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Egitto: capodanno, il fallimento di mubarak

Attentato contro i copti: il regime usa il pugno di ferro contro gli oppositori politici, laici e islamici, ma si dimostra incapace di assicurare la sicurezza dei cittadini.

(5 Gennaio 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.nena-news.com

Egitto: capodanno, il fallimento di mubarak

foto: www.nena-news.com

DI AZZURRA MERINGOLO *


Roma, 04 gennaio 2011, Nena News - Dopo la strage, la morte e il sangue delle vittime sulla facciata della chiesa, cordoni della polizia, a volte in doppia fila, avvolgono le chiese del Cairo e di Alessandria d’Egitto. Volanti con la sirena pattugliano le vicinanze dei luoghi di culto per impedire l’ingresso a chiunque non voglia prendere la comunione o partecipare alla santa messa. La tensione cresce, la paura anche. Il Natale copto è alle porte e per evitare che un’altra strage si ripeta, il regime del presidente Hosni Mubarak ha deciso di schierare l’esercito a protezione della minoranza cristiana del paese. Erano mesi che l’eterno faraone Mubarak sapeva che le festività natalizie sarebbero state un momento ad alto rischio. Le stesse autorità irachene avevano messo in guardia da possibili complotti. Eppure, la notte di Capodanno, davanti alla chiesa alessandrina di Al Qiddisine, il cui nome era nella lista dei possibili target di attacco, c’erano solo tre poliziotti.

Per rispondere alle accuse di quanti descrivono il regime come responsabile della strage - in quanto si sarebbe dimostrato incapace di proteggere i cittadini più a rischio - nel messaggio televisivo pronunciato poco dopo l’attentato, Mubarak ha immediatamente addossato la colpa a mani straniere a cellule terroristiche che «colpiscono indistintamente cristiani emusulmanie che hanno nel mirino l’intero Egitto». Effettivamente sono molti gli elementi che fanno pensare che dietro questo attacco si nasconda lo zampino del fondamentalismo islamico. L’Egitto non è un paese isolato, ma è inserito in una regione dove esiste una rete di movimenti islamici estremisti che ha al suo interno anche una matrice anti-cristiana. Nella penisola del Sinai sono anche presenti cellule salafite, esistenti anche ad Alessandria, che già nella metà del decennio scorso avevano commesso attentati in importanti località turistiche della zona. Non a caso è stato il gruppo Al Mujahedin, la cui firma era già apparsa dopo il massacro di Sharm El Sheikh del 2005, a rilasciare una dichiarazione dopo l’attentato nella quale si dice che «ogni devoto musulmano deve dimostrare solidarietà con gli attacchi alla Chiesa piena di gente».Oltre a questa dichiarazione, che però non può essere considerata una vera e propria rivendicazione, anche il simbolismo dell’attentato, commesso pochi minuti dopo la mezzanotte, fa pensare ad Al Qaeda, che decide accuratamente come e quando agire.

Dopo la strage di Baghdad del 31 ottobre scorso, Al Qaeda aveva apertamente minacciato di colpire le chiese egiziane qualora non fossero state rilasciate le mogli di due preti copti convertitesi all’Islam che, secondo l’organizzazione, sarebbero ostaggio dei cristiani. Ciononostante, anche se il regime continua a dire che il settarismo non ha alcun ruolo nell’attentato, l’azione dei gruppi estremisti riesce soprattutto in quelle zone dove esiste unmalcontento sul quale si può far leva per trovare persone disposte a sacrificarsi per la loro causa. È quindi possibile pensare a una collaborazione tra qaedisti stranieri e fondamentalisti locali. Quello degli attacchi ai fedeli nelle chiese è un fenomeno relativamente nuovo inEgitto, dove in passato venivano presi di mira gli edifici cristiani più che i fedeli durante i loro momenti di preghiera. Il primo attacco era stato quello di Fikriyyah nel 1997, seguito, nel 2006, dal primo avvenuto nella chiesa di Al Qaddessine ad Alessandria. Fino ad ora, il più brutale era stato quello compiuto il 7 gennaio dell’anno scorso a Nag Hammadi dove musulmani armati avevano sparato sull’assemblea copta dopo la celebrazione natalizia.

La maggior parte dei musulmani condanna questi attacchi. Ali Gomaa, mufti di Al-Ahzar, e i Fratelli Musulmani hanno stigmatizzato apertamente l’attacco e lo stesso hanno fatto i movimenti di opposizione al regime, scesi in strada a fianco dei copti per protestare contro il governo incapace di salvaguardare le minoranze. Numerosi sono poi i musulmani che si dicono disposti a presenziare la prossima celebrazione del Natale per evitare che si compiano ulteriori stragi. Ma se attacchi che mirano direttamente ai cristiani si sono compiuti è evidente che un sentimento anti-cristiano esiste, anche se il regime sembra non vederlo. Come hanno mostrato gli eventi accaduti a Giza nel novembre scorso - alla vigilia delle scorse elezioni parlamentari, quando un gruppo di dimostranti copti si è violentemente scontrato con le forze di polizia - uno dei maggiori punti di scontro rimanda al permesso per la costruzione delle chiese, il cui processo burocratico non solo è lungo e a ostacoli, maanche poco trasparente. Poco chiaro è anche il percorso che regola le conversioni religiose e tutto ciò crea terreno fertile a quanti, copti o musulmani, vogliono trovare un contesto per attaccare l’«altro». Se l’intramontabile faraone smettesse di ignorare l’esistenza di questi problemi settari, potrebbe attuare politiche attraverso le quali affrontarli, contenerli e provare a risolverli.

Governo a parte, questi episodi di violenza dovrebbero spingere cristiani e musulmani a trovare una seria soluzione comune per una convivenza pacifica fra comunità diverse, perché questa è la sfida della globalizzazione, in cui culture e religioni diverse sono chiamate a convivere insieme. Anche se la più recente spinta fondamentalista si è riflessa a livello di popolo e ha alimentato il settarismo, la comunità musulmana è molto variegata al suo interno e sono numerosi coloro che sarebbero disposti ad appoggiare un progetto di convivenza pacifica. Sul versante opposto, il solo lamentarsi dei cristiani di essere discriminati o perseguitati non sembra poter portare molto lontano. Se da una parte la strage della notte di Capodanno ha evidenziato che la relazione tra copti e musulmani sta sempre più deteriorando, dall’altra ha ribadito l’urgenza di un serio dialogo interreligioso e interculturale attraverso il quale si possa dare origine a una società dove cristiani e musulmani trovino il loro posto e riescano a convivere pacificamente. È questa la sfida del e per il futuro. Nena News

* questo servizio e' apparso il 4 gennaio sul quotidiano Il Manifesto

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