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Aiuti esteri, trappola per politica palestinese

La dipendenza da massicci finanziamenti internazionali rende l'Anp sempre meno autonoma nel delineare le proprie scelte politiche. E rischia di aggravare la crisi economica.

(16 Gennaio 2012)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in nena-news.globalist.it

Aiuti esteri, trappola per politica palestinese

foto: nena-news.globalist.it

MARTA FORTUNATO

Beit Sahour (Cisgiordania), 16 gennaio 2012, Nena News - Dietro alle automobili di lusso che sfrecciano per le strade della Cisgiordania e dietro alle enormi opere di costruzione in corso nelle principali città palestinesi, si nasconde un'economia in forte crisi, sempre più dipendente da aiuti internazionali. Cifre sbalorditive, che, se venissero a mancare, condurrebbero l'Autorità nazionale palestinese in un baratro. L'aiuto umanitario nei territori palestinesi occupati (Tpo) ha subito un forte aumento negli ultimi anni: si è passati dai 863 milioni di dollari del 2008 all'1.3 miliardi del 2009. E secondo i dati dell'ultimo rapporto annuale pubblicato a luglio 2011 dall'organizzazione indipendente Development Initiatives , i Tpo sono, dopo il Sudan, il paese che riceve il maggior numero di aiuti. Un dato preoccupante, che pone numerose domande.

Cosa succederà quando il rubinetto degli aiuti si chiuderà? Un fenomeno simile è avvenuto dopo le elezioni del 2006 che hanno dato ad Hamas il controllo della Striscia di Gaza. Le conseguenze sul piano economico si sono subito fatte sentire: i donatori hanno tagliato un miliardo di dollari dal flusso di denaro destinato all'Anp. Una mossa economica con un fine politico: costringere l'autorità palestinese a prendere le distanze da Hamas. Il risultato è stato che l'Anp è stata costretta a contrarre un debito pari a 1.7 miliardi di dollari - debito che oggi ammonta a 1.09 miliardi.
E nel 2011 si è ripetuto lo stesse scenario. A seguito della richiesta di adesione dello Stato di Palestina all'ONU e del riconoscimento da parte all'UNESCO, l'Anp è stata vittima di ritorsioni da parte dei donatori e di Israele. Il Congresso americano ha bloccato il trasferimento di 200 milioni di dollari ai palestinesi, provocando lo stop di molti progetti educativi ed umanitari in Cisgiordania. Nello stesso tempo anche Israele ha deciso di congelare temporaneamente il trasferimento di circa 100 milioni di dollari che mensilmente le autorità israeliane girano a quelle palestinesi, derivanti dalle tasse pagate dai residenti nei Territori Occupati.
Nonostante la sospensione sia stata ritirata, Israele ha minacciato un nuovo blocco nel caso in cui Fatah costituisse un governo di unità nazionale con Hamas.

Chi saranno le prime vittime della crisi economica? “Se il trasferimento delle tasse ai palestinesi tardasse, le piccole imprese come i negozi di generi alimentari sarebbero i primi a subire le conseguenze” ha spiegato Izz Tawil, manager generale della rete palestinese di micro-finanza Sharakeh ad IRIN (servizio dell'ufficio dell'ONU per gli Affari Umanitari). Com'era già avvenuto nel 2006 - e più volte nel 2011, una crisi economica lascerebbe senza soldi i dipendenti pubblici, i quali hanno un potere d'acquisto relativamente alto. E senza stipendio non è possibile né restituire i prestiti né farne di nuovi. Di conseguenza gli acquisti diminuirebbero e i primi a perderci sarebbero i piccoli imprenditori, i quali sarebbero costretti ad affidarsi ad istituti di microfinanza per ottenere dei prestiti.

“Dal 2006 al 2011 i miei debiti sono cresciuti in modo esponenziale” ha raccontato Mazin Khayyat, proprietario di un negozio di vestiti a Ramallah – ed ora ammontano a 10.000$. Nel 2006 le mie vendite sono diminuite del 17% rispetto all'anno precedente e questo è avvenuto perchè in tempo di crisi gli acquirenti vanno alla caccia di prodotti economici e comprano solo lo stretto necessario”.

Ma è anche il contesto politico a tenere lontani gli investitori dalla Palestina. “Nessuno si assume il rischio di fare investimenti in una realtà così instabile come quella palestinese” ha continuato Tawil. Negli ultimi anni le restrizioni imposte da Israele sul commercio, sulla mobilità e sull'accesso hanno fatto fuggire molti investitori e secondo la Banca Mondiale (BM) sarebbero propri questi elementi ad aver bloccato la crescita del settore privato nei Territori Palestinesi Occupati.

La situazione rimane critica, ma celata da uno sviluppo apparente ed illusorio. Secondo i dati della BM, l'economia palestinese è cresciuta solamente del 4% nei primi sei mesi del 2011 e il tasso di disoccupazione è del 16%. E senza gli aiuti internazionali, la stessa sopravvivenza economica dell'Anp sarebbe minacciata. Dei 3,7 miliardi di dollari di bugdet del 2011, ben 1.5 miliardi provengono da aiuti esteri e 1.3 miliardi sono i rimborsi delle tasse che ogni mese Israele incassa e trasferisce all'Anp. Nena News

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