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Déjà vu

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(13 Ottobre 2011) Enzo Apicella
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Il governo santos che verra’: continuita’ narco-paramilitare e debolezza strutturale

(29 Giugno 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.nuovacolombia.net



Quando, alle 21.00 circa di domenica 20 giugno, è stato reso pubblico l’esito del ballottaggio per la presidenza in Colombia, abbiamo avuto la conferma di una chiara tendenza delineatasi già al primo turno: da una parte, la schiacciante vittoria di Juan Manuel Santos (69,05% dei voti) contro il lituano Antanas Mockus (27,52%), e dall’altra l’incremento dell’astensionismo, superiore al 55% (quasi 5 punti in più rispetto al primo turno). Considerando che i suddetti dati sono scaturiti dal 99,91% dei seggi scrutinati, si possono prendere come definitivi. Questi sono i due fattori chiave emersi dalla giornata elettorale, sic et simpliciter. Tuttavia, sarà opportuno analizzarne le premesse, le cause, gli effetti a breve e medio termine e la portata, al fine di non precipitare nel dirupo delle banalità e dei luoghi comuni che, in queste ultime settimane, hanno caratterizzato gli articoli dei più variegati “analisti”, “esperti”, “inviati speciali” e via discorrendo, alcuni dei quali purtroppo trovano spesso spazio anche su media alternativi o sedicenti tali.

CHI E’ JUAN MANUEL SANTOS

Ma iniziamo da Santos, ribattezzato dal movimento popolare colombiano “Chucky” (il riferimento al tetro pupazzo della saga horror ‘La Bambola Assassina’ è puramente voluto, confrontatene le foto e capirete il perchè...)

Figlio ed erede di una delle tre dinastie storicamente piú potenti ed influenti dell’oligarchia colombiana, si è formato negli Stati Uniti (Economia all’Università del Kansas, master in quella di Harvard), iniziando poi la sua carriera come giornalista -fino a diventare vicedirettore del più importante quotidiano del paese, El Tiempo, di proprietà della famiglia Santos- e rappresentante a Londra dell’Organizzazione Internazionale del Caffè. Nel 1991 viene nominato ministro del Commercio Esterno, ministero creato ad hoc dall’allora presidente César Gaviria per implementare la sciagurata “Apertura Economica”, con cui venne imposto a ferro e fuoco un modello ultra-liberista. Nel periodo 1995-97 ha fatto parte del triunvirato che dirigeva il Partito Liberale, da cui però è uscito in seguito per pre-candidarsi (senza fortuna) alla Presidenza. Nel 2000 è stato designato ministro delle Finanze sotto il governo del conservatore Andrés Pastrana, rendendosi artefice di politiche fiscali nettamente filo-padronali ed anti-popolari. Nel 2003 è uscito nuovamente dal Partito Liberale per appoggiare Alvaro Uribe, ed alla fine del 2005 ha fondato il Partito della U per agglutinare tutto l’arco politico-partitico uribista. Nel 2006, dopo aver diretto la U, Uribe lo ha ricompensato nominandolo ministro della Difesa.

Se durante il governo del liberale Samper, che aveva cercato di destituire con un golpe (poi abortito) ordito con paramilitari e settori dei poteri forti, e durante quello di Pastrana, era stato un deciso assertore delle smilitarizzazioni di aree dove si potessero condurre dialoghi con la guerriglia, come ministro di Uribe si è dimostrato un acerrimo nemico di qualunque soluzione politica dialogata, nonché un carnale fautore della politica fascista della “Seguridad Democrática”, versione attuale ed applicata alla Colombia della Dottrina della Sicurezza Nazionale made in USA. Mentre nel 1999 pubblicava un libro sponsorizzando l’imbroglio della “terza via”, al cui contenuto collaborò nientemeno che Tony Blair, nell’ultimo decennio si è dimostrato un fanatico della concezione securitaria e del capitalismo tout court.

Come recente ministro della Difesa, è stato uno dei più alti mandanti e responsabili del bombardamento in territorio ecuadoriano (1 marzo 2008), che ha rivendicato con orgoglio nel più totale disprezzo alla violata sovranità di quel paese limitrofe, e di un amplissimo ventaglio di agghiaccianti violazioni dei diritti umani (“falsi positivi”, fosse comuni, incremento dello sfollamento forzato, detenzione arbitraria di oltre 150.000 colombiani, ecc.). Inoltre, si è distinto per un perenne servilismo nei confronti degli interessi -nel paese e nella regione- delle autorità di Washington e Tel Aviv, con cui intrattiene rapporti strettissimi, e conseguentemente per un approccio aggressivo e destabilizzatore verso i paesi progressisti ed antimperialisti del continente.

Da questo breve curriculum di JM, si evince chiaramente che il losco figuro che si insedierà il prossimo 7 agosto al Palazzo di Nariño non ha scrupoli, ha una potentissima base economico-finanziaria e mediatica che lo sostiene e si fa trasformista politico, per guadagnare ulteriori posizioni e potere o consolidarli, ogni qual volta la ‘congiuntura’ glie lo suggerisce.

PERCHE’ MOCKUS...

Aurelijus Rutenis Antanas Mockus Šivickas, figlio di emigrati lituani e filosofo di formazione accademica, è salito alla ribalta del teatrino politico colombiano a partire dal 1995, quando diventò sindaco di Bogotá (considerata da molti come la seconda carica istituzionale più importante del paese). Per due anni predicò metodi pedagogici presuntamente innovativi applicati all’amministrazione della cosa pubblica, ed una supposta “etica” che però non ha mai travalicato la dimensione puramente parolaia. Nel 1997, infatti, si è dimesso per candidarsi come formula vice-presidenziale della conservatrice Noemí Sanín, altra campioncina di quell’opportunismo e di quel trasformismo politicante così propri del ceto politico tradizionale colombiano.
Nel 2001 è diventato nuovamente sindaco della capitale. Nel 2006 ha lanciato il movimento “Visionari con Antanas” contestualmente alla campagna elettorale per il Congresso, nel quale però non riuscì a piazzare nemmeno un parlamentare. Due mesi dopo ha riprovato a raggiungere la presidenza della Repubblica, non senza aver prima riposto nel cassetto i suoi “Visionari” ed esser salito sul minuscolo e strumentale carrozzone della cosiddetta “Alleanza Sociale ed Indigena”.

Non essendo pienamente organico ai due partiti tradizionali, Mockus ha fatto delle stravaganze e delle uscite ad effetto un prezioso strumento per attirare su di sé l’attenzione mediatica e dell’opinione pubblica: mostrare il sedere agli studenti che lo contestavano, girare per Bogotá indossando il costume da Superman e sposarsi in un circo sul dorso di un elefante sono soltanto alcune delle buffonate inscenate da questo intellettualoide.

Nonostante l’immagine di originalità e contrariamente a quanto affermato con abbondante superficialità da molti, Mockus non rappresentava una reale alternativa a Santos, e le sue effimere promesse di un “nuovo modo di fare politica”, “trasparenza”, “etica” e “lotta alla corruzione” (non v’è politicante colombiano che non si sia riempito la bocca di questi leit motiv), erano ad uso e consumo della campagna elettorale.
Ad abundantiam, val bene ricordare che come rettore dell’Università Nazionale di Bogotá prima, e come politico poi, Mockus è sempre stato un autoritario ed un liberista. Alla faccia del “visionario”, dell’ “indigenista” e, più recentemente, del “verde”.

Nell’ultima campagna elettorale, peraltro, ha ribadito la propria fedeltà alla “Sicurezza Democratica”, al Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti, alle basi militari a stelle e strisce in territorio colombiano, alla guerra controinsorgente ed alla politica di negazione totale di una ricerca di accordi umanitari e di pace con la parte belligerante opposta, vale a dire il movimento guerrigliero. Altro che “ecologista” ed accademico “progressista”, come alcuni sprovveduti ed ingenui credevano o credono! Altro che “degno contendente”, “interlocutore della cittadinanza” e “restio ad accordi con altri partiti”, la cui sconfitta non ne inficerebbe la proiezione verso il consolidamento di un progetto di opposizione! Del resto, non solo Mockus aveva già fatto un accordo con l’uribista ed ex sindaco di Medellín, Sergio Fajardo, proposto come suo ipotetico vicepresidente, ma negli ultimi giorni ha anche annunciato che non condurrà opposizione alcuna al governo Santos, con il quale non esclude di collaborare...

Eppure, di tutti i candidati, era quello ad avere il profilo più idoneo per essere usato come specchietto per le allodole in questa delicata congiuntura elettorale e politica. Presentarlo come possibile alternativa, gonfiandone i consensi nella fase in cui impazzavano i sondaggi delle più svariate imprese specializzate del settore, è stata una mossa maestra di un’oligarchia che aveva un disperato bisogno di legittimare, in qualche modo, la farsa elettorale ed un regime sempre più delegittimato da otto anni di governo Uribe. E, prendendo due piccioni con una fava, una tattica per catalizzare e simultaneamente illudere (per poi bastonarlo e demoralizzarlo) il diffuso sentimento di ripudio nei confronti dell’uribismo.

COME HA VINTO SANTOS

In un paese di circa 45 milioni di abitanti (più 5 residenti all’estero), in cui gli aventi diritto al voto sono quasi 30, l’astensione è da decenni superiore al 50%. Queste elezioni presidenziali non sono certo state un’eccezione, dato che al primo turno si è astenuto il 51% del corpo elettorale, ed al ballottaggio oltre il 55%. Ciò nonostante, il tasso reale di astensione potrebbe essere di gran lunga superiore, e vi spieghiamo perchè.

Da una parte, è cosa risaputa che in Colombia votano i morti, e molti vivi lo fanno anche due o tre volte. Dall’altra, ed è uno scandalo che sta venendo a galla in questi giorni grazie anche alle denunce de La Radio del Sur, la Registraduría Nacional del Estado Civil, organismo dello Stato deputato a gestire il processo elettorale, ha appaltato l’intera logistica dello stesso ad un consorzio di imprese chiamato UTD, Unión Temporal Disproel. La Tomas Greg y Sons de Colombia, la Tomas Greg y Sons Limited, la Tomas Greg Express e la Tomas Greg Transportadora de Valores, tutte imprese appartenenti alla UTD, sono collegate a Juan Manuel Santos, che tra il 2002 ed il 2006 ha anche fatto parte dei loro rispettivi consigli di amministrazione. La UTD ha preparato sia le schede di prova sia quelle poi utilizzate effettivamente nelle elezioni, così come i kit elettorali, ha trasportato il complesso delle schede ai diversi municipi ed ai seggi elettorali, ed ha raccolto i formulari nonché le schede stesse alla fine delle votazioni.

Inoltre, siamo anche venuti a conoscenza dell’Operazione “Titanio 4”, diretta dal COPERS (Commando di Operazioni Speciali) della Polizia Nazionale e spalleggiata dalle Forze Armate tutte. Questa operazione, condotta col pretesto di applicare inderogabili protocolli di sicurezza, è consistita nel sottrarre, cambiare, far sparire o alterare le urne in moltissimi centri elettorali, di concerto col personale di quella stessa Registraduría il cui massimo dirigente sindacale aveva tenuto una riunione molto discreta con JM Santos a ridosso del primo turno delle presidenziali. Inutile ricordare il movente: l’intero apparato coercitivo/repressivo dello Stato colombiano vede in Santos uno dei grandi artefici e garanti della continuità dell’afflusso, ogni anno, di centinaia di milioni di dollari di “aiuti” militari dagli USA, che in parte finiscono nelle tasche degli alti comandi di esercito e polizia attraverso una corruzione tanto radicata quanto ramificata ed impunita: appalti pilotati, mega-acquisti gonfiati o fittizi di armamento ed altri materiali da guerra, tangenti, ricompense e via discorrendo.
Dulcis in fundo, ma non in ordine di importanza, non va dimenticato che il sistema elettronico di conteggio dei voti, operativo nelle elezioni in questione, era sotto il controllo degli Stati Uniti e facilmente manipolabile dagli esperti informatici con accesso alla matrice dei suoi softwares.

Sul piano squisitamente politico, era scontato che Santos sarebbe arrivato al ballottaggio con l’appoggio di quei partiti (con l’eccezione del Polo Democratico) che, dopo esser stati sconfitti senza gloria al primo turno, si sono affrettati a salire sul carrozzone del vittorioso “Chucky”: quello Liberale, quello Conservatore e Cambio Radical, che si sono aggiunti al partito paramilitare del PIN (Partito d’Integrazione Nazionale) ed a quei settori cosiddetti “indipendenti” che sono espressione politico-istituzionale -a livello regionale o nazionale- delle mafie paramilitari con cui Uribe e i Santos (non solo Juan Manuel, ma anche il vicepresidente e suo cugino Francisco) sono in totale simbiosi.

A questi fattori, possiamo aggiungere l’influenza mediatica e la solida base economica da spendere in una campagna in stile hollywoodiano, così come il sostegno -nemmeno tanto dissimulato e mai effimero- da parte dell’ambasciata gringa a Bogotá, che rappresenta il vero centro decisionale strategico nel paese. E, senza pudore, l’appoggio dichiarato di un settore sindacale facente capo alla CGT (Confederación General del Trabajo, filo-padronale e perfettamente inserita nel neo-corporativismo implementato in otto anni di governo Uribe), per ottenere il quale Santos ha addirittura candidato come vicepresidente Angelino Garzón, cosa che conferma la sua vocazione camaleontica.

Su questo spregevole soggetto, che dal 7 agosto sarà il vice di JM, è bene spendere due parole: dopo anni passati nella sinistra, come vicepresidente dell’Unión Patriótica e segretario generale della CUT (Centrale Unitaria dei Lavoratori), nonchè membro della Commissione di Facilitazione di un Accordo Umanitario con le FARC, nel 2003 è stato eletto governatore dell’importante dipartimento del Valle del Cauca nelle fila del Polo Democratico Alternativo. Al termine di questo mandato, nel giugno del 2007 ha accompagnato Uribe a Washington a elemosinare un Trattato di Libero Commercio; è nel 2009, però, che il processo di cooptazione di questo farabutto arriva a destinazione, con la sua nomina ad ambasciatore dello Stato terrorista della Colombia presso l’ONU, a Ginevra, dove si è impegnato a cercare di ripulire l’immagine del regime in materia di diritti umani.
Come il lettore avrà capito, si tratta di un meschino rinnegato, un prostituto della politica estraneo ai circoli dorati dell’oligarchia e tuttavia utile a Santos per confondere le acque e perorare la causa del TLC con gli USA, il cui Congresso ne ha congelato l’approvazione per via dell’opposizione di molti rappresentati del Partito Democratico, critici nei confronti di Uribe per la persecuzione ai danni dei sindacalisti colombiani e per lo scandalo dei “falsos positivos”.

QUELLO NUOVO SARA’ UN GOVERNO DEBOLE

Nonostante il circo mediatico colombiano ed internazionale abbia parlato di una vittoria epocale di Santos, che secondo la Registraduría avrebbe ottenuto la votazione più alta nella storia delle elezioni presidenziali (circa 9 milioni), abbiamo assistito ad un processo elettorale caratterizzato da clamorosi brogli, vergognose compravendite di voti, diffuso transfughismo politico-partitico, oscuri intrighi e complotti ed innumerevoli minacce, coercizioni e violenze da parte dell’apparato militare e paramilitare.

E’ vero che Santos ha ottenuto -precipuamente grazie tutti questi stratagemmi e fenomeni illeciti ed illegittimi- la maggioranza, ma della minoranza degli aventi diritto al voto (circa 30 milioni) e della popolazione complessiva. Una minoranza costituita in gran parte dall’oligarchia, dalla borghesia e da settori di classe media che, anche in virtù del ruolo nefasto ed alienante giocato dai media di regime, credono che il continuismo incarnato da Santos permetterà loro di continuare a sognare un’ascesa sociale che, tuttavia, è e resterà una chimera.

La verità è che la maggioranza (oltre il 56%) ha optato per l’astensione, e che circa 750.000 elettori hanno votato in bianco o nullo. Senza contare chi, per protesta, ha votato Mockus illudendosi nella possibilità di un’inversione di rotta.

Santos, che è un criminale ed un mastro cerimoniere dell’imperialismo USA e del sionismo in Colombia e in Latinoamerica, ma che non è uno stupido, lo sa, così come ha capito che la sua figura, per quanto incensata e sponsorizzata da Washington ed Unione Europea, non basterà a proporsi come “redentore”, “messia” e “capo assoluto” dell’intricato tessuto borghese-oligarchico colombiano, cosa che invece riuscì ad Uribe nel 2002. Tale limite lo ha spinto in questa fase a smorzare i toni della polemica elettorale, e persino ad offrire cariche di primo piano, nell’esecutivo che verrà, ai piú importanti capi dei partiti contendenti. Ne è una palese dimostrazione l’appello lanciato dal presidente neo-eletto a lavorare alla cosiddetta “Unità Nazionale”, che ricorda per certi aspetti il famigerato “Frente Nacional” che sancì l’alleanza burocratico-istituzionale tra conservatori e liberali per governare il paese, con alternanza pianificata ed escludente, tra il 1958 ed il 1974.

Inoltre, Santos è co-artefice ed erede di un paese colpito duramente dalla crisi economica mondiale, che ha aggravato le critiche debolezze strutturali endogene: ad una forte recessione (che nemmeno le cifre macroeconomiche manipolate dal bricolage statistico del ministero delle Finanze e dalla Banca della Repubblica riescono ad occultare), si aggiungono nel 2009 il crollo della produzione industriale e di quella manifatturiera, la paralisi del settore edilizio e del commercio, il coma del settore agrario (massacrato da decenni di latifondismo ed agroindustria a bassa intensità di lavoro), la diminuzione degli investimenti stranieri e la caduta in picchiata delle esportazioni, tanto verso gli USA quanto verso il Venezuela (fino all’anno scorso il secondo partner economico della Colombia). Il tutto, senza dimenticare il buco fiscale (ma sarebbe meglio parlare di voragine) che, secondo lo stesso ministero delle Finanze, sarà nel 2010 di 18,3 bilioni di pesos, così come l’aumento dell’indebitamento estero di 3,7 miliardi di dollari (che si aggiungono ai 51,2 pregressi), anch’esso relativo all’anno in corso. Anche le rimesse erogate dai colombiani residenti all’estero sono diminuite, e con esse il consumo interno (di cui le prime, si badi bene, sono soltanto una delle tante variabili indipendenti).
Una tendenza economica negativa, quella appena descritta per sommi capi, che compone il mosaico di una Colombia reale che i trionfalistici squilli di trombe dei corifei e dei funzionari del governo non possono capovolgere o resettare. E che nel capitalismo storicamente e strutturalmente deformato e dipendente della Colombia, nel quadro di quello mondiale in fase senile, sarà impossibile invertire.

“Chucky” dovrà anche fare i conti con un’ecatombe sociale fatta di disoccupazione e sottoccupazione croniche (oltre 10 milioni, su un totale di 28 che compongono la popolazione economicamente attiva), che un eventuale TLC con gli USA e quello recentemente firmato con l’UE aggraveranno, di sfollamento forzato inarrestabile (almeno 4,5 milioni di profughi interni), di incremento della violenza sociale e della delinquenza, di distruzione del già precario sistema nazionale sanitario, di smantellamento progressivo dell’educazione ‘pubblica’ (che è già da sempre appannaggio di pochi), di povertà (oltre 20 milioni di persone) e miseria (oltre 7, secondo cifre ufficiali perennemente e fisiologicamente tendenti al ribasso).

Ciò nonostante, in un paese in cui un giorno sì e l’altro pure i media e i governanti sproloquiano di “imminente fine totale della guerriglia”, di “inesistenza di un conflitto sociale ed armato” e di “regno della democrazia e del benessere”, il compito più arduo per Santos sarà quello di continuare a vendere fumo in merito alla mal chiamata “Seguridad Democrática”, ritardandone il più possibile il collasso.

FALLIMENTO DELLA “SEGURIDAD DEMOCRÁTICA” E DELLA STRATEGIA DI ANNIENTAMENTO DELLA GUERRIGLIA

Fin dalla campagna elettorale per la presidenza in prima battuta, e dal suo insediamento poi, il leit motiv di Uribe è stato, coltello tra i denti, la promessa del “recupero del territorio in mano ai gruppi armati”, il “ripristino dell’autorità istituzionale su tutta la superficie nazionale”, il “rilancio della fiducia da parte dei grandi investitori stranieri (‘confianza inversionista’)”, previa capacità di garantire loro piene agibilità e sicurezza manu militari; e il cavallo di battaglia, naturalmente, “lo sterminio del terrorismo”.
Con un linguaggio arrogante e volgare, e con una politica di pressioni sui media tendente ad affinare una censura -ottenuta senza troppo sforzo, per la verità- utile ad occultare il reale andamento e la vera portata del conflitto sociale ed armato, Uribe ha promesso ciò che non ha potuto conseguire, e che nemmeno Santos potrà materializzare.

Dopo anni di cospicue iniezioni di armamenti sofisticatissimi, tecnologie militari di punta ed assessori e mercenari gringos via Plan Colombia, con miliardi di dollari erogati da Washington con il pretesto della “lotta al narcotraffico”, i risultati sui campi di battaglia rurali ed urbani erano desolanti. E’ stato allora implementato un primo “salto qualitativo” denominato “Plan Patriota”, articolato e diretto dal South Com del Pentagono sulla base dei “comandi congiunti interforze” già usati in Iraq dal 2003 in avanti, e dell’impiego massiccio e combinato dei piú avanzati strumenti di tecnologia satellitare e d’intelligence in tempo reale, una moderna e potenziata aviazione militare e grandi contingenti (intere divisioni) di truppe speciali destinate a “stanare” l’insorgenza nel sud-oriente e sud-occidente colombiano, ossia nelle regioni in cui il controllo e la presenza delle FARC sono più estesi e capillari.

Anche il “Plan Patriota”, che partiva dalla premessa secondo cui la superiorità tattica aerea sarebbe stata decisiva in senso strategico, non ha raggiunto alcun obiettivo apprezzabile, ad eccezione dell’uccisione dei Comandanti Raúl Reyes ed Iván Ríos (del Segretariato dello Stato Maggiore Centrale delle FARC), agli inizi di marzo 2008. Quando a questi sensibili colpi si è aggiunta la scomparsa fisica, per un attacco cardiaco, del Comandante in Capo dell’insorgenza, Manuel Marulanda Vélez (avvenuta il 26 marzo ma resa pubblica solo a fine maggio 2008), il governo e gli alti comandi militari colombiani hanno dichiarato imminente l’estinzione delle FARC, annunciando al mondo intero la prossimità di una nuova fase, quella del ‘post-conflitto’. Concetto fallace e bizzarro, oltre che in aperta contraddizione con la negazione, da parte di Uribe, dell’esistenza del conflitto medesimo.

Secondo il Ministero della Difesa colombiano, nel corso del secondo mandato di Uribe migliaia di guerriglieri si sarebbero arresi e consegnati alle autorità, o sarebbero stati catturati o “abbattuti”, e non basterebbero le dita di entrambe le mani per contabilizzare i fronti fariani disarticolati dall’offensiva della ‘Seguridad Democrática’. Se al termine dei dialoghi di pace con l’allora presidente Andrés Pastrana (febbraio 2002), le stime governative riferivano di 18-20.000 combattenti (cifre mai confermate dal Segretariato), ora parlano di 6-7.000 effettivi e di un’organizzazione “allo sbando”, in continua “ritirata verso le aree piú remote della selva” amazzonica colombiana, che “ha perso i corridoi strategici” ed “altamente in fase di decomposizione interna”. Tuttavia, questa altisonante e baldanzosa fraseologia non è suffragata dai reali dati relativi all’andamento del conflitto armato: nel solo 2008, le FARC hanno teso 42 imboscate ai militari del regime, offeso in 640 azioni il nemico con esplosivi di diverso tipo, attaccato 52 volte l’aviazione militare e 437 le truppe di terra, protagonizzato 227 combattimenti e scontri, dinamitato e/o sabotato 28 tralicci elettrici dell’alta tensione, 9 banche, 7 stazioni di polizia, 9 punti di oleodotti, 4 pozzi petroliferi e 21 imprese di proprietà dell’oligarchia narco-paramilitare. Su tutta la superficie colombiana 1029 militari (tra cui 17 ufficiali e sottufficiali), 61 poliziotti e 47 paramilitari sono morti, mentre ne sono rimasti feriti 660, 53 e 9 rispettivamente. 2 elicotteri sono stati abbattuti e 23 sono stati messi fuori combattimento, così come 6 aerei da guerra. Inoltre, sono morti 58 guerriglieri, e 59 sono stati feriti.
Dati parziali concernenti i mesi di gennaio e febbraio 2009, rendevano conto di almeno 450 tra imboscate, azioni di disturbo, assalti, scontri ed attacchi guerriglieri, con 224 soldati e poliziotti morti e 256 feriti. Nel solo mese di marzo, i blocchi armati ed i posti di blocco (in oltre 42 punti del Paese), le azioni di propaganda armata ed i sabotaggi sono stati oltre 400; 44 sono stati i combattimenti, 193 le azioni di disturbo, 11 le imboscate, 12 gli attacchi anti-aerei, 87 i campi minati, 19 gli scontri, con un saldo di 297 militari, poliziotti e paramilitari morti e oltre 340 feriti.
Nel periodo intercorso tra il 1 gennaio ed il 29 aprile 2009, 535 effettivi della ‘Seguridad Democratica’ sono morti, e 604 sono rimasti feriti; ugual sorte hanno avuto, rispettivamente, 22 e 19 guerriglieri.
E se la restante parte del 2009 ha confermato questa tendenza, propria di un cruento conflitto tra quelle che sono indiscutibilmente due parti belligeranti, alcuni dati parziali relativi al 2010 dimostrano che la “Seguridad Democrática” è vittoriosa soltanto sulla carta straccia e nei teatrini dei media oligarchico-borghesi. A titolo non esaustivo, ma comunque esemplificativo, prendiamo in considerazione i dati che concernono il periodo che va dal 4 aprile al 7 giugno di quest’anno: in diversi scontri ed azioni insorgenti sono morti 236 militari, 33 poliziotti e 38 paramilitari, mentre i feriti sono stati 305, 37 e 24 rispettivamente. Per quanto riguarda le FARC, 20 guerriglieri sono caduti e 27 hanno subito ferite di diversa entità.

Oltre alla durezza e all’escalation del conflitto, la cui esistenza è intrinsecamente confermata da queste cifre, ne emerge una guerriglia tutt’altro che allo sbando, decomposta e, cosa ancor piú importante, ideologicamente sconfitta. Solo un movimento insorgente poderoso, organizzato, disciplinato e con un forte appoggio di massa (benché su base rigorosamente clandestina) può resistere all’ondata esplosiva di oltre mezzo milione di effettivi del regime (tra Forze Armate e di Polizia), riorganizzati e potenziati grazie ai circa 10 miliardi di dollari iniettati dagli USA per sconfiggerlo, ed incrementare progressivamente la quantità e la qualità degli operativi di diversa natura, tanto nelle aree rurali quanto in quelle urbane. Tutto ciò è stato ed è possibile in virtù dell’applicazione creativa ed ordinata della guerra di guerriglia sul piano tattico, sopperendo alle perdite dei quadri dirigenti del marzo 2008 con il subentro di comandanti altamente preparati e sperimentati in loro vece, e con il meccanismo della direzione collettiva e del centralismo democratico a tutti i livelli.

Mentre Uribe ha oscillato in tutti questi anni tra l’esigere pubblicamente le dimissioni a diversi alti comandi militari, accusati d’incompetenza nella “lotta al terrorismo”, e l’esternare trionfalisticamente risultati mirabolanti che riflettono soltanto la guerra psicologica e la Colombia virtuale, il boomerang della realtà gli ha presentato il conto. L’annunciato e nuovo “Salto Strategico”, articolato in sei fasi a partire dall’agosto 2010, dovrebbe consistere nel “rendere irreversibili le vittorie delle Forze Armate” contro le FARC in diverse regioni del paese, combinando “offensive militari risolutorie” con il radicamento della presenza dello Stato sui piani politico, giudiziario, amministrativo, sociale ed economico, laddove storicamente ha brillato per la sua assenza o è stato espulso e disarticolato dal movimento insorgente, fautore della costruzione su base territoriale e locale di potere popolare (chiamato “Nuevo Poder”).
Tale “Salto Strategico”, che si avvarrà indubbiamente degli oltre 520 milioni di dollari elargiti dal Pentagono nel 2010, si tradurrà in un altro fallimento totale, soprattutto alla luce di una bomba a orologeria il cui timer sta per far detonare un mix esplosivo composto da due ingredienti, su cui vale la pena di fare alcune precisazioni: la putrefazione interna alle Forze Armate del regime, e l’insostenibilità economica della guerra nel quadro della più generale crisi economica.

Sul primo, diremo che non si tratta di un fenomeno nuovo, e tuttavia sta mostrando palesi sintomi di accelerazione: i cosiddetti “falsos positivos”, termine eufemistico coniato dallo stesso Santos per non parlare di “omicidi di Stato”, evidenziano l’assenza totale di etica e rispetto per i diritti umani del popolo da parte dei militari, ed al contempo la propensione ad uccidere giovani innocenti (oltre 2000, presentati poi come guerriglieri ‘abbattuti’ in combattimento) solo per ricevere ricompense materiali, promozioni e licenze-premio. La denuncia e lo smascheramento di tale aberrante pratica, stimolata dalle politiche del governo a colpi di ricompense ed utile a presentare vittorie pirriche contro la guerriglia, hanno generato uno scandalo di proporzioni enormi che ha avuto inevitabilmente una ripercussione negativa sul morale delle stesse truppe, storicamente avvezze a godere di un’impunità totale che Santos farà di tutto per perpetuare, de iure e de facto. Truppe su cui pesa il fardello di non riuscire a sconfiggere le FARC, nel mezzo di pressioni a tutti i livelli, danno sempre piú segnali inequivocabili di sbandamento: una media di 6 militari suicidi al mese, diversi casi di ufficiali che torturano i sottoposti durante addestramenti massacranti ed umilianti, soldati che si intascano bottini personali di guerra (mercenarizzazione), aumento delle diserzioni per fuggire da una guerra combattuta difendendo gli interessi dell’oligarchia quale classe a cui i soldati non appartengono, paranoia di essere catturati in combattimento dall’insorgenza e passare anni come prigionieri di guerra nella selva (di fronte all’indifferenza di un potere che continua a rifiutarsi di giungere ad uno scambio di prigionieri con le FARC), volontà della maggioranza dei giovani di dire no al servizio militare obbligatorio, e potremmo andare avanti... Se a ciò aggiungiamo il prorompere di uno scandalo che lo stesso ex capo paramilitare Salvatore Mancuso (estradato negli USA e la cui famiglia in Colombia è minacciata affinchè non parli) ha annunciato come “più doloroso e traumatico della stessa parapolitica”, ossia il cordone ombelicale che univa ed unisce i paramilitari alle “gloriose” Forze Armate dello Stato, il quadro critico che le ingabbia è completo.

In merito al secondo ingrediente, che dicevamo essere l’insostenibilità economica della guerra dello Stato contro il popolo, è opportuno prendere in considerazione alcuni aspetti, estremamente contradditori. Da una parte, il governo colombiano ha speso dal 2002 ai giorni nostri percentuali spropositate del bilancio nazionale e del PIL (3,7% nel 2010, la più alta dell’America Latina). A dispetto dei proclami sull’imminente sconfitta strategica del movimento guerrigliero, agli inizi di aprile 2009 lo stesso ex ministro della Difesa Santos aveva annunciato l’arrivo di 15 elicotteri da guerra Black Hawk, più altri 10 entro la fine dell’anno scorso, arrivando così ad 80 (un totale bugiardo, che non tiene conto di quelli abbattuti o irrimediabilmente danneggiati, e quindi da rottamare).
Dopo aver comprato 25 aerei da guerra turboelica Supertucanos (dal complesso militare-industriale brasiliano di Embraer), ed aerei multiuso Caravan e Super King, sono in arrivo pure 14 aerei per l’addestramento di base. Dall’impresa aeronautica spagnola Eads Casa, invece, nel 2008 sono stati acquisiti 4 aerei da trasporto militare tattico Casa C-295. Nel 2007, parimenti, erano stati acquistati 13 cacciabombardieri Kfir C-10 e C-12 dall’Industria Aeronautica Israeliana (IAI), oltre ai suoi servizi per l’ammodernamento di undici Kfir C-7, con un contratto -neanche a dirlo- patrocinato ed autorizzato dal Dipartimento della Difesa USA.
Il governo Uribe, in questa corsa agli armamenti in funzione interna ma anche regionale, ha comprato in totale 44 elicotteri da guerra e da trasporto, 62 aerei, 11.000 veicoli, svariate piattaforme d’intelligence, 161 navi da guerra di piccole e medie dimensioni, 140 lance militari “Piranha”, 1 incrociatore e 39 carri blindati “Urutu”. In aggiunta, gli effettivi sono stati incrementati di 38.000 unità, e sono state create nuove brigate mobili di truppe speciali.

Per sostenere economicamente questo scempio guerrafondaio, perpetrato a detrimento della decapitata spesa sociale, Uribe aveva decretato una tassa sul patrimonio della durata di quattro anni (2007-2010), pagata dalle imprese dell’oligarchia. La tassa speciale, che prevede un introito fiscale totale di 8,6 bilioni di pesos, ne garantirà soltanto 8,2 (come riconosciuto dal viceministro della Difesa Juan Carlos Pinzón). Di questa esorbitante somma, non ancora totalmente incassata dall’erario, è già stato speso il 92%. Anche l’organo di controllo statale (la Contraloría) ha ammonito che, di questo passo, già nel secondo semestre del 2010 si manifesterà l’impossibilità di continuare a foraggiare il pachidermico apparato militare del regime, ragion per cui l’establishment è già alla ricerca disperata di formule per prolungare, o meglio ancora rendere permanente, la tassa di guerra, scaricandone il peso impositivo sui settori popolari.

L’insostenibilità economica della guerra dello Stato contro il popolo colombiano, come orizzonte a medio termine, è ben visibile e futuribile alla luce del grave impatto della crisi mondiale sull’economia colombiana e sulle sue diverse articolazioni, già sinteticamente enunciato. Questo orizzonte, neanche tanto lontano, è un nodo obbligato su cui ragionare per cogliere in pieno le enormi difficoltà in cui si trova l’oligarchia narco-paramilitare, e che dovrà affrontare il suo delfino “Chucky”. Anche in quest’ottica va scrutata la portata dell’ “Accordo Complementare di Cooperazione ed Assistenza Tecnica per la Difesa e la Sicurezza tra i governi della Colombia e degli Stati Uniti”, siglato il 30 ottobre 2009 senza che il Congresso ed il popolo colombiani siano stati informati e chiamati a decidere in proposito. Anche quando la pressione della maggioranza dei paesi della regione è diventata insostenibile, ed i ‘compagni di merende’ del Palacio de Nariño si sono visti obbligati a renderne pubblici testo e contenuti, lo hanno fatto applicando tagli e censure evidenti; a riprova del fatto che, per quanto i firmatari affermino il contrario, gli obiettivi strategici in campo vanno ben aldilà della mera “lotta al narcotraffico” enunciata come spina dorsale e ragion d’essere dell’accordo stesso.

PROSPETTIVE A BREVE E MEDIO TERMINE

Il suddetto “Accordo”, caldeggiato da Uribe e da Santos ma elaborato nelle sale tattiche del Pentagono, stabilisce l’insediamento di 7 nuove basi statunitensi in territorio colombiano: Palanquero (Base Aerea Germán Olano, Cundinamarca), Bahía Málaga (Valle del Cauca, Pacifico), Apiay (Meta, Llanos Orientales), Malambo (Barranquilla, Atlántico), Cartagena (Bolívar, costa Caribe), Tolemaida (tra Cundinamarca e Tolima) e Larandia (Caquetá), che si vanno ad aggiungere a quelle di Tres Esquinas (anch’essa nel Caquetá), alle potenti basi-radar nei dipartimenti del Guaviare e dell’Amazonas, alla base di Marandúa (Vichada) ed alle sedi della Brigata 18 e della Brigata Mobile 5 (Arauca).

Senza dilungarci oltremodo su questo passaggio, per sviscerare il quale occorrerebbe un materiale di approfondimento a parte, segnaliamo un dato in particolare in virtù della sua rilevanza strategica: la base di Palanquero, prossima a Bogotá e per il cui ammodernamento gli USA hanno stanziato per il 2010 ben 46 milioni di dollari, ha la capacità di “ospitare” aerei da guerra di grandi dimensioni (come il C-17 ed il Galaxy C-5) grazie ad un’imponente pista, permettendogli un raggio d’azione che includerà tutta l’America centro-meridionale e gran parte della costa occidentale africana. Inoltre, nei piani del Pentagono questa base dovrà essere in grado, dal 2025, di mobilitare 175.000 militari completamente equipaggiati nel giro di 72 ore. Alla funzione contro-insorgente e repressiva interna, dunque, si aggiunge quella di garantire una logistica permanente al fine di aggredire i processi bolivariani ed antimperialisti che hanno luogo nel continente, a partire dal Venezuela.

Dell’ulteriore -e inevitabile- escalation senza soluzione di continuità del conflitto sociale ed armato colombiano, propiziata da Santos e dall’imperialismo, abbiamo già detto. Santos, per quanto portatore di un pedigree oligarchico, è e resta una marionetta degli Stati Uniti, che lo useranno per incendiare la regione nel quadro di una controffensiva imperialista che, oltre alle 7 basi, si sta articolando con la riattivazione della IV Flotta USA, golpes militari a geometria variabile (come in Honduras), tentativi di destabilizzazione in diversi paesi (come Venezuela, Nicaragua, Bolivia, Ecuador) in cui la possibilità di ricorrere all’assassinio dei rispettivi presidenti è tutt’altro che accantonata, ecc.

Lo Stato colombiano, per quanto Washington e Bruxelles cerchino di sdoganarlo, continuerà a giocare il ruolo di “Israele dell’America Latina” e ad essere isolato, o quantomeno guardato con diffidenza (con l’eccezione di quei paesi asserviti all’imperialismo come Perù, Cile e Messico su tutti). Un regime, quello di Santos, che non cesserà di boicottare ed attaccare processi d’integrazione come l’ALBA o UNASUR, e che non lesinerà sforzi nel tentativo di compiacere lo zio Sam.

Il popolo colombiano, che maggioritariamente si è astenuto dal partecipare all’ennesima farsa elettorale, dovrà serrare le fila, ricomporre le proprie forze ed incrementare la lotta contro quello che sarà un governo di fame, miseria, esclusione sociale, disoccupazione, sfollamento forzato, svendita totale della sovranità nazionale, repressione e morte.
Ed anche se sarebbe sfuocato associare l’intera astensione ad una volontà di opporsi attivamente al regime del continuismo Uribe-Santos, non si può sottovalutare, o peggio ignorare che una gran parte di essa non solo non è apatica, ma è decisamente in rotta di collisione col modello economico, politico e sociale imposto dalla dittatura oligarchica, che si autorappresenta come “democrazia” attraverso istituzioni paramilitarizzate, corrotte, in simbiosi con le mafie narcotrafficanti, illegali ed illegittime.

La gran sfida, lanciata dall’insorgenza e dalle organizzazioni popolari, comprese quelle deluse da uno screditato ed amorfo Polo Democratico Alternativo (il cui recente candidato alla Presidenza, il rinnegato ed opportunista Gustavo Petro, si è già riunito con Santos per salire sul carrozzone della “Unidad Nacional”), è quella di trasformare quella porzione di astensionismo passivo in movimento attivo, per incrementare quantitativamente e qualitativamente un movimento popolare che sarà di resistenza, lotta ed assalto al cielo.

Associazione nazionale Nuova Colombia
Torino, 29 giugno 2010

www.nuovacolombia.net

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