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Libano, un paese contro le donne

Il Parlamento ha modificato il disegno di legge relativo alla violenza domestica: stupro coniugale e violenza verbale non costituiranno reato. L'ennesimo esempio che viene da un Stato che a torto passo per un faro di pari opportunità.

(4 Gennaio 2012)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in nena-news.globalist.it

Libano, un paese contro le donne

foto: nena-news.globalist.it

GIORGIA GRIFONI

Roma, 4 gennaio 2012, Nena News. Per le vie di Beirut s’incontrano tante di quelle donne agghindate da abiti succinti da far fatica a credere di essere in un paese arabo. Cliniche più o meno legali offrono ogni tipo di trattamento di chiurugia estetica, dal botox al silicone. Nel Paese dei cedri una donna può persino farsi ricucire l’imene e comprare, quindi, una verginità nuova di zecca. Eppure, a questa presunta libertà d’azione non corrisponde alcuna tutela legale. Dopo il divieto di passare la cittadinanza ai propri figli, il Parlamento libanese si prepara –tramite la modifica di un disegno di legge- a negare alla donna un altro dei suoi più basilari diritti: la protezione dalla violenza domestica.

Stupro coniugale, violenza economica e verbale sono solo alcuni tra gli elementi spariti dalla bozza, che ha subito i primi emendamenti dopo che le autorità religiose libanesi avevano lanciato una campagna contro la legge. Il resto lo ha fatto un gruppo di parlamentari libanesi, molti dei quali membri della commissione incaricata della stesura della legge in questione, facendo pressione perché alcune emittenti televisive non passassero una campagna –promossa dalla ONG “Kafa”- che supportava il disegno di legge: si rivolgeva ai membri della commissione parlamentare con la richiesta di “non mutilare né azzoppare la legge”. E così la campagna è sparita da Future Tv, l’emittente dell’ex-premier Saad Hariri, sotto pretesto che il suo finanziamento fosse “dubbio” e la pubblicità “inappropriata”.

Così mutilata, le legge contro la violenza domestica –la prima in questo senso in Libano- rischia di abbandonare sempre più le donne in balia dell’onnipotenza maschile. Barlumi di speranza erano giunti lo scorso agosto, quando il Parlamento aveva annullato l’articolo 562 del codice penale che mitigava le condanne in caso di delitto d’onore: un crimine più raro ma ancora presente nel paese dei cedri. Pochi, invece, sembrano gli sforzi intrapresi verso il maltrattamento in casa, sempre più diffuso in Libano. Secondo le stime dell’associazione Kafa, almeno tre quarti delle donne libanesi sperimenta, a un certo punto della propria vita, la violenza tra le mura domestiche. Se denunciato, il maltrattamento finisce quasi sempre di fronte a tribunali confessionali –cristiani come musulmani- competenti in materia civile: tribunali che, secondo il secolare controllo sulla vita della comunità, continuano a dar ragione agli uomini.

L’inferiorità legale della donna rispetto all’uomo ha molti volti, in Libano. La più palese, quella del divieto di passare la cittadinanza da madre a figlio, è al centro di una battaglia che vede schierate associazioni di diritti umani e società civile contro un legislatore che continua a considerare le donne come cittadini di serie B, alla stregua di palestinesi e beduini. Per quanto riguarda la rappresentanza nelle istituzioni, la loro presenza appare ancora minima. Nelle ultime elezioni parlamentari, su 12 donne in lizza solo 4 siedono ora in Parlamento: tutte provengono dalle famiglie dell’elite politica libanese, e sono entrate grazie a un padre, un fratello o un marito. Ma se si pensa che la donna in Libano ha ottenuto il voto solo nel 1952, i conti tornano, e non solo per il peso della religione nella scena politica del paese. Secondo una ricerca dell’analista legale Megan McKee, l’arretratezza femminile nella Costituzione sarebbe un retaggio del periodo mandatario, durante il quale vennero stese le leggi seguendo il vecchio codice napoleonico. A differenza della legislazione ottomana, secondo la quale la cittadinanza poteva essere trasmessa da entrambi i genitori, quella francese poneva la donna sotto la giurisdizione totale dell’uomo: padre prima, marito poi. Una Costituzione che vige ancora, sistemata qua e là, dal 1926. Dettagli, per un paese che come metro della ripartizione religiosa utilizza ancora il censimento del 1932. Nena News.

Nena News

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