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(6 Luglio 2005)
LA CRISI
Questo congresso del PRC Veneto, si tiene in un momento caratterizzato da una profonda e lacerante crisi economica e produttiva.
Una crisi che si articola sul piano locale come crisi del modello Nord-Est, ma è parte di una crisi più generale del modello di produzione capitalista che sta producendo effetti drammatici in tutto il paese, così come a livello globale.
Come sempre la crisi non significa automaticamente né la distruzione delle forze produttive, né il crollo economico e politico: nella crisi si dà anche sviluppo, ma di carattere temporaneo, locale e settoriale e accompagnato da contraddizioni sempre più laceranti e esplosive.
Si tratta di una crisi che non può essere vista solo come crisi del cosiddetto modello liberista: certamente in questo momento padroni grandi e piccoli stanno ammainando la bandiera del liberismo, ma quello che in crisi è l'essenza stessa del modo di produzione capitalistico, non una specifica ideologia padronale.
Anzi, abbandonando il liberismo per richiedere intervento statale, aiuti pubblici e protezionismo, il padronato non fa altro che scaricare i costi della crisi del proprio modo di produzione sull'intera collettività, dopo averla già fatta pagare ai lavoratori prima sfruttati e poi gettati sulla strada come una qualsiasi merce inutilizzata.
In nessun caso, comunque, il padronato pensa di dover restituire qualcosa: né il patrimonio pubblico che ha rapinato con le privatizzazioni, né tantomeno i salari e i diritti dei lavoratori.
LA CRISI NEL VENETO
Nello specifico del Veneto questa crisi investe praticamente tutti i settori e tutti i territori.
Si manifesta con le delocalizzazioni a est del ciclo produttivo, con le migliaia di licenziamenti nelle produzioni delocalizzate, con la chiusura delle piccole imprese e dei laboratori dell'indotto.
La conseguenza immediata non è la deindustrializazione del Veneto, che rimane una regione fortemente industrializzata con 650.000 operai industraili su un totale di un milione e mezzo di lavoratori dipendenti, ma l'aumento della pressione sui lavoratori che, col ricatto della crisi, vengono spinti ad accettare ulteriore flessibilità, salari sempre più bassi, sempre meno diritti, soluzioni individuali invece che collettive.
Questa ulteriore frantumazione e di atomizzazione del tessuto di classe (che aggrava una situazione già scomposta in predenza, sia per la miriade delle unità produttive, sia per la differenziazione di contratti e diritti) si riflette puntualmente sul piano politico con la subordinazione di una parte della stessa classe lavoratrice al pensiero padronale e alla propoganda sciovinista, razzista e xenofoba.
E' così che si arriva all'assurdo che gli unici autorizzati a proporre ricette per l'uscita dalla crisi sono quegli imprenditori che l'hanno generata, mentre chi la crisi la subisce giorno dopo giorno è costretto al silenzio.
Oltre alle conseguenze sui lavoratori, la crisi ha un suo specifico impatto in termini di devastazione ambientale. All'inquinamento e alla nocività delle fabbriche, intrinseche alla logica del profitto e del libero mercato, si somma oggi il prodotto micidiale della delocalizzazione e del just in time: milioni di tir che trasportano materie prime, semilavorati e merci finite dalle industrie delocalizzate a quelle di assembleaggio finale, da queste ai mercati globali. Senza mai fermarsi perché i tir e la viabilità hanno sostituito magazzini e depositi.
SUL PARTITO
Dobbiamo prendere atto che nonostante la crisi e nonostante la disillusione che essa produce sul futuro di questo stato di cose, il consenso del Partito tra i lavoratori non cresce.
Occorre chiedersi quanto questo dipenda da cause oggettive e quanto invece dipenda dalla nostra incapacità di essere la voce di questa classe depauperata e ricattata, dai nostri limiti di radicamento e di proposta concreta, dalla delega delle questioni del lavoro ad un sindacato sempre più concertativo.
Così come è necessario chiedersi quanto della nostra proposta venga oscurato dalla nostra alleanza con il centrosinistra interclassista.
SUL CENTROSINISTRA
A due anni e mezzo dall'apertura di credito al centrosinistra, ufficializzata con l'intevista al Gazzettino del nostro segretario regionale nel dicembre 2002, occorre tracciare un onesto bilancio dei costi e dei benefici della partecipazione del Partito al centrosinistra in Veneto.
Un bilancio che in primo luogo deve spiegare le ragioni della mancata vittoria del centrosinistra e soprattutto del calo della sinistra all'interno della colaizione, alle ultime elezioni regionali, mettendo a fuoco se quella del centrosinistra sia un'alternativa vera alla giunta Galan o invece solo di facciata.
Allo stesso tempo un bilancio che deve servire anche a chiarire la situazione di città come Venezia (la divisione del centrosinistra alle ultime ammiunistrative), Verona (governata da una giunta di centrosinistra a cui non partecipiamo) e Padova (governata da una giunta di centrosinistra a cui partecipiamo noi, ma da cui sono usciti i Verdi).
Se non individuiamo le questioni politiche di fondo del rapporto con il centrosinistra, questo rapporto non può che essere affrontato di volta in volta, situazione per situazione, in modo del tutto soggettivo e slegato da una strategia di Partito.
Certamente questo è un problema di tutto il Partito, non solo in Veneto, e rimanda direttamente alle caratteristiche altrettanto indefinite e mutevoli dell'accordo generale con il centrosinistra in vista delle prossime elezioni politiche.
A maggior ragione, però, abbiamo il dovere di dare il nostro contributo politico al Partito con un bilancio onesto di questi due anni e mezzo di alleanza non certro entusiasmante con il centrosinistra in Veneto.
IL COMITATO POLITICO REGIONALE
Per realizzare questo bilancio e per superare i nostri limiti nel rapporto con la nostra classe di riferimento, è indispensabile che il comitato politico regionale diventi una cosa profondamente diversa da quella struttura improduttiva che è stato negli ultimi sei anni.
Il Partito ha bisogno di una struttura in grado di analizzare la situazione politica regionale, di sintetizzarla, di essere propositiva nei confronti delle federazioni.
Anche per quanto riguarda le responsabilità a livello regionale (a partire da quella sulle questioni del lavoro) queste devono essere individuate a partire dalla costruzione di commissioni reali, che siano espressione di tutto il partito, sia come territori che come sensibilità, e che nominino il loro portavoce.
Servono risorse adeguate per questa svolta operativa e queste vanno trovate nella ricostruzione del consenso e della solidarietà al nostro agire politico tra i lavoratori e le lavoratrici.
PROPOSTE IMMEDIATE
Fin da subito, con l'obiettivo di contribuire alla crescita politica della classe lavoratrice, il Partito della Rifondazione comunista del Veneto
- fa propria la proposta della costruzione di un coordinamento dei lavoratori e delle lavoratrici delle aziende in crisi, indipendentemente dalla struttura sindacale di appartenenza;
- si impegna a promuovere un'inchiesta scientifica sulle condizioni della classe lavoratrice in Veneto, costruita sul modello dell'inchiesta operaia di Karl Marx.
- si impegna a promuovere collegamenti a livello internazionale tra i lavoratori veneti e i lavoratori delle produzioni delocalizzate.
documento presentato da Aldo Romaro e Nicola Carraro (delegati per la mozione congressuale "Per un progetto comunista") e bocciato con 6 voti favorevoli
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