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Esperti militari italiani in Libia

Esperti militari italiani in Libia

(21 Aprile 2011) Enzo Apicella
Il governo italiano ha deciso di inviare esperti militari a Bengasi, roccaforte dei ribelli libici

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Libia, oggi in italia mustafa abdul jalil

Due mesi fa era ministro della giustizia di Gheddafi ora è presidente del Cnt, l’esecutivo politico dei ribelli libici. Chiederà a Berlusconi e Frattini di inviare subito addestratori e armi a Bengasi. In cambio assicura il rispetto dell'accordo italo-libico, anche del capitolo anti-migranti che aveva firmato Gheddafi

(19 Aprile 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.nena-news.com

Libia, oggi in italia mustafa abdul jalil

foto: www.nena-news.com

Roma, 19 aprile 2011, Nena News – Sarà oggi a Roma Mustafa Abdul Jalil, presidente del Consiglio nazionale transitorio dei ribelli libici anti-Gheddafi. Questa mattina Abdul Jalil avrà incontri con il ministro degli esteri Frattini, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e persino con il capo dello stato Napolitano. Un benvenuto al massimo livello per un leader di un esecutivo che l’Italia già considera il legittimo governo libico, dopo gli strettissimi rapporti avuti per anni con Berlusconi con il colonnello Muammar Ghaddafi.

Il leader dei ribelli chiederà all’Italia di intensificare gli aiuti alla zona orientale della Libia. Insisterà per l’invio immediato di addestratori militari promesso dal governo Berlusconi che assieme a Francia e Qatar ha avviato immediatamente le relazioni con i rivoltosi anti-Gheddafi. Abdul Jalil tornerò con forza sulla questione dei rifornimenti di armi ai rivoltosi e contro le truppe governative ferme alle porte di Ajdabiya, a circa 200 km da Bengasi, e che circondano la città occidentale di Misurata (dove almeno 1.000 persone sarebbero rimaste uccise nei combattimenti e nei bombardamenti). Le Nazioni Unite ieri hanno condannato l'uso della forza contro i civili e chiesto il via libera senza restrizioni agli aiuti umanitari.

Nena News vi propone il servizio pubblicato oggi dal quotidiano Il Manifesto

di Michele Giorgio

C’è il deserto a fare da palcoscenico alle battaglie, come nella Seconda Guerra Mondiale, ma gli scontri nella regione di Ajdabiya tra le forze fedeli a Muammar Gheddafi e i ribelli anti-regime si avvicinano alla guerra di trincea del primo conflitto mondiale. Mentre a Misurata le due parti si affrontano casa per casa, con l’artiglieria governativa che martella diversi quartieri della città (i morti sono stati almeno mille in due mesi, 3mila i feriti), sul fronte sudovest da giorni si assiste a un tira e molla senza soluzione di continuità. Sabato il comandante degli insorti, Abdel Fattah Younis, aveva guidato i suoi uomini fino alle porte di Marsa el Brega allungando di altri 40 km il territorio controllato dal Consiglio nazionale di transizione (Cnt) di Bengasi. Domenica, approfittando anche di una tempesta di sabbia, unità scelte di Gheddafi – aiutate, dicono i ribelli, da decine di mercenari algerini e di altri paesi ben addestrati al combattimento – hanno aggirato il grosso delle forze avversarie e si sono presentate davanti al Bab Gharbi, la Porta occidentale di Ajdabiya mettendo in fuga i «twar», i rivoluzionari più giovani ed inesperti. Le forze lealiste non si sono spinte molto più avanti. Hanno piantato la bandiera verde a Bab Gharbi e prima del tramonto sono arretrate per non rimanere intrappolate tra i reparti di Abdel Fattah Younis e le centinaia di combattenti partiti immediatamente da Bengasi. Le notizie ieri dal fronte, sempre meno accessibile alla stampa per decisione dei comandimilitari ribelli, descrivevano una situazione fluida, con le due parti sostanzialmente ferme sulle stesse posizioni.

È a Misurata che si sta combattendo la battaglia vera. La città è ridotta in macerie in diversi punti e gli aiuti umanitari giungono solo via mare, inviati da Bengasi. Anche per i giornalisti non è facile raggiungerla. Devono mettersi in lista di attesa e aspettare di potersi imbarcare sulle rare navi che partono per la città con viveri e medicine. E, come informa una nota del Palazzo di Vetro da New York, uno stop immediato agli attacchi a Misurata, soprattutto per agevolare la distribuzione dell'assistenza umanitaria e i soccorsi ai feriti, è stato chiesto alle autorità libiche da due rappresentanti dell'Onu, l'inviato peciale Andul Ilah Al-Khatib e il segretario per le questioni umanitarie Valerie Amos, che hanno incontrato domenica a Tripoli il premier Mahmud Al- Baghdadi e il ministro degli esteri Abdelati Obeidi. Anche Emergency chiede di «fermare il massacro e garantire le cure alle vittime diMisurata». Dal 10 aprile 2011 i medici e gli infermieri di Emergency sono l'unico team internazionale che opera a Misurata in condizioni disperate. Da Misurata giungono notizie drammatiche ma non sempre verificabili. Il britannico Sunday Times due giorni fa ha accusato il regime di Gheddafi di usare lo stupro come «arma di guerra », riportando una decina di casi a Misurata e un altro centinaio nel resto della Libia (Ras Lanuf, Bin Jawad, Ugayla, Ajdabiya e Sidi Bashur), di donne violentate da militari fedeli al colonnello spesso in azioni di gruppo alimentate, ha scritto il giornale, «dal Viagra, altre volte semplicemente dal desiderio di punire e umiliare le vittime». Un medico, Khalifa al Sharkassi, ha raccontato il caso di una donna che ha cercato di pulirsi con la candeggina dopo lo stupro e un altro di due sorelle di 16 e 20 anni violentate davanti alla madre prima da soldati libici e poi da quattro o cinque mercenari africani.

Ieri abbiamo cercato di raccogliere qualche conferma a queste notizie in due ospedali di Bengasi dove sono arrivano molti dei feriti di guerra da Misurata e Ajdabiya. «Sappiano di stupri commessi (dalle truppe di Gheddafi) all’inizio della guerra ma non abbiamo raccolto alcuna denuncia in queste ultime settimane dalle donne giunte da Misrata, mentre Ajdabiyeh ormai è disabitata», ci ha detto il dottor Fathi Shibani, manager dell’Ospedale centrale di Bengasi. All’ospedale ginecologico «Jumoriyeh» (l’ex Ospedale Maggiore italiano) il dottor Abdel Hakim Dirmish, giunto sei giorni fa da Misurata, ci ha riferito di aver sentito da alcune persone di casi di stupri. «Mi hanno detto che soldati di Gheddafi sarebbero entrati in ville ad abitazioni e dopo aver immobilizzato gli uomini avrebbero violentato le donne», ha detto Dirmish sottolineando di non aver personalmente raccolto le testimonianze delle vittime. Da parte sua il direttore generale del «Jumoriyeh», il dottor Abdel Latif Gwel, ha rimarcato che fare chiarezza su questi casi non è facile perché le donne libiche preferiscono non denunciare le violenze sessuali subite «per non rovinare la loro reputazione».

Invece negli altri due ospedali di Bengasi, il «1.200» e il «Glaa» risultano due casi «da accertare» di vittime di bombe a grappolo (cluster bombs) a Misurata. Nei giorni scorsi Human Rights Watch aveva denunciato l’utilizzo di quest’arma letale da parte dell’esercito governativo, con grave pericolo per la popolazione civile. Accusa seccamente smentita dal figlio di Gheddafi, Seif al Islam, in una intervista al Washington Post. «Siamo sicuri di non aver commesso nessun crimine contro il nostro popolo», ha detto Seif al Islam più volte indicato negli anni passati come il futuro leader libico. «Vorremmo che gli americani inviassero una missione esplorativa per capire che cosa è successo in Libia, vogliamo che Human Rights Watch venga qui e veda esattamente quel che è successo...Non abbiamo paura della Corte Penale Internazionale dell’Aja (che ha accusato il colonnello di crimini di guerra, ndr), ha aggiunto. Il giovane Gheddafi ha spiegato che, per il regime, «il primo problema è sbarazzarsi dei terroristi» (i ribelli), in modo ad aprire la strada ad una soluzione evidentemente di natura politica. Proprio il presidente del Cnt, cioè dei ribelli, Mustafa Abdel Jalil, sarà oggi Roma dove vedrà il ministro degli esteri Franco Frattini, al quale chiederà l’invio immediato a Bengasi di armi e addestratori promessi dal governo Berlusconi.

Nena News

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