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06/09 - ministro della guerra colombiano respinge qualsiasi dialogo con l'insorgenza

(7 Settembre 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.nuovacolombia.net


Il ministro della guerra colombiano, Rodrigo Rivera, ha respinto totalmente qualunque possibilità di dialogare con le FARC-EP: “Non credono nell'abbandono delle armi, e per questo occorre inasprire la guerra. Con loro non

esiste nessuna possibilità di dialogo, come con tutte le persone che credono di poter utilizzare la violenza ed il terrore per farsi capire dall'interlocutore”.
Il ministro ha ribadito che gli ordini del presidente Santos sono quelli di “inasprire” l'offensiva contro gruppi armati considerati illegali; evidentemente non considera illegali i paramilitari di Stato, visto che non ha mai dimostrato alcuna offensiva nei loro confronti!
Le ingenue illusioni di un possibile cambiamento nella politica del regime colombiano, indotte dall’operazione di maquillage inaugurata da JM Santos, vengono dunque spazzate via da queste dichiarazioni, che vale la pena di analizzare attentamente.
Qualcuno dovrebbe infatti prendersi la briga di ricordare al ministro della guerra che ogni movimento guerrigliero che abbia abbandonato le armi è stato sistematicamente massacrato dal regime oligarchico, come dimostra, ad esempio, il genocidio dell'Unión Patriótica, il movimento politico che ha visto cadere sotto i colpi di sicari, paramilitari e forze armate colombiane oltre 5.000 dei suoi dirigenti e militanti.
A differenza di quel che sostiene Rivera, l'insorgenza colombiana ha dimostrato in questi anni di aver cercato molte volte una strada per l'apertura di un dialogo; basti pensare agli scambi epistolari con i “Colombiani per la Pace ”, il movimento coordinato dalla senatrice Piedad Córdoba, o alla recente lettera aperta inviata all'Unasur (Unione delle Nazioni Sudamericane) con la richiesta di esporre in un'assemblea di questa istituzione la propria visione della guerra in Colombia, reiterando la propria “irriducibile volontà di cercare una soluzione politica al conflitto”. Questa volontà si è sempre scontrata con l'insensata opposizione del regime colombiano e di Washington, che auspicano ancora, dopo 46 anni di conflitto, un’irraggiungibile vittoria manu militari.
Suona poi ridicola la presa di posizione contro coloro che utilizzano “violenza e terrore” come metodo politico; il ministro non avrà difficoltà a trovare chi si avvale di questi sistemi all'interno della compagine governativa. Da anni, infatti, il regime si scaglia contro qualunque suo oppositore, armato e non, utilizzando il terrorismo di Stato, il sicariato, il paramilitarismo; basti enumerare i crimini degli ultimi 5 anni di narcogoverno uribista: 1.309 massacri, 42.875 omicidi, 40.000 sparizioni forzate, il ritrovamento di 2.719 fosse comuni con migliaia e migliaia di cadaveri, l'attacco militare all'Ecuador, il massacro di migliaia di giovani disoccupati fatti passare per guerriglieri, l'assassinio di centinaia di sindacalisti e giornalisti, i quasi 5 milioni di sfollati, gli oltre 5 milioni di profughi rifugiatisi nei paesi vicini.
Il neogoverno del fascista e guerrafondaio Santos ha già gettato la maschera, in piena continuità col suo predecessore, il mafioso Uribe, sulla sua intenzione di “inasprire” un conflitto già drammatico e sanguinoso, in modo da poter continuare ad ottenere miliardi di dollari dal Pentagono e non dover affrontare i nodi storici che affliggono il paese e che hanno determinato la nascita dell'insorgenza colombiana: l'ingiustizia sociale, la svendita della sovranità all'imperialismo statunitense e delle ricchezze nazionali alle multinazionali straniere, e l'impossibilità di condurre un’opposizione, coerente e non edulcorata o cooptata, al regime oligarchico.

www.nuovacolombia.net

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