">
il pane e le rose

Font:

Posizione: Home > Archivio notizie > Imperialismo e guerra    (Visualizza la Mappa del sito )

Da 60 anni, ogni giorno

Da 60 anni, ogni giorno

(8 Marzo 2010) Enzo Apicella
Da 60 anni, ogni giorno

Tutte le vignette di Enzo Apicella

PRIMA PAGINA

costruiamo un arete redazionale per il pane e le rose Libera TV

SITI WEB
(Palestina occupata)

Palestinesi ancòra trucidati, fra razzi e diplomazia, false alternative nazionaliste.

(20 Dicembre 2012)

Dal giornale "Alternativa di Classe" uscito il 13 dicembre 2012

L’ultima offensiva della “guerra” di Israele, peraltro dai caratteri molto somiglianti alla “Operazione piombo fuso” di quasi quattro anni fa, ha una possibile traduzione linguistica in “Operazione pilastro della difesa”, ed è iniziata il 14 Novembre, in “risposta” ai razzi di Hamas, lanciati per vendicare, a loro volta, l’uccisione di
Ahmed Al Jabari, il loro “Capo delle Forze Armate”, ed altri omicidi avvenuti a partire dall’8 Novembre. Secondo il Ministro israeliano E. Barak, l’offensiva è proseguita con altri “omicidi mirati”; in realtà, da allora, sono stati uccisi, in otto giorni, a fronte di cinque israeliani, oltre 160 palestinesi, attaccati via mare, via terra e via aria.
Sostenere, perciò, come hanno fatto alcuni media, che si tratti veramente di guerra, o, addirittura, che vi sia stata un’aggressione da parte palestinese, cui Israele avrebbe semplicemente “risposto”, significa veramente travisare la realtà. Al di là della successione dei fatti, sulla quale è normale che vi siano versioni diverse, la disparità di mezzi militari, che supera la proporzione di 1 : 10 (uno a dieci) a vantaggio di Israele, ma soprattutto la condizione di “ostaggi” vissuta dagli abitanti del “bantustan” di Gaza, veri bersagli umani
permanenti delle forze armate israeliane, anche in tempo di “pace”, smentiscono tali tesi. Almeno da
quando, pur sotto protettorato d’Israele, la “Autorità Nazionale Palestinese” amministra la Striscia, si tratta soltanto di un massacro a senso unico, portato avanti in modo intermittente, nei tempi che necessitano a
quell’imperialismo, che, fra l’altro, per il prossimo Gennaio ha in programma una tornata elettorale.
La crisi economica è internazionale, e morde ovunque; serve, allora, a Netanyahu spostare l’attenzione dell’opinione pubblica interna dai gravi e reali problemi sociali al tema, là razzista, della “lotta al terrorismo”, per garantirsi consensi. Dopo la tregua, raggiunta il 21 Novembre con la mediazione del Governo egiziano di M. Morsi, il premier israeliano ha, infatti, subito chiesto la collaborazione degli USA,
l’alleato di sempre, contro l’Iran, da cui proverrebbero armi dirette a Gaza… Ovviamente, di palestinesi ne sono continuati a morire uccisi, seppure in numero inferiore, anche dopo la tregua formale, ma, avvicinandosi la votazione all’ONU per il riconoscimento della Palestina, non più come “entità” osservatrice, ma come “Stato osservatore”, un “cessate il fuoco” formale “faceva gioco” per Israele.
Il 29 Novembre, puntuale, è arrivata la votazione che modifica lo status della A.n.p. all’ONU, “vittoria diplomatica” di Fatah, con ben 138 voti favorevoli e, solo, 9 Paesi contrari e 41
astenuti. Scontato il voto contrario degli USA ed una “divisione” annunciata dell’Unione Europea, in cui i paesi mediterranei (Italia, Francia e Spagna), dove tradizionalmente è più forte la borghesia filo-araba, hanno votato a favore, mentre Germania e Gran Bretagna si sono astenute, per mantenere aperto verso Israele il
discorso di ingresso nell’Unione, mai perfezionato. In realtà, per i palestinesi si tratta di una “vittoria di Pirro”, che, nonostante le scene di giubilo, che hanno coinvolto parte delle masse povere, non cambia minimamente la loro situazione concreta. Ha ragione proprio Netanyahu, quando afferma che questo voto “non cambierà alcunchè sul terreno”, anche se per parte della borghesia palestinese, presente in tutti i
paesi arabi, rimane un successo che peserà, ma solo nei rapporti inter-arabi. Per quanto riguarda le possibilità di finanziamenti che il nuovo status avrebbe potuto permettere all’A.n.p., gli USA hanno provveduto preventivamente a tagliare i fondi agli organismi in cui ora potrebbe entrare, garantendo così continuità alla sostanziale dipendenza da Israele. Essa, pur avendo ottenuto il formale “cessate il fuoco” di “tutte le fazioni
palestinesi”, per bilanciare al suo interno l’immagine di “cedimento”, ha subito annunciato
ufficialmente la costruzione di altri 3000 alloggi per “coloni”, a partire dalla Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est: proprio quello che Abu Mazen aveva dichiarato a caldo all’ONU, che si sarebbe dovuto evitare per il futuro.
L’intera vicenda certifica, ormai, quantomeno la sterilità, che ha per i proletari e le masse povere palestinesi, il continuare con la rivendicazione di uno stato arabo su quei territori! Ora che uno Stato, formalmente, esiste, Israele sta dimostrando che, dominandolo sia militarmente che economicamente, può farsi beffa
di qualsiasi votazione formale. Del resto, le borghesie di tutti i paesi arabi della regione hanno già ampiamente dimostrato da almeno trent’anni quale sia il loro reale interesse verso i diseredati palestinesi, a partire dalle stragi di Sabra e Chatila nell’82 in Libano, non certo ad opera di Israele, fino al trattamento pesantemente discriminatorio riservato ai profughi, ad esempio, dalla Giordania!
Di diverso segno, però, è la considerazione tributata da tutti i paesi arabi alla borghesia palestinese, che da più di 50 anni là vive e prospera, facendo lucrosi affari, e che è, mediamente, più ricca, istruita ed intraprendente!
La “questione palestinese” viene, così, strumentalizzata da tali paesi, facendo leva, unicamente per i propri interessi, sulla solidarietà panaraba. Del resto, significativamente, proprio questa è il collante ideologico, utilizzato per ottenere consenso all’aggregazione economica sub-continentale dei “Paesi Arabi del Golfo”, trainata dalla Arabia Saudita, una delle potenze regionali in lotta per la leadership del Medio Oriente.
Né ha senso per i proletari palestinesi continuare a sostenere forze interclassiste. La nascita della Autorità Nazionale Palestinese nei “territori occupati” non solo non ha frenato le incursioni armate dell’esercito ufficiale di Israele, ma questo ha spesso delegato alla stessa “Polizia Palestinese”, gestita dall’A.n.p., una repressione brutale dei proletari, che hanno, così, potuto sperimentare sulla propria pelle anche la
corruzione ed il malgoverno della “propria” borghesia, rappresentata da Fatah: la gestione autonoma del “bantustan” ha permesso ai proletari palestinesi, sia col lavoro in Israele, e perciò da pendolari, sia come dipendenti direttamente da padrone palestinese, di conoscere di persona i comportamenti del potere borghese locale. Finora diversa era la situazione nelle zone della “Striscia di Gaza” controllate da Hamas, dove la
condizione di estrema precarietà e povertà, con il muro della vergogna alzato da Israele, e con la sua
arroganza militare, faceva apparire a molti proletari palestinesi una formazione come quella, islamista e teocratica (pur se fautrice del ripristino delle punizioni corporali ai “peccatori”: dalla flagellazione, al taglio delle mani, fino alla crocifissione), addirittura come una “forza eroica”, che “sta dalla loro parte”, in quanto è
riuscita a fornire loro una minima organizzazione collettiva di vita e finanche a colpire il territorio di
Israele con razzi (anche se, magari, nel mucchio).
Oggi tale situazione sta cambiando, dato che anche la borghesia teocratica non esita ad usare la sua milizia per reprimere violentemente proteste, come quelle delle donne proletarie dei campi, che chiedono, per esempio, di aumentare le loro scarse razioni di acqua.
In realtà la diplomazia delle “colombe” di Fatah è complementare ai razzi dei “falchi” di Hamas: non c’è bisogno di trattative, se non c’è scontro “bellico” armato! Inoltre, tutta la borghesia nazionalista palestinese ha in mano solo questi strumenti spuntati, ormai, per perpetuare la richiesta del proprio stato!
Queste forze, che nel tempo sono diventate le due principali forze della borghesia palestinese, si scontrano e si alleano tra loro, secondo dinamiche legate unicamente alla concorrenza interna per la leadership, nell’ottica di strappare il maggior consenso possibile tra le masse nazionaliste. Ora che, invece, l’evoluzione concreta della situazione dell’area fa sì che i proletari palestinesi possano riconoscersi come tali, individuando il ruolo della “borghesia di casa propria” come, in fondo, non sostanzialmente dissimile da quello della borghesia imperialista israeliana, comincia ad ”avere gambe”, finalmente, l’obiettivo di un
cambiamento rivoluzionario dei rapporti economici e di potere in tutta l’area, unica linea politica possibile per una forza comunista, più necessaria che mai. In questo senso, stanno nascendo e sono nati strumenti concreti, come il Sindacato WAC, presente soprattutto in Israele, ma anche, da poco, nei “territori occupati”; è aperto a sfruttati sia arabi che ebrei, per perseguire insieme i propri interessi immediati di classe,
sfidando non solo il sionismo, ma anche l’islam politico e tutte le ideologie che discriminano i proletari in base alla fede religiosa, alla etnia o a quant’altro! Se questa è la sola ottica in grado di superare in avanti le vecchie concezioni nazionaliste e paraconfessionali tra i proletari dell’area, è necessario affermare che la
rivendicazione borghese dei “Due popoli, due stati”, non a caso appoggiata dall’ONU, (ma, in definitiva, anche quella dello “Stato unico” borghese, che si chiami, o meno, Israele) serve solo a perpetuare una divisione del Medio Oriente funzionale, nel tempo, agli interessi dell’imperialismo mondiale!
E’ proprio la situazione concreta di vita da “bersagli umani”, che dovrebbe rendere urgente aprire gli occhi fra i proletari palestinesi: solo la lotta di classe insieme agli sfruttati ebrei, contro le borghesie dell’area, quella imperialista israeliana, quella palestinese e quelle dei Paesi arabi vicini, può fare loro ritrovare dei naturali alleati, come i proletari di tali paesi, che la recente “Primavera araba” ha aiutato a coagulare. Qui in Italia, come negli altri paesi imperialisti, lasciamo ai borghesi parole d’ordine come “Boicotta, disinvesti e
sanziona Israele”, che, oltre che palesemente inefficaci (dato che, in un’epoca imperialista, è l’offerta di beni ad indirizzare il mercato…), sono su di un piano a noi estraneo: la migliore forma di solidarietà di classe verso i proletari palestinesi (e gli altri proletari mediorientali) è quella di denunciare ed attaccare, qui ed ora, la politica imperialista della “nostra” borghesia verso il Medio Oriente, sia che si esprima sul terreno diplomatico, sia qualora pratichi il terreno militare.

Alternativa di Classe

Fonte

Condividi questo articolo su Facebook

Condividi

 

Ultime notizie del dossier «Palestina occupata»

Ultime notizie dell'autore «Circolo Alternativa di classe (SP)»

3848