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Dopo Israele e Iran, anche la Giordania vuole l'energia atomica

(12 Marzo 2013)

Dopo Amman sarà il turno dei sauditi che pensano ad almeno 16 reattori da realizzare entro il 2030. Poi toccherà agli Emirati e forse seguiranno Turchia e Iraq.

giordenatom

di Giorgia Grifoni

Roma, 12 marzo 2013, Nena News - È fatta. La corsa al nucleare in Medio Oriente cominciata gia' negli anni Cinquanta da Israele (che possiede in segreto anche bombe atomiche) e proseguita dall'Iran (accusato dall'Occidente di voler assemblare ordigni atomici), adesso continua con altri paesi della regione. A partire dalla Giordania sta per erigere le sue prime centrali a 100 km a sud del confine siriano. L'Arabia Saudita, che aveva concepito e portato avanti il progetto di una "Nuclear Free Zone" (NFZ) nella regione, è stata abbandonata dal disinteresse degli Stati Uniti e delle potenze europee. E si è riorganizzata: ha in cantiere almeno 16 reattori da realizzare entro il 2030. Stessa storia per gli Emirati, che ne avranno 4 entro il 2020. Seguiranno forse la Turchia e l'Iraq. Una cosa è certa: nessuno ha interesse a fermare l'opzione militare nucleare. Soprattutto se gli scenari geopolitici si assestano dalla parte giusta.

Che il nucleare potesse sopperire alla scarsità di energia era cosa ben nota. Con le scorte di petrolio e gas in esaurimento - la Shell ha appena abbandonato il consorzio belga-saudita per l'estrazione di gas nel desolato sud-est dell'Arabia lamentando altissimi costi e pochissimi ritorni - le petromonarchie dovevano pur inventarsi qualcosa. E l'hanno fatto proprio nel piccolo regno hashemita, ricco di uranio ma dipendente al 100% dalle importazioni di idrocarburi.

Infatti, nonostante le esternazioni di re Abdallah sulla necessità di sviluppare energia nucleare per risolvere la cronica crisi energetica di cui soffre la piccola monarchia, il paese non sembra affatto d'accordo: nel maggio del 2012 il Parlamento giordano ha votato per la sospensione del programma di sviluppo nucleare e per la ricerca dell'uranio, denunciando la totale impossibilità economica di realizzare il progetto e il rischio per l'impatto ambientale.

Gli Stati Uniti, storici alleati e finanziatori di vecchia data della Giordania, hanno quindi proposto di sostenere economicamente il programma nucleare giordano. A patto però che Amman firmi una clausola sul divieto di arricchimento dell'uranio come parte del suo programma nucleare. Khaled Toukan, presidente della Commissione per l'energia atomica giordana, è stato chiaro: "Abbiamo già aderito al Trattato di non-proliferazione nucleare. E non accetteremo di firmare alcun accordo bilaterale che violi la nostra sovranità o i nostri diritti internazionali". Guarda caso quell'accordo bilaterale è stato invece firmato dagli Emirati. E alcune fonti giordane assicurano che i finanziamenti per il progetto arriveranno da un fondo di investimento di Dubai.

Che ne è stato della crociata di Turki al-Faysal, ex ambasciatore saudita a Washington, di rendere il Medio Oriente una "Nuclear Free Zone"? La proposta, studiata per far pressione all'Iran e fatta in un momento in cui gli equilibri della crisi siriana erano ancora bilanciati verso la resistenza del regime di Assad, si è scontrata con lo scetticismo di Washington nel prendere accordi su una questione che avrebbe incluso anche il suo principale alleato nella zona, Israele, noto detentore di testate nucleari e galoppino Usa nella guerra psicologica e con l'Iran. Niente da fare, quindi. I colloqui, fissati per il dicembre scorso, sono stati improvvisamente sospesi.

E così le petromonarchie si sono riorganizzate. Con l'ago della bilancia siriano spostato verso il successo dell'opposizione e la vittoria delle armate islamiste da loro finanziate, la minaccia di un attacco nucleare iraniano sembra per ora poco probabile. Così Riyadh, Dubai e compagni potrebbero aggirare gli Stati Uniti e sfruttare i giacimenti di uranio della Giordania. E anche Israele - che più di tutti è spaventato da una possibile proliferazione nucleare di Teheran - sembra incluso: nonostante re Abdallah abbia tuonato pubblicamente contro i tentativi di sabotaggio del progetto da parte di Tel Aviv, lo Stato ebraico ha in realtà ammesso di aver aiutato Amman a localizzare la zona perfetta per la costruzione degli impianti. A buon rendere.

Nena News

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