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(23 Febbraio 2010) Enzo Apicella
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E' tempo di un confronto pubblico e di massa

Giorgio Cremaschi interviene nel dibattito sulla linea del PRC

(12 Ottobre 2003)

Finora le principali opzioni che hanno guidato il Prc mi sono sembrate giuste e verificate dai fatti. Così è stato per la scelta di "investire" sul movimento dei movimenti, sulla crisi della concertazione e sulla ripresa del conflitto sociale. Così pure si è rivelato giusto non farsi affascinare dal mito del partito del lavoro e della nuova sinistra guidata da Sergio Cofferati.
Anche oggi la decisione di aprire un confronto con il centro-sinistra e la proposta di una manifestazione nazionale contro Berlusconi, mi paiono giuste. Però c'è un "ma", un "ma" che può crescere progressivamente fino a mettere in crisi i risultati sinora conseguiti. Sempre più nettamente vedo il rischio di finire sotto la doppia pressione di una tenaglia, che potrebbe farci molto male.
C'è un'evidente radicalizzazione del conflitto con Berlusconi e con le spinte autoritarie del suo governo, ma ad essa non corrisponde affatto, almeno in ciò che si capisce, uno spostamento a sinistra negli equilibri del centro-sinistra. Anzi, le difficoltà e le contraddizioni del governo stanno facendo riemergere una vocazione centrista non solo nella Margherita, ma, quasi in una gara a scavalco, nei Ds. Riacquista fascino la scena nella quale il senatore Gianni Agnelli metteva una mano sulla spalla a Massimo D'Alema, spiegando che solo la sinistra al governo poteva fare certe operazioni difficili sul piano sociale.
Questo non avviene solo da noi. Nonostante la catastrofe dell'Iraq, Blair è saldo in sella nel suo partito e, anzi, comincia a riconquistare consenso all'interno dell'Internazionale socialista. Il cancelliere tedesco sceglie una politica esattamente uguale a quella del governo francese di centro-destra. L'unione europea, al di là di tutte le retoriche, chiede dai suoi centri economici e di potere di tagliare le pensioni e di aumentare la flessibilità del lavoro, mentre prepara una costituzione dove burocrazia e mercato la fanno da padrone.

In questo contesto nasce la proposta del partito riformista, preceduta da una lista per le europee. Non nascondiamoci dietro le schermaglie mediatiche. Nei contenuti, nell'ispirazione e nella stessa parola che la definisce (riformista), la formazione che si costruisce ha il compito di presentare alle attuali classi dirigenti del paese un'alternativa al berlusconismo per esse accettabile e compatibile. Del resto questo è da noi oggi il significato politico della parola riformista. Essa non individua più, da almeno vent'anni, dall'epoca del governo Craxi oggi non casualmente rivalutato, una posizione di attenuazione e compromesso rispetto alle rivendicazioni più radicali del movimento operaio. Il riformismo oggi è semplicemente l'atteggiamento di quelle forze di centro-sinistra (e anche di centro-destra) che pensano di temperare con scambi politici un liberismo accettato e condiviso. Il riformismo oggi non ha il compito di rendere più "ragionevoli" e compatibili le rivendicazioni del lavoro, ma quelle dell'impresa. Il riformismo oggi rovescia il senso della sua antica rappresentanza.

La situazione è cambiata, ma finora non risulta che l'asse politico-ideologico che governa il centro-sinistra lo sia. Persino Eugenio Scalfari ha dovuto ammettere che il black-out del 27 settembre è dovuto a una cattiva privatizzazione, ma importanti ministri economici ombra del centro-sinistra hanno invece detto che bisogna liberalizzare di più. Così, sul patto di stabilità, sulla politica della Banca europea, sulle questioni sociali e del lavoro, non abbiamo sentito non dico espressioni autocritiche, che non si chiedono mai, ma accenti diversi rispetto al passato. Il centro-sinistra dice no alla controriforma delle pensioni, ma fa capire che qualcosa bisognerà pur fare. Nulla si dice sulle tasse, la contrapposizione alla devolution è fatta sul terreno della campagna contro la Lega, sacrosanta, ma non su quello sulla difesa e dello sviluppo dello stato sociale. La Legge 30 viene contestata, ma anche qui non si capisce se un futuro governo di centro-sinistra sarebbe intenzionato a sopprimerla o solo ad emendarla. Quando Fim, Fiom e Uilm chiesero l'intervento pubblico nella crisi Fiat, Ds e Margherita dissero di no prima del Governo. Insomma, a me pare che il centro-sinistra, man mano che si radicalizza lo scontro con la destra, renda più moderate le sue posizioni, al fine di rendere il più compatibile possibile l'alternanza.

E' vero che Berlusconi inquieta, irrita, offende e angoscia e che c'è un'opinione di massa per mandarlo a casa, che si esprime persino a "Domenica In". Le elezioni amministrative hanno raccolto questo sentimento e hanno punito brutalmente il Prc ovunque si è presentato da solo. La spinta verso l'accordo per battere il centro-destra è quindi un altro elemento della realtà. Non siamo più al 2001, quando una parte rilevante degli elettori di sinistra o si astenne, o votò Rifondazione proprio per esprimere il suo giudizio critico sul centro-sinistra. Oggi il rifiuto di Berlusconi fa premio su tutto, anche il più moderato dei rappresentanti del centro-sinistra può fare il pieno dei voti, purché si contrapponga alla destra. Da un lato c'è la spinta all'unità, dall'altro c'è un centro-sinistra che la usa per spostare a destra il baricentro dei suoi programmi e anche dei suoi valori. In mezzo Rifondazione corre il rischio di restare schiacciata.

Nel frattempo l'offensiva della destra sul piano sociale continua. Berlusconi può essere più debole sul piano politico, ma i guasti sociali del liberismo avanzano, rompendo forza, solidarietà, speranza.

Anche i movimenti sentono questa difficoltà. La questione, più volte posta degli scarsi risultati di tanta mobilitazione, rischia di produrre un alone di rassegnazione attorno ad aree e gruppi che si ghettizzano in radicalizzazioni prive di consenso. La durezza dello scontro corre il rischio di far prevalere un'idea di rottura nel pluralismo e nei valori unitari del movimento. Unità e radicalità non coincidono sempre. Ci sono dei momenti nei quali questo avviene, e così è stato nei due o tre anni passati. Ora mi pare che stia avvenendo un fenomeno contrario. Cgil, Cisl, Uil scioperano assieme il 24, e questo è un bene, ma questa è un'unità all'indietro, dovuta a Berlusconi che ha preferito mediare con la Lega piuttosto che con la Cisl. E' un'occasione per ripartire, ma non è la ripresa. Non ci sono segnali di un avanzamento di una nuova politica unitaria, né sui contenuti né sulle pratiche. Invece, se si cerca di avanzare su quel terreno, allora l'unità si rompe, come sa bene la Fiom che da tempo sta cercando di ricostruire, da sola, rapporti di forza più favorevoli nei luoghi di lavoro.

Questi mi paiono tutti dati della realtà e ci si deve misurare con essi. Non possiamo ripetere l'esperienza del 2001, ma rischiamo di non avere un potere contrattuale e una forza tali da spostare su basi più accettabili l'asse programmatico del centro-sinistra. Che fare, allora? In casi come questo la soluzione migliore è quella di ricorrere alla trasparenza democratica, al confronto di massa e al rigore programmatico. Si è aperta una stagione di confronti e proposte tra tutte le forze che rifiutano il progetto riformista. Ci sono precisi appuntamenti in calendario. Si definiscano allora rivendicazioni e scelte programmatiche comuni. Conclusa questa prima fase di confronto aperto, credo che il Prc dovrebbe definire la piattaforma programmatica per il confronto con il centro-sinistra e sottoporla alla valutazione di una grande conferenza e poi di una consultazione degli iscritti. Da questo percorso dovrebbero nascere sia le proposte di impianto sia anche le misure concrete irrinunciabili che rivendichiamo.

Faccio due piccoli esempi: la legislazione berlusconiana, dal mercato del lavoro alle pensioni, dalla tv alla tassa di successione, alla Cirami, alla devolution, verrà cancellata da un futuro governo di centro-sinistra? E avremo finalmente il varo di una legge sulla democrazia sindacale? A me paiono questioni preliminari per giudicare la bontà di un accordo. Si avvii un confronto pubblico e di massa. Alla fine di esso, un'altra consultazione del partito potrà valutare le condizioni dell'accordo e decidere se esse siano accettabili. Non mi nascondo che a quel punto si porrà comunque il problema del rapporto elettorale con il centro-sinistra, ma almeno avremo chiarito i nodi concreti del contendere. Insomma, è giunto il momento di far sentire, con molto rigore e anche con una certa brutalità, che battere Berlusconi è necessario, ma costruire un'alternativa al liberismo da cui questo governo è nato, lo è altrettanto.

articolo uscito su Liberazione dell'11 ottobre 2003

Giorgio Cremaschi

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