e tecnologica, lo sanno bene Francia e Germania ,il PIL europeo nel 1999 aveva raggiunto quello Statunitense ma dopo il Kosovo è entrato in una piccola fase recessiva scontando il ritardo tecnologico e militar industriale. Anche per queste ragioni i paesi prima citati stanno ritardando l’assenso alla guerra contro l’Iraq . Negli anni novanta abbiamo assistito acriticamente e senza alcuna etica pacifista alla occupazione sistematica da parte delle Multinazionali di intere aree del mondo, insieme alle truppe sono confluiti investimenti capitali che hanno imposto ai paesi meno sviluppati la svendita, e il saccheggio, delle loro risorse naturali, energetiche e agricole, una vera e propria colonizzazione.

Contemporaneamente il lavoro si è sempre più precarizzato, sono cresciuti part time laddove esistevano impieghi a tempo pieno, si è fatta strada e si è ormai stabilizzato un lavoro atipico la stessa legislazione in tema di lavoro e diritti si è uniformata, in peggio, a questo nuovo ordine mondiale. A noi preme sottolineare l’incapacità di gran parte delle organizzazioni politiche e sindacali, dei pensatoi critici a riportare al centro la contraddizione capitale lavoro per far comprendere come il Nuovo ordine mondiale sia strettamente connesso alla flessibilità di manodopera con sempre minori diritti, alla delocalizzazione di rami produttivi nei paesi dove sistematico è lo sfruttamento della manodopera, dove l’assenza di tutela per la forza lavoro si unisce al restringimento delle condizioni di libertà collettive ed individuali. Non avere colto questo nesso porta a ritenere scisse le lotte contro la guerra dalle rivendicazioni salariali sociali e sindacali, porta ad una generica cultura antiglobalizzazione che ritarda la costruzione di una opposizione sociale e di massa nei paesi a capitalismo avanzato, non permette per esempio di andare oltre ad una pur giusta e condivisibile critica ambientalista a progetti come la TAV (alta velocità) che rientra a pieno titolo nella disputa per stabilire i percorsi del Corridoio 5 con l’impegno diretto della Fiat (caldeggiato da Prodi) a discapito di investimenti nella produzione industriale e nel rilancio della produzione industriale.

La guerra permanente ha così fatto le prime vittime, dalle popolazioni delle zone colpite, dai milioni di vittime degli embarghi ai malati e decessi per le bombe all’uranio impoverito fino ai lavoratori e alle lavoratrici flessibilizzati e precariati. E’ in questo scenario che si muove la nuova guerra Usa.

Le proteste di questi giorni, la dichiarazione della Cgil, oltre a quella “scontata” dei Cobas e del sindacalismo di base, a favore di uno sciopero generale contro la guerra, danno forza e concretezza alla protesta pacifista ma occorre saldare le rivendicazioni interne, salariali sociali e rivendicative alla opposizione al conflitto senza se e senza ma con il sostegno a tutte le mobilitazioni di questi giorni per ritardare l’arrivo dei convogli militari alle basi militari. Lo scenario che si apre ci riporta ad alcune considerazioni e a ridisegnare gli obiettivi.

Nelle rivendicazioni il riferimento alla chiusura delle basi militari e alla loro ricollocazione per uso sociale non può che unirsi ad un esplicito riferimento contro la Nato che nelle sue ultime ridefinizioni rimane il caposaldo delle politiche di aggressione degli Usa

Il NO alla guerra sia esso etico, politico culturale necessita di azioni concrete e di una coerenza di fondo che certo non si limiti ai parlamenti o alle dichiarazioni di intenti degli Amministratori locali. Sono i Comuni e le Province luoghi dove portare la protesta perché il no generico alla guerra viene dettato spesso da opportunismi elettorali in prossimità delle elezioni primaverili, perché ci si opponga non solo al potenziamento delle basi militari ma ad ogni rafforzamento di strutture militari, di attività economiche e logistiche connesse al ramo bellico. Un esempio eclatante è il regalo di terreni da parte di molte Amministrazioni per la costruzione di case destinate a corpi speciali e militari.

Pensiamo infine che l’impegno dei Sindacati non si possa limitare ad una giornata di sciopero generale ma ad altre iniziative a singhiozzo per non accettare la guerra e per non convivere con essa, per bloccare le città, i porti le stazioni , i luoghi della produzione e della circolazione di merci, per generalizzare il no alla guerra, per far comprendere all’opinione pubblica i danni e le conseguenze dei conflitti, le ripercussioni sui salari, sulle pensioni e sui diritti.

Sono le organizzazioni sindacali a dovere scendere in campo non solo nei Porti e nelle ferrovie ma anche nei Comuni, nel terziario, nei servizi perché la quotidianità e i riti ad essa collegati siano interrotti e ostacolati per risvegliare non solo le coscienze ma per toccare interessi materiali.

Verso la manifestazione di Camp Darby del prossimo 8 Marzo e verso lo sciopero generale contro la guerra senza se e senza ma, per generalizzare l’opposizione al conflitto e perché le forme di lotta siano il più possibile partecipate non limitandosi solo alla sfera rivendicativa e simbolica

Confederazione Cobas

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