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2.11.2010 - Pubblico e Privato: lezioni dal mondo reale

(2 Novembre 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.rete28aprile.it

Martedì 02 Novembre 2010 11:06
di Giuliano Garavini
I giornali della borghesia italiana, da “il Sole 24 Ore” a “il Corriere delle Sera” si scagliano appena possibile contro lo Stato e contro gli sprechi del pubblico. (...)

E’ così che le reti idriche pubbliche fanno sempre e solo acqua da tutte le parti, che gli ospedali pubblici sono un covo di ginecologi che si prendono a botte in sala parto, che le università dello Stato figurano nelle cronache solo per professori fannulloni o per clamorosi casi di nepotismo.
In questo modo si costruisce un senso comune che sottace il fatto che la maggior parte degli italiani ha finora bevuto acqua potabile a costi ridotti, si è fatta curare gratuitamente negli ospedali da personale altamente qualificato e ha potuto beneficiare di un’istruzione universitaria in grado di farli competere con gli altri grandi sistemi del Continente.
Nel pubblico ci sono sacche di parassitismo e di disorganizzazione, specie nel Mezzogiorno; c’è molta demotivazione anche dovuta ai sempre più scarsi investimenti. La riposta implicita nei quotidiani della borghesia è che la disorganizzazione pubblica è connaturata al sistema e non riformabile. Gli errori non si potrebbero correggere se non cambiando radicalmente il sistema e facendo scattare la leva dal pubblico al privato, cioè modificando interamente il senso del servizio offerto al cittadino: dal servizio garantito ai cittadini come diritto, a servizio a pagamento che deve generare profitti per chi lo offre, magari sorvegliato da autorità terze.
Il problema è che il pubblico e il privato non sono solo due modi diversi per offrire lo stesso servizio, dalla sanità all’università, ma sono due mondi diversi e opposti che prevedono anche modelli di società differenti. Entrambi i due mondi hanno problemi ma in alcuni settori quelli del privato sono molto più rilevanti e inquietanti di quelli del pubblico. Prendiamo due esempi tratti dal mondo della sanità e dell’università.
Il primo episodio recente è quello della clinica privata milanese Santa Rita. Pier Paolo Brega, primario di chirurgia toracica e Pietro Fabio Presici, sono stati condannati a 16 anni di carcere per lesioni gravi con l’aggravante della crudeltà. Per rimpolpare le loro buste paga con operazioni che fruttavano rimborsi da parte del Servizio Sanitario Nazionale, effettuavano operazioni inutili, crudeli e dannose. Tra queste decine di operazioni, quella ad una ragazza di 18 anni cui è stata asportata una mammella invece di estrarre un nodulo, e le tre operazioni ad una donna di 88 anni mentre ne serviva solo una. Con questi inutili torture, e con l’attivo supporto della clinica che vedeva aumentare i suoi introiti insieme al numero degli interventi, essi arrivavano a guadagnare oltre 30mila euro al mese.
E’ questo un caso certo non isolato nel sistema sanitario privato in cui si guadagna in base al numero di operazioni che si fanno. I nostri due sono certo dei criminali della peggiore risma, e ovviamente non tutti i medici del privato si comporterebbero così, ma ci sarebbe molto da dire sulla totale irrazionalità di un sistema in cui più si opera e più si guadagna, sulla follia dell’applicazione della produttività e del profitto alla salute degli individui, e sulla maggiore razionalità di un sistema sanitario pubblico in cui i medici lavorano con una salario invariabile e decente per la salute dei propri concittadini.
L’altro considerazione ce la solleva è un articolo (http://ricercatorialberi.blogspot.com/2010/10/confindustria-ed-universita.html) del ricercatore CNR Francesco Sylos Labini . Fa notare l’autore che il quotidiano di Confindustria tutte le volte che può predica contro l’università pubblica cui farebbero difetto merito e competenza, per innescare i quali bisognerebbe inondare i Consigli di Amministrazione di imprenditori e banchieri come previsto dalla “riforma Gemini”. Per confermare l’assunto di fondo delle deficienze dell’università dello Stato di solito ci si appoggia alle inconfutabili statistiche internazionali del QS World University Ranking (http://www.topuniversities.com/sites/default/files/QS_World_University_Rankings_top500.pdf) che vedrebbero gli atenei italiani figurare molto indietro (la prima delle italiane “La Sapienza” è al numero 190, ma ci possiamo consolare col fatto che “La Sorbonne” è al 227).
Ci si aspetterebbe allora l’università di Confindustria la Luiss, il cui presidente è Emma Marcegaglia e nel cui Consiglio di Amministrazione figura il gotha dell’imprenditoria italiana tra i quali Celli, Caltagirone e Abete, figurare molto meglio delle pachidermiche università pubbliche italiane. E invece è vero il contrario. La Luiss, come scrive Francesco Sylos Labini:
“Nella classifica generale del QS World University Ranking non compare tra le prime 600 posizioni. Non va meglio nel settore delle scienze sociali in cui non compare nelle prime 200 posizioni. Insomma, come esempio va piuttosto male. Forse le classifiche internazionali, come ho già avuto modo di notare non danno una informazione completa o almeno non del tutto affidabile. Potrebbe anche essere questo il caso, ma se così fosse, prima di sbandierare ogni volta queste classifiche, il quotidiano di Confindustria farebbe bene a farsi un esame di coscienza o almeno analizzare in dettaglio la situazione.”
Il mondo reale ci affida lezioni che l’ideologia del privato ci nasconde. Se alcuni servizi di interesse strategico per il nostro Paese non funzionano a regime, la privatizzazione (sia quella diretta che quella indiretta con l’invasione dei privati nei Consigli di amministrazione e la trasformazione in Società per azioni) è la ricetta più sicura per il disastro e per la liquidazione di un sistema sanitario e universitario. Meglio sarebbe invece come cercare di far partecipare alla gestione dei servizi gli utenti degli stessi, pensare a come indebolire gerarchie e nepotismo, e motivare chi lavora per il pubblico.

www.rete28aprile.it

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