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Libano, intenso traffico di armi per i siriani

Nonostante i controlli, il confine nord-orientale tra i due paesi rimane il terreno d'elezione per un affare sempre più redditizio. Un contrabbando che bypassa le affiliazioni politiche in favore del denaro.

(13 Dicembre 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in nena-news.globalist.it

Libano, intenso traffico di armi per i siriani

foto: nena-news.globalist.it

GIORGIA GRIFONI

Roma, 12 dicembre 2011, Nena News. Iraq, Turchia, Libano. In Siria, le armi destinate agli oppositori del regime di Assad, entrano da tre lati su quattro. Tra il contrabbando di sigarette, generi di prima necessità e carburante, quello di Kalashnikov, M16 e RPG è sicuramente il più redditizio per i villaggi frontalieri libanesi, turchi o iracheni, popolati in gran parte da siriani. Non sono solo le armi a varcare il confine: secondo le confessioni di un trafficante libanese intervistato dalla BBC, assieme ai kalashnikov prenderebbero la via di Homs anche gruppi di salafiti, pronti a combattere accanto ai ribelli sunniti contro le forze governative. Ma in Libano, diviso come non mai sul calderone siriano tra affiliazioni di vecchia data e incubi dell’occupazione passata, non tutto può il settarismo politico. Soprattutto, non contro il denaro.

I prezzi delle armi sono lievitati a cifre folli, nel Paese dei cedri: da marzo a settembre, si stima che siano aumentati del 75%. Per un kalashnikov, si può spendere dai 1500 ai 2000 dollari, mentre un RPG costa circa 2500 dollari. Poco, se paragonato ai 5000 dollari (inclusi due razzi, però) che chiedono i trafficanti iracheni o turchi. Una pallottola per un M16 in Libano costa 1,5 dollari, in Turchia e in Iraq 2. “Stiamo parlando di kalashnikov – spiega Moe Ali, giornalista di Beirut - che fino a cinque anni fa costavano 100 dollari. Persino durante gli scontri di Maggio 2008 i prezzi erano scesi da 800 a 600 dollari, e non c’era domanda semplicemente perché Hezbollah e Amal controllavano il mercato”.

E’ il confine nord-orientale del paese, quello più battuto dai traffici di armi diretti in Siria. Da una parte la valle della Beqaa, roccaforte sciita nel nord del paese, da un altro l’Akkar, regione quasi completamente sunnita oltre Tripoli. Proprio qui sono concentrati tre dei quattro valichi di frontiera tra Siria e Libano, quelli che conducono a Homs e Hama. Zone in cui per decenni le autorità siriane si sono rifiutate di demarcare il confine internazionale con il Libano, rendendole delle No man’s land che sono servite a rafforzare la presenza militare siriana negli anni dell’occupazione del piccolo vicino (1976-2005) con ingressi di truppe, check-points e contrabbando, tra gli altri, di hashish libanese coltivato alle falde del monte Hermel. Circa un mese fa l’esercito siriano ha però minato un tratto di frontiera con il Libano, precisamente quello di Wadi Khaled, all’angolo nord-orientale del Paese dei cedri: sicuramente non un gesto di riconoscimento della sovranità del Libano, ma piuttosto una difesa contro l’inondazione di armi e il passaggio dei ribelli siriani in territorio libanese. Nella Beqaa, invece, sembra che i traffici siano in netta diminuzione, stando alle parole di un trafficante libanese intervistato dal quotidiano al-Akhbar . Beirut ne attribuisce il merito alla presenza dell’esercito, dispiegato alcune settimane fa a guardia del confine. Ma se i traffici nell’Akkar sunnita continuano, sul versante sciita potrebbero essere stati interrotti dall’alto.

“Tutti in Libano – continua Moe Ali- vendono armi ai ribelli siriani per ragioni più forti dell’affiliazione politica o settaria. Lo fanno per soldi, non tenendo conto di chi siano i destinatari”. Una versione confermata anche dal trafficante libanese intervistato, perché vendono quasi tutti: dalle Forze Libanesi al Movimento del Futuro (coalizione 14 marzo, anti-siriani), da Amal al Partito Nazionale Sociale Siriano e addirittura al partito Baath (tutti e tre della coalizione 8 Marzo, filo-siriani). Ovviamente nell’Akkar si vendono armi ai ribelli siriani anche per ragioni ideologiche: armi che spesso sono finanziate dall’Arabia Saudita e dai paesi del Golfo tramite Hariri. Ma nelle zone dove Hezbollah è preponderante, lo si fa soprattutto per fame. “Ovviamente sono i singoli a vendere – conclude Moe Ali- e i membri dei partiti alleati di Hezbollah nel Nord stanno vendendo le armi che erano state loro distribuite per difendersi solo perché pra è un business redditizio in una fase di grande instabilità economica. La vita è diventata così cara in Libano che per la maggior parte delle persone è dura arrivare al giorno dopo”. Nena News

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