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Fumo di Londra

(10 Agosto 2011)

Fumo di Londra

La condanna segue le devastazioni ma il preconcetto le anticipa. Per il borghese medio e il suo rappresentante della casta politica, il giovane delle periferie è di per sé un criminale, rioter, black bloc. La versione odierna dell’hooligan sfasciatutto. E loro effettivamente spaccano, bruciano con un’ira degna dei migliori giorni. Ma solo i sociologi e chi ben conosce i disagi delle periferie, come l’attivista per i diritti delle minoranze Lee Jasper, si chiedono perché. La leadership britannica al massimo rientra scocciata dal buen retiro del Chiantishire come ha fatto Cameron immortalato per la propaganda dell’efficienza di servizio davanti a una piacente bobby e un edificio annerito. La politica inglese, oggi di destra ieri laburista, non vuole parlare di disoccupazione e tagli al welfare, quella macelleria sociale con cui la crisi in atto viene ovunque e all’unisono rivolta contro chi lavora e chi un lavoro, pur minimo ma dignitoso, non potrà averlo mai. L’economia della crisi non lo prevede. Si prospetta al massimo precarietà sottopagata con cui il ragazzo di Brixton acquista alcol e droga per dimenticare. L’evaporata sinistra d’Europa da anni non sa dire nulla di diverso, nel Regno Unito come da noi. La crisi, lo spettro della recessione internazionale sono alibi meravigliosi per riproporre la cura di privatizzazione selvaggia e liberismo sanguisuga che da oltre vent’anni macerano diritti e difesa del lavoro lasciandosi dietro il paesaggio di devastazione sociale che mette in discussione presente e futuro. Essi ripropongono un egoismo classista ancora più canaglia nell’esclusione di chi ti sta accanto. Laburisti, socialdemocratici, democratici, per niente diversi dai conservatori, tuttora s’adeguano a questa ricetta bollita dal sapore di fiele.

Allora la rabbia è una strada obbligata per chi trascorre anni a osservare che i feticci attorno a cui tutto ruota non sono per lui. Magari in un rap di follìa, solitario o collettivo, quei simboli vengono afferrati e risulteranno rubati perché il passo è fuori dalla regole dello scambio di mercato. Ma si tratta del sogno d’una notte o d’imboccare la via del delirio malavitoso. Invece il più esecrando dei gesti di questi giorni - infiammare, scassare – si riempie d’un significato politico seppur primitivo. Attacca il simbolo della propria esclusione: la merce. Distrugge i santuari di quella società organizzata e civile che è invece sistema dell’apartheid di chi non può neppure essere consumatore perché privato del salario minimo. Anche quello per l’hot-dog, mica solo per la pinta al pub o l’iPod nell’orecchio. Molti dei riottosi non sono totalmente esclusi dal meccanismo di consumo e il blackberry ce l’hanno in mano e l’usano ad arte negli scontri, per coordinarsi, disperdersi e contrattaccare. Guerriglieri dell’hi-tech come delle incursioni di hackeraggio sul web. Ma in questa protesta che, letta fra le righe, non è affatto qualunquista, i ribelli s’autoinvestono d’un luddismo che di per sé non basta. Non trovano differenti vie, sfogano l’odio senza cercare altri obiettivi. L’attuale politica non li aiuta. Li criminalizza e li uccide. Non le interessa riflettere sulla frustrazione di milioni di suoi giovani cittadini. Gli oppone i bravi ragazzi che con scope e pale sono pronti a ripulire e riprendere a far finta che il problema non esista. La classe dominante della vecchia Europa perpetua se stessa preparando i nuovi Cameron o Blair, i ciechi esecutori o i mistificatori d’una società giunta al capolinea. Da quel binario morto, nessun leader sembra spostarsi, l’unica marcia intrapresa va verso l’ennesima indecorosa sosta di progettualità sociale. Perciò i fuochi non potranno che allargarsi.

9 agosto 2011

Enrico Campofreda

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