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Rivolta infiamma anche Tunisi

La capitale si è svegliata questa mattina dal coprifuoco imposto dalle autorità. In attesa di venerdì, giornata di preghiera, continua la rivolta del pane e lavoro. Per la Federazione internazionale delle leghe dei diritti dell'uomo, sono almeno 58 le vittime del fuoco della polizia.

(13 Gennaio 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.nena-news.com

Rivolta infiamma anche tunisi

caricatura del presidente tunisino Ben Ali diffusa da anonimo blogger . www.nena-news.com

DI BARBARA ANTONELLI

Roma 13 gennaio 2011, Nena News - Notte di coprifuoco a Tunisi, dopo un’altra giornata di proteste e scontri tra manifestanti e polizia, che per la prima volta da metà dicembre, da quando cioè ha avuto inizio la rivolta del pane e del lavoro, dal sud ovest del paese si sono spostate nella capitale; proteste durante le quali sono state uccise altre cinque persone. Il presidente della Federazione internazionale delle leghe dei diritti dell'uomo (FIDH), Suhayr Belhassen, ha detto oggi all'agenzia francese Afp di essere in possesso di una lista nominativa di 58 morti dall'inizio degli scontri in tutto il paese.

Finalmente gli scontri in corso cominciano ad apparire anche nei media governativi e addomesticati dal regime. Le Quotidien oggi ha in apertura il coprifuoco a Tunisi e sottolinea che «la tensione continua» mentre sulle pagine culturali c'e' il resoconto della manifestazione degli artisti di martedi' nella capitale: «Arrestiamo l'emorragia», è il titolo del pezzo in cui si riportano le fraso del cantante Fadhel Jaibi, che aveva sottolineato le violenze verbali e fisiche subite dagli artisti.

Centinaia di manifestanti hanno affollato ieri le strade di Tunisi, ma anche di Douz e Sfax, nonostante la scarcerazione decisa dal presidente - dittatore Ben Ali degli arrestati (che non include però quelli che secondo il governo sarebbero accusati di “atti di vandalismo”). Non solo: pur essendo stati annunciati i rilasci, mercoledì in una conferenza stampa ufficiale dal primo Ministro, Mohamed Ghannouchi, le autorità non sono state in grado di fornire i numeri precisi di quanti sono stati in origine arrestati, accusati dallo stesso Ben Ali, solo pochi giorni fa, di aver commesso “atti di terrorismo”. Inoltre ufficiali governativi continuano a ripetere la teoria del complotto, quella cioè secondo cui le proteste che essere rivolte di massa contro il carovita, la disoccupazione, e l’evidente corruzione del regime poliziesco e dittatoriale di Ben Ali e i metodi repressivi usati dalle autorità, sarebbero state monopolizzate da una minoranza di violenti estremisti che vogliono mettere a repentaglio l’intero paese. Ulteriore ottusità da parte del governo che non ha avuto remore a sparare sulla folla tentando di reprimere masse popolari di disoccupati, poveri e vessati che chiedono ormai a gran voce la destituzione di un regime corrotto e antidemocratico e un cambiamento delle loro condizioni di vita.

Nonostante l’annuncio del presidente-dittatore che ha tentato di sedare le proteste promettendo lunedì scorso la creazione di 300.000 nuovi posti di lavoro e sussidi per i giovani diplomati, misure che i partiti dell’opposizione hanno già bollato come ben lontane dal risolvere il dramma del carovita e della disoccupazione che affliggono la popolazione tunisina e che sono alle origini delle proteste. In un altro quartiere della capitale, centinaia di manifestanti hanno tentato di raggiungere gli uffici del governatore regionale, ma sono stati bloccati dalle forze di sicurezza. Migliaia di tunisini, hanno affollato le strade della zona industriale, a 300 chilometri a sud-est di Tunisi, organizzando uno sciopero generale indetto dai sindacati dell’Unione generale dei lavoratori, scioperi che oggi si spostano nella località di Sousse.

Oltre ad aver dispiegato forze di sicurezza anti-sommossa in tutta la capitale, ricorrendo nuovamente ad un uso massiccio di gas lacrimogeni ed altre forme di repressione della protesta, il nuovo Ministro dell’Interno Ahmed Friaa, nominato ieri, (ex ambasciatore a Roma dal 1995 al 1997) ha decretato il coprifuoco notturno, dalle 20.00 alle 5.30 di questa mattina, nella capitale cosi come nelle zone limitrofe (la periferia che forma cioè la “Grande Tunisi”). Secondo diverse fonti giornalistiche che si trovano sul luogo, l’esercito finora rimasto ai margini degli avvenimenti, sarebbe da ieri dispiegato insieme a mezzi armati e camion in tutta la capitale, nelle principali arterie della città e all’entrata del quartiere Ettadhamen, dove martedì i manifestanti avevano dato alle fiamme pneumatici di automobili e assalito gli uffici governativi.

Poco credibili anche le promesse del primo Ministro Mohammed Ghannouchi, che avrebbe dichiarato che una commissione ad hoc investigherà l’eccesso di forza usata dalla polizia. I morti fino ad oggi secondo le fonti governative sono 21(altre fonti dicono 23), ma i sindacati e i gruppi di attivisti in difesa dei diritti umani parlano di 50 vittime; 50 era anche il numero dei morti riportati dal sito online della radio tunisina “Kalima”. Il governo, si giustifica dichiarando che le forze di sicurezza, che hanno aperto il fuoco sui manifestanti, hanno agito solo come autodifesa; nel corso di una conferenza stampa martedì, il Ministro delle comunicazioni Samir Laabidi ha pubblicamente negato che la polizia abbia ucciso alcuno dei manifestanti, affermando al contrario che le morti erano state la conseguenza di “attacchi e atti di vandalismo contro edifici pubblici, stazioni di polizia e scuole”.

l’Alto Commissario per i diritti umani dell’ONU, Navy Pillay sembra non credere alle promesse di un’indagine che esamini con chiarezza quanto avvenuto, avendo espresso ieri “una forte preoccupazione sull’alto numero delle vittime” e avendo richiesto che le autorità provvedano a “un’indagine trasparente, credibile e indipendente in merito alle violenze e alle uccisioni.”

Anche l’Unione Europea ha condannato aspramente l’uso “sproporzionato” della forza adottato dalla polizia e Catherine Ashton, ha affermato che la violenza contro i manifestanti è “inaccettabile” e che i responsabili “devono essere identificati e portati di fronte alla giustizia.”

Per placare le accuse internazionali e interne in merito alla dura repressione e alla violenza di questi giorni, Ben Ali ha rimosso ieri il Ministro dell’interno Rafik Belhaj Kacem, responsabile delle forze dell’ordine e di sicurezza.

Ma nella stessa giornata di mercoledì è stato arrestato vicino Tunisi, prelevato con la forza dalla sua abitazione dalla polizia politica, Hami Hammami leader del POCT, il partito comunista dei lavoratori tunisini, considerato illegale: Hami Hammami è da sempre critico nei confronti del regime di Ben Ali e nei giorni passati ha dichiarato che la proteste porteranno al collasso e alla caduta del governo, invocando le dimissioni del generale dittatore.

Ayesha Sabavala, un analista tunisino esperto di economia ha dichiarato ad Al Jazeera che il governo si starebbe rendendo conto di essere arrivato ad un punto di non ritorno, ma che le misure adottate, come la promessa della creazione di 300.000 posti di lavoro nei prossimi due anni sono estremamente ambiziose considerato il tasso di crescita del paese. Aumenta tra gli analisti politici la convinzione che dopo 23 anni di impunità, corruzione e violazioni dei diritti umani a danno di qualsiasi opposizione e dissidenza, di cui sono prova le ennesime misure adottate per frenare l’espansione delle proteste, il presidente-dittatore amico dell’Italia e dell’Occidente, Zine Abidine Ben Ali, sia ad un punto di svolta. Mentre su Internet e da fonti della stampa egiziana si diffondono le voci di un possibile golpe militare. Secondo il sito del quotidiano egiziano El Wafd, la moglie di Ben Ali sarebbe fuggita negli Emirati Arabi con le figlie. Ma nessuna delle voci ha finora trovato un riscontro ufficiale. (Nena News)

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Nena News

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