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La Gelmini ha ragione

La Gelmini ha ragione

(26 Novembre 2010) Enzo Apicella
Manifestazioni studentesche contro la "riforma" Gelmini in tutte le città.

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20.09.2010 - Il Rettore dell’università di Bologna: quando una classe dirigente intellettuale perde la bussola

(20 Settembre 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.rete28aprile.it

Lunedì 20 Settembre 2010 10:13
di Giuliano Garavini - Riprendiamo una vicenda che continua a suscitare grande clamore nel mondo universitario (...) ma sulla quale sono intervenuti anche il segretario uscente della Cgil Guglielmo Epifani ripreso dalla stampa nazionale.

I ricercatori universitari sono da oramai da oltre 5 in mesi in lotta contro il DdL Gelimini che, tra le varie cose, depotenzia la loro possibilità di crescita professionale, aumenta le gerarchie già molto pronunciate nel mondo accademico, e sposta il potere decisionale nei Consigli di Amministrazione. Una parte consistente del mondo dei ricercatori si batte poi, come la Rete29Aprile, anche contro i tagli nell’università pubblica e a sostegno dei ricercatori precari che sono coloro che più soffrono nell’attuale situazione. La battaglia dei ricercatori ha preso la forma del ritiro della loro disponibilità ad insegnare, giacché secondo le norme contrattuali vigenti l’insegnamento sono tenuti a farlo solo i professori (associati e ordinari), mentre i ricercatori, lo dice il nome, dovrebbero dedicarsi esclusivamente alla ricerca e affini. In diverse università italiane tali proteste hanno messo in crisi l’offerta didattica degli atenei che non possono fare a meno degli insegnamenti tenuti da ricercatori.

Il rettore dell’Alma Mater di Bologna Ivano Dionigi ha pensato bene di replicare, non come fanno la maggior parte dei rettori delle altre università italiane con velate minacce e zuccherini quando possibile, ma con il pugno di ferro. Ha esplicitamente previsto la sostituzioni dei corsi lasciati scoperti dai ricercatori in lotta con docenze a contratto dicendo loro in faccia: rientrate nei ranghi che tanto non servite a niente e contate meno di niente. E’ stato poi costretto a fare parziale marcia indietro.
La vicenda potrebbe sembrare locale. Non lo è. Essa è invece il simbolo del degrado dell’università italiana, della difficoltà dei rapporti interni al mondo universitario e di una classe dirigente universitaria, molta della quale riconducibile al vasto arcipelago della sinistra (Bologna la città del professor Prodi!) che ha perso la bussola e fa rotta solo sul quotidiano e la sopravvivenza.
In realtà il malore dell’università si è acuito con la riforma dei 3 più 2 sulla quale sono saltati sopra come ad una diligenza molti degli attuali “baroni” dell’università. In nome dell’opportunità di offrire agli studenti più possibilità e offerta essi hanno moltiplicato corsi di laurea, materie, sedi distaccate e tutta una pletora di attività molte delle quali sostanzialmente inutili. Tutta questa brulicante offerta didattica è stata poi parzialmente coperta con assunzione di nuovi professori, ma in misura ancora maggiore con una dilagante espansione del precariato universitario, che tra assegni di ricerca, postdottaroti, fondi a termine di uno-due-tre-quattro mesi, docenti a contratto, sfiora oggi le 100mila unità di giovani e meno giovani spesso molto capace, pagati una miseria, senza alcun tipo di diritto, e totalmente ricattabili. Per capirci: un professore a contratto ha diritto per un corso di un semestre a uno “stipendio” che oscilla fra i 400 e i 3000 euro, non è rappresentato nel Consigli di facoltà, non ha rimborsi per i viaggi, non ha diritto alla tessera della mensa, non ha fondi di ricerca…
Oggi ci sono brutali tagli al finanziamento dell’università (nel 2009 i tagli erano stati pari al 10 per cento del Fondo di finanziamento ordinario) che non riesce ad investire più nulla nella ricerca. E, con poche eccezioni, una intera classe dirigente universitaria sembra invece concentrarsi ad ostacolare la protesta di un consistente, ma purtroppo ancora minoritario, gruppo di protestari.
Perché questa classe dirigente non si batte? In fondo anche associati e ordinari non è che navighino nell’oro, hanno stipendi tra i più bassi di Europa, e molti di essi si dedicano anima e corpo, sacrificando quasi ogni spazio della propria vita privata, alla propria professione. La mia opinione è che la fiacchezza delle proteste della classe dirigente accademica derivi dal fatto che questa è perfettamente consapevole che per quasi venti anni essa ha consentito e promosso la costruzione di un’università troppo grande e frammentata, senza un progetto di lungo periodo e con scarsa qualità. Ad ogni critica ai tagli l’attuale classe dirigente universitaria si potrebbe sentir rispondere: “guardate cosa avete fatto, il titolo di studio vale come il biglietto scaduto per salire sul treno della carriera professionale e nel cuore della Toscana comunista l’università di Siena ha fatto 200milioni di debiti”. La battaglia di molti dei rettori è quindi tutta volta a dimostrare che essi possono fare sacrifici e salvare l’offerta esistente (magari saranno premiati da qualche spicciolo dello scudo fiscale pagato con i soldi degli evasori), anche se al prezzo di aumentare il precariato, eliminare ogni fondo per ricerca, imporre una ferrea disciplina nei confronti dei più deboli degli atenei. Che vadano a quel Paese ricercatori e ricercatori precari che creano solo confusione. Il rettore Dionigi ha dichiarato infatti che: il suo primo dovere è di fornire un servizio agli studenti che pagano le tasse.
Qui ci sono due ordini di considerazioni da fare.
La prima considerazione è che il mondo intellettuale, anche quello della sinistra, non sembra aver trovato lo scatto di orgoglio necessario per opporsi ai tagli di Tremonti. La scusa che bisogna continuare ad offrire un servizio agli studenti che hanno pagato le tasse è, appunto, una scusa (intanto si potrebbe smetterla di alzarle le tasse!). In Francia le proteste del mondo universitario nel 2006 hanno bloccato corsi e ogni altra attività per circa un anno, hanno coinvolto studenti e ricercatori, famiglie e tutti insieme se la sono presi con il Governo e non con chi protestava nell’università. E’ sacrosanto protestare con tutte le forze e bloccare l’anno accademico, ma non per conservare l’esistente. Bisogna protestare per poter investire più nella ricerca, per poter assumere nuove risorse e svecchiare l’università e allo stesso tempo tagliare corsi di laurea inutili, chiudere alcune sedi distaccate se necessario, ripensare la didattica, stabilire salari dignitosi e diritti per tutti i precari, rafforzare la democrazia negli atenei contro la tendenza a far decidere i Consigli di Amministrazione, puntare tutto sulla qualità diffusa nel territorio nazionale. Però bisogna anche avere coraggio ed autorevolezza per farlo. Per ora sembra più facile prendersela con i più deboli.
La seconda considerazione è che nessuno, e nemmeno Epifani intervenuto in difesa dei ricercatori, ha capito appieno il vero dramma dell’università che, come nella scuola, è il dilagare del precariato e la possibilità che si taglino speranze di futuro a un’intera generazione che ha completato master, dottorati, assegni, sfornato pubblicazioni e che si batte per stare alla pari con gli altri giovani ricercatori in Europa. Senza che siano definiti percorsi certi di carriera e con salari dignitosi prevarranno le tirate di giacca agli amministratori locali per i posti di insegnante e professore ai licei e il servaggio più totale ai baroni nel caso delle università. Finché ci sarà precariato nell’università ci sarà sempre una cospicua riserva di umiliati che saranno pronti a sostituire chi protesta per un’università migliore.
Non tutto è per sempre, e anche nel mondo intellettuale italiano le forze alte disposte a battersi e a mettere in discussione l’attuale andamento dell’università sono tutt’altro che assenti. L’importante è che non aspettino l’approvazione del DdL Gemini e il definitivo slittamento del sistema educativo e culturale italiano nella serie B dell’Europa per farsi sentire.

www.rete28aprile.it

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