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Fiat: lacrime e sangue

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Per Marchionne il lavoro è una commodity e leggi e contratti italiani non esistono

(18 Gennaio 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.rete28aprile.it

Martedì 18 Gennaio 2011 15:39
di Giorgio Cremaschi
L’intervista che il direttore de “La Repubblica” ha fatto all’Amministratore Delegato della Fiat, Sergio Marchionne, ha il pregio dell’assoluta chiarezza. Non c’è’ una sola parola nelle due pagine dell’intervista che faccia riferimento alla Costituzione, al Contratto nazionale, allo Statuto dei lavoratori. Per Marchionne semplicemente non esistono. Non a caso tutto il suo ragionamento è fondato sul più puro diritto commerciale. Il lavoro è una merce che deve essere acquistata ai prezzi del mercato internazionale, come il petrolio o il grano. Il lavoro è quella che nel gergo di Marchionne si chiama una commodity, cioè una merce per cui vale solo il prezzo di mercato ma non le specifiche particolarità dei contratti.
Tutto il suo ragionamento ha questa brutalità ed è davvero penoso che poi, alla fine, si rispolveri come goffo contentino, la promessa di aumentare gli stipendi e di far partecipare agli utili. Quest’ultima venne già lanciata nel 1920, alla vigilia del fascismo, dal fondatore della Fiat, Gianni Agnelli. Quanto alla promessa di aumenti è bene ricordare che intanto i salari sono stati calati, cancellando il premio di risultato di 1.200 euro all’anno.
Nelle due pagine dell’intervista ancora una volta Marchionne non dice nulla sui suoi progetti industriali, che a questo punto appaiono sempre più fumosi e privi di credibilità. Mentre parla con chiarezza il gergo delle multinazionali e della speculazione finanziaria, quello che ha fatto sì che con il risultato del referendum salisse il titolo Fiat, indipendentemente dalla produzione effettuata. La proprietà Fiat sta guadagnando con le azioni, e Marchionne con le stock option, anche senza produrre e vendere automobili e questa è la dimostrazione che la strategia di Marchionne è solo di speculazione finanziaria. (...)

E’ stupefacente, infine, l’arroganza con cui Marchionne si vanta del risultato del voto. La maggioranza degli operai ha votato no, visto che anche nel turno di notte operaio hanno votato impiegati. Il sì è passato solo per il voto determinante di questi ultimi e nonostante questo Marchionne parla come se avesse avuto un plebiscito nelle catene di montaggio. Viene il dubbio che l’Amministratore Delegato della Fiat avesse paura di essere mollato dagli impiegati e che la sua gioia sia per il loro voto. A parte l’ironia, questa arroganza si accompagna al disprezzo del sistema sociale e politico del paese, ed è la dimostrazione che non abbiamo a che fare con qualcosa di nuovo, ma semplicemente con un ritorno ai più barbari meccanismi del capitalismo speculativo.
Marchionne a volte parla come un padrone paternalista degli anni Venti, a volte come un manager finanziario del Duemila, a volte come un barone agrario dell’Ottocento che dice ai suoi braccianti “se non vi va, quella è la via per andarsene”. In ogni caso quale che sia l’epoca in cui lo collochiamo, l’Amministratore Delegato della Fiat rappresenta sempre un modello regressivo e privo di democrazia e dignità sociale.
18 gennaio 2011

Giorgio Cremaschi

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