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Strage sul lavoro a Capua: "Li trattavano come schiavi”

(13 Settembre 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

Strage sul lavoro a Capua: "Li trattavano come schiavi”

Thais Palermo Buti, Radio Città Aperta

13-09-2010/18:29 --- Sono finora dieci gli indagati per il decesso dei tre lavoratori morti sabato per asfissia all’interno di un silos di fermentazione alla Dsm di Capua, multinazionale olandese che fornisce prodotti alle case farmaceutiche. La Procura ha fatto partire oggi gli avvisi di garanzia, con le accuse di omicidio colposo plurimo, omissione di soccorso e numerose violazioni della normativa antifortunistica. Gli operai erano stati chiamati la mattina di sabato a svolgere un lavoro extra, più rischioso del solito, per il quale avrebbero ricevuto 50 euro in più di straordinario, raccontano le famiglie. Venerdì sera la cisterna è stata imbottita di azoto ed elio e pressurizzata, ed è rimasta aperta tutta la notte. Ma non è bastato a ripulire l'aria all'interno del silos. Il giorno dopo i tre lavoratori hanno respirato gas anziché ossigeno. Non avrebbero mai dovuto entrare nella cisterna in quelle condizioni, ma qualcuno ha firmato l'autorizzazione, ritrovata dagli inquirenti, mandando i tre allo sbaraglio. Per loro non c'è stato nulla da fare.
Nel luglio scorso l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro – l’INAIL - ha riportato i dati relativi agli incidenti sul lavoro in Italia: festeggiamenti per il calo storico delle cosiddette morte ‘bianche’ nel paese: “solo” 1050 morti nel 2009, contro 1120 nel 2008. Numeri comunque alti, eppure le morti sul lavoro sono entrate nella routine dell’informazione quotidiana, in cui la tragedia di Capua è solo l'ultima di un lungo elenco di incidenti che assomiglia a un bollettino di guerra. Come spiegare quindi il divario tra quello che si legge tutti i giorni sui giornali e i trend positivo riferito dall’INAIL?
Innanzitutto, il calo degli infortuni non è stato così consistente, ed inoltre è dovuto in parte agli effetti della crisi economica, con pesanti riflessi sul piano produttivo e occupazionale: meno persone al lavoro e meno ore lavorate, meno incidenti. In più, se da una parte ci possono essere stati dei progressi relativi all’aumento delle misure di sicurezza sul lavoro – come sostiene l’INAIL - dall’altra la stessa crisi, insieme alle misure del governo in tema di sburocratizzazione del settore, come l'abolizione della la dichiarazione di inizio attività, sostituita da una semplice comunicazione, hanno come effetto immediato di rendere il mercato sempre più selvaggio e quindi insicuro.
La normativa sulla sicurezza c’è, ma non basta. Il sistema italiano, fortemente sbilanciato a favore delle aziende che non fanno prevenzione, favorisce quelle ditte che non partecipano al costo sociale degli infortuni e delle vittime sul lavoro. In questo modo, molte aziende preferiscono pagare le sanzioni ed i risarcimenti invece che aumentare le misure di sicurezza.
A questo proposito, Paola Agnello Modica, responsabile sicurezza della Cgil, parla di "mancata valutazione dei rischi da interferenza". Ovvero, le aziende affidano le attività di manutenzione a ditte esterne. Ci si limita così a considerare i pericoli per la sicurezza solo per alcuni singoli pezzi della lavorazione, senza considerare l'intera catena della produzione. Eccoci dunque arrivati al subappalto! Spesso, una piramide di società appaltatrici riduce il lavoro a condizioni difficilmente controllabili, precarie o in nero. Non a caso la maggior parte delle morti sul lavoro avviene appunto in società che lavorano per conto terzi – come d’altronde era il caso dei tre lavoratori morti a Capua.
Il ministro Giulio Tremonti invece è tutto di un altro parere. Confermando a parole quello che molte aziende già fanno, Tremonti ha affermato che “robe come la 626 (la legge sulla sicurezza sul lavoro) sono un lusso che non possiamo permetterci”.
Piuttosto che investire in formazione – dentro e fuori le scuole – e di migliorare l’infrastruttura delle imprese italiane, il ministro invita l’Europa e l’Italia a rinunciare ad una serie di “regole inutili”, volte a garantire appunto la sicurezza dei lavoratori.
Se la norma è affidare il lavoro al massimo ribasso in una filiera di subappalti sempre più lunga e puntare al guadagno a scapito della sicurezza, è probabile che gli incidenti aumentino. Ma dopotutto pagano i più fragili, i lavoratori, quelli che per avere 50 euro in più di straordinario devono “andà a faticà “, come avrebbe detto l’uomo che ha ingaggiato i tre operai per il lavoro fatale. Ma faticare non è sinonimo di morire.

www.radiocittaperta.it

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