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Iran, l’urlo afono delle sanzioni

(14 Gennaio 2010)

Massoud Mohammadi

Massoud Mohammadi

L’uccisione con moto-bomba dell’ingegnere Massoud Mohammadi introduce sul tema del nucleare variabili che pur s’adeguano al clima d’instabilità vissuta attualmente dall’Iran. Proprio a ridosso dell’avvio delle annunciate sanzioni, secondo quanto predisposto dal segretario di Stato statunitense Clinton col benestare degli alleati occidentali (Gran Bretagna, Francia e Germania) più Russia e Cina, si può supporre che i Servizi di qualcuna di queste potenze stiano aggiungendo il “convincente” zampino dell’attentato destabilizzante. Nei mesi scorsi il contestato governo di Teheran aveva lanciato al Sis britannico l’esplicita accusa d’infiltrazione fra le componenti che agitano le piazze. Addebito tutto da provare ma neppure da escludere visto che non è un segreto che la Cia per decenni ha infiltrato suoi uomini fra i Mujaheddin e in altri casi li ha militarmente addestrati. Si può anche supporre che l’ultima bomba sia opera dei Servizi iraniani nel progetto di compattare con la paura il fronte interno in funzione antioccidentale e antisanzioni.

Certo oppositori degli ayatollah come i combattententi Jundallah del Beluchistan, foraggiati dai Servizi americani com’essi stessi confermano, hanno intrapreso da tempo la via degli attentati. E nel più grave attacco subìto dalla Repubblica Islamica nello scorso ottobre hanno colpito duramente l’ala militare dei Guardiani della Rivoluzione arrivando a ucciderne esponenti di spicco come il generale Shusthari. Lo scontro in quell’area povera ma strategica per l’attuale traffico d’oppio e il possibile passaggio di gasdotti, non è altro che una delle facce della partita energetica rilanciata dalle potenze mondiali. E’ bene però fare un distinguo. Cina e Russia sono giganti, uno economico l’altro energetico, tutt’altro che assommabili agli interessi di Stati Uniti e alleanti europei. Fra le parti ci possono essere intese e al tempo smarcamenti soggettivi poiché il Grande Medio Oriente su cui le due potenze s’affacciano e l’Iran, che non nasconde velleità d’egemonia regionale, sono un affare a sé stante. Questa nazione è la via più breve per smistare i traffici provenienti sia dal Mar Caspio sia dall’Asia, preferibile all’Afghanistan prigioniero e foraggiatore d’una guerra senza tempo, e preferibile all’instabile Pakistan.

Due delle sei nazioni del punitivo “cinque + uno” che dovrebbe attuare le sanzioni, non sono assolutamente intenzionate a interrompere favorevoli scambi con l’Iran, non l’hanno fatto ai tempi dell’affarista Rafsanjani, poi di Khatami e neppure sotto il governo del radicale Ahmadinejad. Ma se si gratta un po’ negli affari l’Unione Europea (Germania, Francia e pure Italia) ha un ottimo mercato d’esportazione pari al 40% delle merci che arrivano in quel Paese, sceso attorno al 33% solo negli ultimi tempi. Se è vero che per l’Europa l’import e l’export verso l’Iran abbiano percentuali basse (attorno all’1% dei movimenti) bellamente sopravanzati dal rapporto con altri partner, è anche vero che il mercato energetico (petrolio e metano) di quel Paese costituisce tutt’ora il 93% del rifornimento energetico del vecchio continente. E se la catena a reazione delle sanzioni può condurre i membri della Ue a riversare su altri mercati i prodotti finiti che vanno tuttora in Iran (seppure in tempo di crisi gettare al vento commesse non è come dirlo), l’eventuale mancato arrivo di petrolio e gas potrebbe nuocere non poco all’Europa.

Ne scaturirebbe un vero boomerang. Senza contare che Total ma anche Eni e affini non sarebbero disposte a rinunciare a cuor leggero ai propri affari, e con loro aziende illustri: la tedesca Siemens, la britannica Terram, la francese Leograd, la belga Reynaers e una miriade di medie e piccole imprese. Un conto sono gli affari di Stato, intesi come princìpi, altro è il business. Perciò l’embargo può avere l’aria d’essere un urlo afono e di questo è cosciente ciascun attore di ogni parte. Certo gli States sono in posizione energetica diversa dall’Ue seppure la crisi economica, che ha reso il dollaro sempre più condizionato dallo yuan, ha in parte ridimensionato l’arroganza yankee. Ma l’effetto mediatico della minaccia punta al consenso e in questo Obama nonostante le iniziali intenzioni non si sta discostando dalla linea Bush e potrebbe lanciare verso l’Iran la stessa inutile e anabolizzata muscolarità rivolta al jhihadismo afgano o del Golfo. Il gioco dei conflitti interetnici e religiosi fomentati nel Beluchistan non sono diversi da quel che si vede fare nello Yemen.

Fra la tecnologia che l’Europa riversa in Iran c’è quella necessaria al trasporto di metano che da noi, nell’attuale assenza di gasdotti da quella regione, giunge in nave dopo essere stato liquefatto e poi riportato allo stato gassoso. Altra operazione che solo compagnìe occidentali possono effettuare ed esse, naturalmente per continuare i propri commerci, non cedono agli iraniani strumenti e tecniche per rendere autosufficiente l’operazione. Ma in futuro tale tecnologia potrà giungere dalla Cina o dall’India e comunque eventuali sanzioni che escludessero l’arrivo di quel metano non farebbero che incrementare la corsa iraniana all’arricchimento dell’uranio per utilizzare future centrali nucleari sia in campo energetico sia militare. Rilanciare le sanzioni significa paradossalmente sospingere l’Iran nella volata al nucleare anziché fermarla. L’obiettivo nucleare da tempo mette d’accordo ogni componente del variegato panorama politico: i pasdaran, gli ayatollah tutti, da Khamenei a Sorush passando per Khatami, e quella stessa opposizione che vuole conservare una Repubblica Islamica indipendente. Forse la pensa diversamente solo chi cerca un governo filoccidentale.

13 gennaio 2010

Enrico Campofreda

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