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(29 Settembre 2011)
anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.nena-news.com
Un bambino palestinese in uno dei tunnel di collegamento tra l’Egitto e la Striscia di Gaza, fonte B’Tselem
EMMA MANCINI
Beit Sahour (Cisgiordania), 29 settembre, Nena News (nella foto, un bambino palestinese in uno dei tunnel di collegamento tra l’Egitto e la Striscia di Gaza, fonte B’Tselem) – In Cisgiordania più di un bambino su 20 è costretto a lavorare. È esattamente del 5.4%, secondo i dati forniti dal Ministero del Lavoro palestinese, la quota di bambini tra 5 e 17 anni con un impiego formale o informale. Un dato al ribasso, vista la difficoltà a calcolare il reale numero di bambini lavoratori. E la situazione sta peggiorando con il passare degli anni, strettamente connessa alla crisi economica che sta investendo i Territori Occupati.
Le famiglie necessitano di più entrate possibili e i bambini diventano braccia in più, sottopagate e spesso costrette a impieghi pericolosi e usuranti: i terreni agricoli nella Jordan Valley, i tunnel di Gaza, ristoranti e trasporti. Seppur la legge palestinese sul lavoro del 2000 consideri illegale il lavoro minorile sotto i 15 anni d’età e specifici tipi di impiego considerati pericolosi per un bambino.
Le statistiche del Ministero del Lavoro parlano di una percentuale media di lavoro minorile pari al 3,7% nel 2009 (5,4% in Cisgiordania e 0.9% a Gaza). Ma dal dicastero sottolineano la difficoltà a calcolare con precisione il numero di bambini palestinesi occupati a causa della significativa incidenza del lavoro nero. La stragrande maggioranza dei bambini tra 5 e 17 anni lavora all’interno delle attività familiari senza ricevere alcun salario. “Nel 2008 i minori regolarmente impiegati erano 29.249 – spiega a Nena News l’associazione Save The Children – ovvero il 5% della forza lavoro totale nei Territori Occupati. Di questi circa il 70% dei maschi e il 91% delle femmine lavoro in negozi o imprese familiari e non guadagnano alcun salario”.
Stessa situazione nel 2009, come emerge dai dati del Ministero: il 67,3% dei bambini lavoratori è impiegato dalla famiglia senza ricevere un salario (il 98% delle femmine e il 63,3% dei maschi). Solo il 27,6% della forza lavoro minorile lavora fuori dal contesto familiare e riceve una paga, mentre il 5,1% lavora in proprio, ovvero per le strade, nel traffico e nei mercati. Del totale della forza lavoro minorile, il 47% è impiegato in agricoltura, il 27% in ristoranti ed hotel e il restante 26% in altre attività economiche, perlopiù costruzioni, trasporti e servizi.
I rischi corsi sono innumerevoli. La situazione più grave si registra negli appezzamenti agricoli della Jordan Valley, controllati quasi interamente dalle colonie israeliane: secondo i dati forniti dall’International Labour Organization, nel 2008 erano 1.900 i bambini impiegati nelle colonie, perlopiù nella raccolta di datteri.”Il Ministero degli Affari Sociali e altre agenzie – spiegano da Save The Children – dicono che i bambini impiegati nelle colonie in Cisgiordania o dentro Israele non beneficiano di alcuna protezione, né sociale né fisica”.
Lavori duri e pericolosi. Come i tunnel di Gaza. Fin dal 2006, anno di inizio del blocco israeliano contro la Striscia, i bambini sono impiegati nei tunnel che collegano Gaza all’Egitto: la loro statura permette loro di infilarsi sottoterra e raggiungere il territorio egiziano per recuperare beni di prima necessità o materiali di costruzione. Seppur i dati non siano certi, sono stati centinaia gli incidenti che hanno provocato la morte o il ferimento di minori, incidenti dovuti al collasso dei tunnel, all’inalazione di gas tossici o ai bombardamenti dell’aviazione israeliana.
Una maestra accompagna a scuola i bambini durante un’incursione israeliana a Al-Yamoun, vicino Jenin, nel 2005 (fonte Ma’an News)
“La conseguenza del lavoro minorile – continua Save The Children – è l’incremento preoccupante del tasso di abbandono scolastico. Il Ministero dell’Educazione mostra come, nonostante il tasso di scolarizzazione sia piuttosto alto nei Territori Occupati, la qualità dell’educazione impartita stia peggiorando a causa del deterioramento della situazione economica e umanitaria. I bambini incontrano spesso ostacoli materiali nel raggiungere la scuola e gli istituti non riescono ad offrire attività extracurricolari. Questi fattori, combinati con la povertà e l’alto tasso di disoccupazione, spingono i bambini a lasciare la scuola e entrare a far parte della forza lavoro: il 39,8% dei bambini lavoratori nei Territori ha abbandonato gli studi”.
Per un mondo del lavoro che li discrimina: “Solo l’1,6% dei bambini legalmente occupati – prosegue l’associazione – ha un contratto completo e soltanto il 3,3% riceve il pagamento degli straordinari. Mentre il 67% non ha ferie né malattia pagate e il 33% non viene pagato per lavorare nel finesettimana”. “In teoria, secondo quanto previsto dalla legge del 2000 – spiega a Nena News Amira Mustafa del Democracy and Workers’ Rights Center – i bambini non possono lavorare se sotto i 15 anni e fino alla maggiore età hanno diritto a tre settimane di ferie l’anno. Inoltre, l’orario giornaliero di lavoro non può superare le sette ore”.
Ed infine i “bambini da uno shekel”. Ovvero i minori impiegati per l’intero giorno nei mercati, per le strade, vicino ai checkpoint, bambini che tentano di vendere per uno shekel o poco più la loro mercanzia. “I checkpoint israeliani – spiega il Palestinian General Federation of Trade Unions – sono il naturale punto di ritrovo per questi bambini, che approfittano delle lunghe code per vendere fazzoletti, frasi del Corano o frutta. Lavorano una media di 9 ore e mezzo al giorno, con picchi di 12 ore, per guadagnare a fine giornata 20 shekel (circa 8 euro), nel timore continuo di essere arrestati dall’esercito israeliano o dalla polizia palestinese”. Nena News
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