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L'impossibile equilibrio giordano

(11 Dicembre 2012)

La separazione tra comunità palestinese e tribù beduine è da decenni fattore di instabilità. E ora Amman è chiamata a ribilanciare gli equilibri per salvare la monarchia.

equigiordano

di Rossana Zena

Roma, 11 dicembre 2012, Nena News - Negli ultimi anni il re Abdullah di Giordania si trova a dover riaffrontare vecchi. Compito del giovane monarca dover gestire il malcontento e le differenze di una popolazione che si identifica in apparenza come giordana, ma la cui maggioranza demografica è palestinese, per nascita o di ascendenza.

È lo Stato a istituzionalizzare le differenze: carte d'identità diverse - e quindi diritti diversi - e una legge elettorale sottorappresenta la comunità palestinese in parlamento e nel governo. Da gennaio, ogni venerdì la popolazione si riversa nelle piazze, chi per urlare il risentimento nei confronti del re per le ingiuste diseguaglianze a cui sono soggetti i palestinesi, chi per chiedere ulteriori concessioni e favoritismi per la popolazione giordana.

La storia

I palestinesi residenti in Giordania non sono una minoranza: la popolazione palestinese nel regno hashemita rappresenta il 70% della popolazione, di cui il 50% rifugiati che arrivarono negli anni Settanta e Ottanta dalla Palestina, e negli anni Novanta dal Kuwait, a seguito della Prima Guerra del Golfo.

I palestinesi, quindi, non sono né una minoranza religiosa, come i copti in Egitto o gli alawiti in Siria, né una minoranza etnica come i curdi in Iraq. I palestinesi, così come i giordani, sono arabi, per lo più sunniti (i cristiani rappresentano solo il 10% della comunità).

La presenza di una maggioranza palestinese in Giordania è stata ripetutamente indicata come la principale fonte di instabilità del regime hashemita. Alcuni studiosi del Medio Oriente, come Peter Gubser e Adnan Abu Odeh, hanno da sempre sostenuto che la distinzione tra palestinesi e giordani costituisce il più serio e pericoloso fattore di divisione interna.

Dopo il 1948, l'afflusso dei palestinesi in Giordania rappresentò per la monarchia hashemita uno strumento di pressione politica: il compito del re era proteggere gli interessi dei "transgiordani", per preservare il sentimento di appartenenza nonostante la divisione. La maggioranza palestinese in Giordania era anche funzionale al mantenimento delle pretese hashemite di avere un ruolo leader in Palestina, giustificando così l'impegno diplomatico giordano in Cisgiordania.

Ma senza dubbio la componente palestinese, ostile all'orientamento filo-occidentale della monarchia e favorevole al nazionalismo pan-arabo progressista di Nasser, costituì negli anni Cinquanta e Sessanta il nucleo e la componente più cospicua dell'opposizione radicale alla monarchia hashemita, rafforzando così l'immagine del palestinese "cattivo ragazzo", scontroso e sovversivo, in contrasto con quella del giordano che, seppur coinvolto nell'azione politica di opposizione, era visto come il "bravo ragazzo" fuorviato. Al contrario, la presenza palestinese era considerata come una minaccia all'esistenza stessa della Giordania.

Il Settembre Nero, nel 1970, non fece altro che esasperare le divisioni tra palestinsi e giordani e fornì l'occasione per l'avvio del processo di "depalestinizzazione". Gli scontri continuarono fino al luglio 1971 e portarono all'espulsione dell'OLP dalla Giordania, esasperando cosi l'odio tra la componente palestinese e i fedelissimi del regime hashemita.

La vittoria dell'esercito sull'OLP non fu solo una vittoria dei giordani sull'organizzazione stessa, ma rappresentò la sconfitta dei palestinesi. In quanto vincitori, molti giordani ritennero di aver titolo ad un premio: a livello individuale, un favore del re o del suo governo - un lavoro, una promozione, cure mediche gratuite. I giordani pretesero favoritismi permanenti: la chiusura del settore pubblico ai palestinesi e il trattamento sfavorevole che vi ricevevano furono però compensati economicamente dalle possibilità offerte nel settore privato e nel Golfo, riducendo cosi l'impatto materiale che la "depalestinizzazione" ebbe sulla comunità palestinese.

Rapporti di forza e politiche di "depalestinizzazione"

I rapporti giordano-palestinesi sono sempre stati delicati e vulnerabili. In termini di rappresentanza politica i palestinesi sono effettivamente considerati come una minoranza: non sono mai stati completamente integrati nel sistema statale e al loro peso demografico non è mai stata riconosciuta una rappresentanza proporzionale nelle istituzioni dello Stato. Anche se rappresentano la maggioranza, sono pochissimi i palestinesi che hanno potuto accedere alle alte sfere dei processi decisionali.

I personaggi chiave nella corte reale sono unilateralmente scelti dalla stessa famiglia reale e da importanti famiglie giordane, tribù beduine e clan. Attualmente solo cinque dei 28 ministri giordani sono di origine palestinese, mentre in parlamento i senatori palestinesi sono nove su 55 e i deputati 18 su 110. Nessun palestinese è a capo di uno dei governatorati in Giordania.

Il sistema elettorale garantisce una migliore rappresentanza alle aree che hanno una maggioranza di abitanti di origine non-palestinese. Un esempio: la città beduina di Kerak ha 10 seggi parlamentari per meno di 150.000 elettori, mentre la capitale Amman, a maggioranza palestinese, ha appena 20 seggi per oltre tre milioni di elettori. La distribuzione sproporzionata del potere politico è molto più evidente nella struttura e nella composizione delle forze armate e negli organi di sicurezza interna, considerati i due pilastri del regime hashemita. I giordani, specialmente i beduini, costituiscono la spina dorsale dell'unità di combattimento dell'esercito giordano. Vero è che i palestinesi hanno da sempre servito nell'esercito, ma mai nelle unità di fanteria o nei corpi corazzati, cariche destinate prevalentemente ai soldati beduini.

Una simile discriminazione è stata in parte cercata anche dalla stessa comunità palestinese: dopo il Settembre Nero i palestinesi percepivano il sentimento proveniente dalla società giordana e si sentivano continuamente sotto controllo. Preferirono, quindi, non essere coinvolti nella politica per evitare segnalazioni da parte dell'apparato di sicurezza.

Il tribalismo e lo Stato

La promozione dell'identità giordana è andata pari passo con l'integrazione delle tribù nella macchina dello Stato. I giordani doc sono arrivati a dominare burocrazia, esercito e sicurezza interna, mentre i palestinesi si sono guadagnati la predominanza nel settore economico privato e nei mercati finanziari.

La scissione tra palestinesi e giordani è profondamente radicata nella storia politica e sociale della Giordania. Una delle conquiste più importanti di re Abdallah I fu quella di integrare i beduini nello Stato, e in particolare nella legione araba che ha contribuito a trasformare l'obbedienza tribale in lealtà verso il monarca. L'inserimento preferenziale dei beduini non solo ha fornito ai poveri un'opportunità per migliorare la loro condizione sociale, ma è servita per consolidare la legittimità dello Stato e della famiglia reale, creando cosi una relazione di dipendenza clientelare. Questo legame, nel corso degli anni, ha fatto emergere il ruolo delle tribù come vero e proprio bastione del regime ed al tempo stesso ha favorito un loro progressivo inserimento in tutti gli apparati amministrativi dello Stato. Lo stesso Stato giordano ha volutamente promosso il patrimonio tribale come simbolo distintivo dell'identità nazionale giordana che la distinguesse da quella palestinese. Nonostante i sontuosi privilegi, i beduini giordani hanno sempre puntato ad un pezzo più grande della torta, chiedendo ulteriori benefici al re e ottenendo così un potere sempre più attivo. Quanto più i legami tribali si sono allargati, tanto più hanno portato all'erosione della libertà della società giordana: un fattore che ha indebolito il potere centrale dello Stato e negli anni ha provocato situazioni di caos e anarchia in molte città giordane. Le forze di sicurezza mantengono l'ordine solo grazie agli interventi degli sceicchi locali che si mobilitano per evitare ulteriori disordini, un grave esempio della debolezza della Giordania, incapace di imporre lo Stato di diritto all'interno dei suoi confini.

L'ascesa del nazionalismo radicale transgiordano ha aumentato l'atteggiamento di ostilità verso i cittadini giordani di altre origini etniche, palestinesi in primis, insieme al risentimento nei loro confronti causato dall'oscillamento dell'economia giordana che ha indotto il governo giordano a ridurre le spese, a scapito di chi è sul libro paga del governo. Ovvero i giordani.

Cambio di rotta?

A partire dal 1999, il nuovo re Abdullah II, con l'intento di rinnovare il Paese e la sua economia, ha accelerato la liberalizzazione economica secondo le direttive del Fondo monetario internazionale (Fmi), i cui sviluppi hanno però intaccato gli interessi della componente beduina e favorito l'ascesa di un nuovo ceto medio imprenditoriale urbano composto per la maggior parte da giordano-palestinesi. Le riforme in questi anni si sono però rivelate poche e inefficienti, tanto che l'agenda neoliberale è diventata una fonte di reddito e distribuzione del potere per il nuovo gruppo dirigente, intaccando i rapporti decennali che si erano creati tra la famiglia reale e le tribù beduine. Per le tribù, tali politiche hanno rappresentato la violazione del patto non scritto stretto con lo Stato.

A peggiorare ulteriormente i rapporti, il matrimonio di re Abdullah con la principessa Rania, mai completamente accettata dalla componente tradizionalista del Paese che poco gradisce la presenza nelle stanze del potere di una donna nata in Kuwait e di origine palestinese. Il malessere è sfociato nell'inverno del 2011, quando 36 capi tribali hanno firmato una petizione contro la regina Rania e la sua famiglia accusandola di corruzione e affermando che la Giordania subisce l'invasione palestinese per colpa di re Abdullah.

Il monarca ha da subito cercato di bloccare sul nascere un potenziale conflitto con le tribù, tentando di mantenere e aumentare la "coesione etnica" all'interno degli apparati di sicurezza e militari. Le politiche di re Abdullah II hanno ripreso quelle adottate dal bisnonno, Abdullah I, nel 1920, con le quali assegnava alla tribù dei Beni Shaker il controllo supremo degli affari interni e degli apparati di sicurezza giordani.

Allo stesso modo re Abdullah II ha nominato capo dell'esercito, capo della sicurezza militare e ministro degli interni scegliendoli tutti da un'unica tribù. Ma tali politiche hanno ulteriormente esasperato le tensioni all'interno della monarchia, scoppiate per l'adozione di una politica razzista, chiaramente dimostrata dal ritiro della cittadinanza giordana a oltre 2.700 cittadini giordano-palestinesi.

L'idea della "patria alternativa" è un fantasma che inquieta re Abdullah II che, ritirando la cittadinanza ai palestinesi, afferma in modo diretto che la comunità palestinese sta creando problemi all'identità sociale e culturale del popolo giordano, anche se pubblicamente ha giustificato il suo comportamento come un mezzo per contrastare la politica d'espansione israeliana e per riportare alla ribalta il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi.

Il crescente malessere della componente di origine palestinese ha spinto il re a cercare una difficile riconciliazione con le ricche famiglie beduine. Da questi delicati equilibri dipenderà la stabilità della Giordania e il futuro della dinastia hashemita. Abdullah II ha di fronte un difficile compito: interpretare l'anima complessa del suo Paese, rispettarne la tradizione e immaginare un futuro di sviluppo democratico ed egalitario per l'intera popolazione della Giordania.

Nena News

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