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Brigatista, anzi no! Dopo 18 mesi di carcere Massimo Papini torna libero

(6 Aprile 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

Brigatista, anzi no! Dopo 18 mesi di carcere Massimo Papini torna libero

foto: www.radiocittaperta.it

06-04-2011/09:21 - “Reato di solidarietà”. Così l’Avv. Caterina Calia ha definito la “colpa” pagata con 17 mesi e 23 giorni di carcerazione preventiva, sfociati nella sentenza del 23 marzo scorso, con cui la Prima Corte d’Assise di Roma ha assolto con formula piena Massimo Papini, accusato di partecipazione a banda armata. Nella Conferenza Stampa che si è tenuta il martedì 5 aprile alla Sala Stampa della Camera dei Deputati, con la presenza dell’On. Rita Bernardini, Gianluca Peciola, gli Avv. Caterina Calia e Francesco Romeo e, naturalmente, gli amici e colleghi che hanno dato vita al “Comitato Massimo Papini Libero”, accanto alla soddisfazione per l’esito finale dell’iter processuale che lo ha coinvolto, è emersa tutta l’indignazione e la denuncia di un teorema in base al quale Massimo Papini è stato rinchiuso per un anno e mezzo in carcere senza uno straccio di prova, per molti mesi in isolamento duro, per aver sostenuto la sua amica Diana Blefari Melazzi, condannata all’ergastolo per l’omicidio di marco Biagi e suicidatasi in carcere il 31 ottobre 2009 in condizioni psichiche gravissime. Abbastanza, secondo i pm Erminio Amelio e Luca Tescaroli, per montare il teorema dell’adesione di Papini alle nuove BR e per disporre la carcerazione preventiva in base a quella che gli avvocati denunciano come una “presunzione di colpevolezza che stravolge i principi costituzionali”.

Massimo sarebbe stato dunque accusato di banda armata perché amico di Diana Blefari, per aver avuto con lei colloqui in carcere, per averle scritto lettere, per averla sostenuta nei giorni più difficili, quelli che l’hanno poi portata a togliersi la vita. “Se questo è un paese libero e democratico, non ci dovrebbero essere categorie di carcerati che possono stare male senza che nessuno se ne preoccupi”: lo ha detto Stefano Macera del Comitato che non ha mai lasciato solo Massimo Papini, che ha fatto pressioni in tutti i modi per la sua liberazione, che ha sempre creduto nella sua innocenza, che ha raccolto firme, aperto un sito internet e che è sempre stato presente a tutte le udienze del processo. Un’affermazione a doppio senso, quella di Macera, che ha fatto riferimento al teorema che ha tenuto Papini in carcere in base al famigerato art. 270 bis per reati associativi, ma anche alle pressioni subite dai testimoni e da alcuni membri del Comitato stesso, oggetto di spionaggio e di una criminalizzazione da parte dei pm senza giustificazioni. Forse proprio il sostegno e la concreta solidarietà da parte del Comitato hanno avuto la loro parte fondamentale sulla sentenza di assoluzione, ma il “caso Massimo Papini”, ha detto l’Avv. Francesco Romeo, “costituisce il paradigma di cosa può produrre l’accanimento ingiustificato su una persona”. Per questi motivi, a conclusione di questa battaglia, vinta, di verità e giustizia, il Comitato Massimo Papini Libero ha invitato ad acquisire e studiare i materiali del processo, perché “rimandano a problemi di carattere generale”: quelli legati alla normativa sui reati associativi e alla natura e ai tempi della carcerazione preventiva che, ha detto Stefano Macera, “non deve essere un anticipo di pena” in base al principio della presunzione d’innocenza. Forse non lo sa, ancora, il Ministro dell’Interno Maroni, che all’indomani della carcerazione di Massimo non ha trovato di meglio da fare che congratularsi “per l’arresto del brigatista Papini”.

Mila Pernice, Radio Città Aperta

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