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(13 Luglio 2005)
Il centrosinistra sembra aver ricomposto, almeno temporaneamente, un punto di equilibrio interno. Di fronte al rischio concreto di una dissoluzione della coalizione e soprattutto di una compromissione della sua leadership, Romano Prodi ha fatto un decisivo passo indietro: accettando la decisione della maggioranza della Margherita di presentare una propria lista alle prossime elezioni politiche, e rinunciando all’ipotesi di una propria lista (che i Ds, in quel quadro, non avrebbero potuto sostenere). In cambio di questo passo indietro Romano Prodi ha chiesto e ottenuto da tutte le forze dell’Unione una propria investitura “popolare” attraverso il ricorso alle primarie. Con un fine dichiarato: non solo rilanciare la propria immagine, alquanto appannata dal lungo trascinarsi delle dispute interne all’Ulivo, ma soprattutto ottenere una pubblica assicurazione preventiva di stabilità alla guida del governo per tutta la prossima legislatura.
UN PATTO PRESIDENZIALISTA
Il punto è di grande rilevanza, persino dal punto di vista politico formale. Prima ancora di aver concordato anche solo una forma di programma comune, tutti i partiti dell’Unione, Prc incluso, hanno pubblicamente siglato il 20 giugno un accordo politico di legislatura, largamente pubblicizzato da tutta la stampa borghese, secondo il quale nessun partito della coalizione potrà votare contro i provvedimenti del futuro governo, limitandosi in caso estremo all’astensione; ed ogni partito della coalizione sosterrà Prodi come premier sino alla fine del mandato, escludendo ogni ricambio di leadership (come nella passata legislatura), pena lo scioglimento del Parlamento e il ricorso alle elezioni anticipate.
Incredibile. Dopo aver formalmente criticato il presidenzialismo di Berlusconi e le riforme istituzionali del governo delle destre, il centrosinistra ha unilateralmente programmato, in base a un patto politico interno, una riforma “presidenzialista” ancor più radicale di quella berlusconiana. A Prodi si assegnano infatti i pieni poteri sulla sua maggioranza parlamentare: l’unica libertà di cui questa dispone in caso di divergenza col premier, è quella del proprio autoscioglimento. Ciò significa assegnare al premier un potere di condizionamento pesantissimo sui partiti della maggioranza e sullo stesso parlamento.
Del resto le fatidiche “primarie” americane non sono forse per definizione, un’espressione classica del presidenzialismo? Un presidente eletto direttamente dal popolo, fosse pure dal popolo del proprio partito o coalizione, perché dovrebbe poi sottomettersi ai negoziati con la sua maggioranza?
Il fatto che questa riforma “presidenzialista” rappresenti ad oggi formalmente il primo e unico punto d’accordo programmatico nell’Unione aggiunge alla gravità del fatto, un aspetto semplicemente grottesco.
LA VALENZA DI CLASSE DELLE PRIMARIE
Ma al di là del sottofondo reazionario di questo accordo sotto lo stesso profilo democratico, quel che va compreso e denunciato è il suo contenuto politico sostanziale. Questo patto presidenzialista di legislatura non è solo una forma di assicurazione personale a Romano Prodi contro il ripetersi di un nuovo '98. Non è solo il prodotto dell’impuntatura personalistica di un candidato premier un po’ bizzoso e inseguito dalle ombre del passato. No. Sotto la coltre di questa rappresentazione giornalistica si cela una precisa sostanza di classe. Prodi chiede pieni poteri al centrosinistra per poter gestire, in un quadro di stabilità, una nuova stagione di misure antipopolari imposte dalla gravità della crisi economica recessiva e dal dissesto del bilancio pubblico, dopo gli anni della finanza creativa di Berlusconi-Tremonti. “Dovremo assumere decisioni difficili”: è quanto lo stesso Prodi va ripetendo da mesi, con tono monocorde, di fronte a tutte le composite platee del proprio blocco di riferimento (dalle assemblee degli industriali, agli incontri con la Cgil, all’assemblea delle riviste della cosidetta “sinistra alternativa”). A tutti il futuro probabile presidente del consiglio già annuncia ciò che si prepara: il rilancio della politica di “risanamento finanziario” e di attacco al debito pubblico; la destinazione delle risorse così liberate alla competitività delle imprese, in particolare delle grandi imprese esportatrici; la ripresa delle liberalizzazioni nei settori strategici, a partire dall’energia; il varo di alcuni ammortizzatori sociali che servano da paracadute alle politiche di mobilità e flessibilità; l’eventuale equiparazione della tassazione delle rendite ai livelli europei che la stessa Confindustria oggi richiede, per liberare nuove risorse verso la grande industria. Dove sta la “difficoltà” d’impatto di queste misure che lo stesso Prodi paventa? Semplice. Sta nel fatto che, come sempre, dovrà chiamare a pagarle i lavoratori e le masse popolari. Il fatto che Fausto Bertinotti nel mentre ha siglato il patto presidenzialista con Prodi abbia sentito l’esigenza di raccomandare timidamente che si evitino politiche “di lacrime e sangue” dà esattamente la misura dello stesso terreno programmatico del confronto. Altro che un programma per “un nuovo mondo possibile”! Ciò di cui già si discute, dietro le quinte dell’ufficialità, è come ripartire i prossimi sacrifici e come farli digerire ai lavoratori. L’appello di Prodi alla Cgil “avremo bisogno di voi” è, già di per sé, una dichiarazione programmatica esaustiva.
UNA COMPETIZIONE FINTA
Ma come? Non si deve festeggiare l’imminente accesso del Prc alle primarie, con la candidatura di Bertinotti? Non è questo il momento in cui la “democrazia partecipativa” può finalmente piegare a sinistra l’orientamento del centrosinistra? Queste leggende metropolitane propagandate a piene mani nel corpo (disorientato) del partito con l’intento di rianimarlo, hanno come unica funzione quella di nascondere la verità delle cose. Certo: il Prc e il suo Segretario otterranno la passerella della visibilità pubblica e mediatica. Sfrutteranno la rendita di posizione di unica reale candidatura di sinistra nella competizione. Potranno anche riscuotere un discreto successo di voto, a fronte di un Prodi piuttosto decotto e in assenza di candidature competitive. E non si può escludere che una candidatura Bertinotti nelle primarie possa catalizzare una domanda di sinistra e di svolta di settori operai e popolari nauseati dagli attuali gruppi dirigenti del centro liberale e gravati da un malessere sociale crescente. E allora? Il punto sta esattamente qui: quale prospettiva politica Bertinotti offre a chi lo vota in alternativa a Prodi, se non l’obbedienza a Prodi per l’intera prossima legislatura? Questa è la contraddizione decisiva che smonta l’inganno delle primarie. La cosiddetta competizione Prodi-Bertinotti è solo la maschera di un accordo già raggiunto, per di più blindato da un patto di fedeltà futura. Peraltro la competizione è talmente finta che, a precisa domanda, lo stesso Bertinotti ha chiarito che non presenterà alle primarie un “programma alternativo” a quello di Prodi, ma solo un programma “distinto”. Comprensibile: come si potrebbe motivare un accordo di governo per la legislatura, presentando un programma alternativo, per di più presumibilmente perdente nelle urne? Peraltro se un programma “distinto” non è alternativo, per la stessa ammissione di Bertinotti, ciò vuol dire che già oggi Bertinotti assicura che non si contrapporrà al programma di risanamento finanziario e al rilancio della concertazione, limitandosi a differenziazioni di accenti, di valori, di bandiere. Se questa dichiarata rinuncia alla contrapposizione avviene al piede di partenza della competizione è possibile immaginare il livello di subalterneità del Prc nel quadro operante di un governo dell’Unione.
L’inganno verso il partito e il popolo di sinistra risponde tuttavia, a suo modo, ad una razionalità profonda: alla razionalità della divisione dei ruoli nella coalizione di centrosinistra. Una coalizione di centrosinistra, quali che siano le sue infinite forme e variabili interne, prevede inevitabilmente una collaborazione di governo tra un centro - rappresentanza dei poteri forti e degli interessi dominanti- e una sinistra, quale rappresentanza a diverso livello, dei lavoratori e delle masse subalterne. Il centro, che detiene normalmente la guida del governo e il controllo dei ministeri fondamentali, chiede alla sinistra di coprirgli il fianco verso i lavoratori. E la sinistra porta in dote al centro il proprio controllo (maggiore o minore) dei lavoratori e dei movimenti. L’Unione di governo tra Ulivo e Prc risponde esattamente a questa logica tradizionale. Le primarie sono semplicemente la rappresentazione scenica di questo scambio, a vantaggio degli attori protagonisti: Prodi le usa per consolidare oggi il proprio potere sulla coalizione, e domani la propria forza d’urto contro i lavoratori; Bertinotti le usa per scalare la vetta della sinistra italiana quale forza di collaborazione col centro liberale e di futura concertazione politica dei suoi programmi.
IL NOSTRO INTERVENTO CONTRO LE PRIMARIE
Abbiamo la necessità di spiegare l’inganno del centrosinistra e la sua “razionalità”. Nel partito, ma anche, nelle forme possibili, a livello di massa, nei movimenti, nelle organizzazioni sindacali. Denunciare e documentare il programma che Romano Prodi, le grandi imprese, le grandi banche, stanno preparando contro i lavoratori italiani: questo dev’essere il terreno centrale del nostro affondo oggi. Oltre a ripetere che i comunisti non possono collaborare con la borghesia o partecipare a un governo borghese -ciò che è la base di principio di tutto il nostro lavoro e il terreno di demarcazione da ogni altra tendenza- abbiamo oggi la necessità e opportunità di argomentare la nostra politica di indipendenza di classe in uno scenario nuovo e in una più agevole proiezione di massa. Non siamo più al Congresso del Prc quando contorni e profilo dell’Unione erano ancora relativamente indeterminati nei contenuti, almeno nella percezione diffusa. Qui siamo di fronte all’annuncio di un programma antioperaio di sacrifici dettato dall’emergenza della crisi, e a un patto di legislatura che lo garantisce attraverso una blindatura presidenzialista di Prodi. Il nostro punto d’attacco dev’essere: no al nuovo programma dei sacrifici: “I lavoratori hanno lottato contro Berlusconi per porre fine ai sacrifici, non per continuare a subirli sotto un altro governo. I fatti dimostrano, in termini ormai inequivocabili, che l’annunciato governo Prodi ha il marchio indelebile di Montezemolo e di Confindustria. Solo rompendo con Prodi e i poteri che lo sostengono è possibile costruire, nelle lotte, un’altra prospettiva. Un’intera stagione di lotte contro Berlusconi non può essere tradita”.
Qui va posizionato il nostro attacco a Bertinotti e alle sue scelte. Non si tratta di avvitarci in una semplice denuncia, pur necessaria, dell’istituto delle primarie (come fanno l'Ernesto ed Erre). Né si tratta di farci stringere nell’angolo e sulla difensiva dal gruppo dirigente del Prc attorno al “cosa fate l’8 e 9 ottobre” in rapporto alla disciplina di partito, indugiando noi stessi su questo tema secondario. Si tratta invece di concentrare il nostro attacco alla sostanza di classe delle primarie, nella forma più utile per il nostro progetto. “Mentre Prodi annuncia un programma di sacrifici e chiede l’investitura delle primarie per poterlo realizzare, Bertinotti usa le primarie per rafforzare la collaborazione con Prodi senza contrapporsi al suo programma, ed anzi assicurandogli una “lealtà” di legislatura!” In questo quadro possiamo persino utilizzare lo stesso scenario preparatorio della finta competizione Prodi-Bertinotti, per una campagna d’attacco contro Romano Prodi. Bertinotti usa la “competizione” con Prodi per allearsi ad esso? Noi possiamo “usare” gli spazi indiretti che quella finzione ci offre per rivendicare a livello di massa la rottura con Prodi: quindi di fatto contro la politica di Bertinotti. Senza prendere parte ai comitati per Bertinotti, possiamo intervenire in piena autonomia in ogni assemblea popolare preparatoria realmente significativa per dire la nostra: denunciando i programmi di Prodi, spiegando la loro inconciliabilità con le ragioni dei lavoratori, avanzando una nostra proposta di classe alternativa e l’esigenza di un polo di classe indipendente. In conclusione: abbiamo interesse non ad una sfida passiva alla “disciplina del partito”, ma ad una politica attiva contro la collaborazione di classe.
UN’APERTA CRITICA A L'ERNESTO ED ERRE
Parallelamente va sviluppata l’aperta sfida alle mozioni “critiche” interne al partito (Ernesto ed Erre). “Avete fatto un congresso differenziandovi dalle nostre cosidette “pregiudiziali ideologiche” verso il centrosinistra rivendicando la priorità dei contenuti. Ora i contenuti che si stanno delineando, nero su bianco, sono, com’era prevedibile, inequivocabilmente antioperai e reazionari. Come potete continuare a riproporre un negoziato sui contenuti, quando i contenuti programmatici già esibiti da Prodi fanno piazza pulita, persino formalmente, di tutti i vostri paletti e condizioni? Come potete pensare che una “pressione dei movimenti” possa mutare questo quadro quando questo è costruito esattamente contro i movimenti e per la loro sconfitta? Come potete continuare a ipotizzare un sostegno esterno e il voto di fiducia a un governo dei sacrifici e dell’emergenza finanziaria? Ancora una volta si conferma l’attualità della nostra proposta: costruire una prospettiva alternativa per il Prc e i comunisti, basata sul carattere irrinunciabile dell’opposizione di classe al governo antioperaio di centrosinistra”. Naturalmente questo approccio ha come finalità non quella di modificare il Dna politico-culturale inossidabile di Claudio Grassi e di Salvatore Cannavò: ma di aprire un varco presso i settori migliori della loro base di riferimento, là dove si moltiplicano in forme diverse, segnali di disorientamento e di attenzione nei nostri confronti.
PER LA DEMOCRAZIA DEI LAVORATORI
Più in generale, è essenziale dare alla nostra proposta politica alternativa un carattere di massa, semplice e leggibile. Non si tratta semplicemente di rilanciare l’appello sfida rivolto a tutta la sinistra per la rottura col centro liberale e la configurazione di un polo autonomo di classe. Questo naturalmente è e resta l’asso centrale della nostra proposta di massa. Ma di fronte all’avvicinarsi delle primarie e all’annuncio di una finta Assemblea “democratica” a dicembre per il varo del programma, la nostra proposta può assumere, pur in termini inevitabilmente propagandistici, un’articolazione più concreta: che raccolga la domanda reale di protagonismo democratico di settori di massa del popolo della sinistra, contrapponendola alle mistificazioni dell’Unione.
“Nessun patto blindato con Prodi attorno a un programma di sacrifici può essere imposto ai movimenti, magari attraverso il trucco delle primarie o attraverso il filtro di Assemblee selezionate, dominate dagli apparati liberali, dai funzionari di partito, dai parlamentari e assessori di centrosinistra. Siano i lavoratori e il popolo della sinistra a decidere, in autonomia, del proprio programma e della propria prospettiva. Chiediamo a tutte le forze della sinistra e a tutte le organizzazioni e rappresentanze di movimento di promuovere dal basso una libera verifica democratica attraverso Assemblee di lavoratori e di movimento, da tenersi in ogni realtà, aperte a tutti i protagonisti della stagione di lotte di questi anni: sino ad una grande Assemblea nazionale, democratica e di massa, di libero confronto e decisione. Saranno i delegati liberamente eletti ai diversi livelli, dalle istanze di base, a decidere. Entro quel vero confronto di massa i comunisti proporranno il rifiuto del programma di Prodi, la rottura col centro liberale, lo sviluppo di un’alternativa anticapitalista, a partire dal rilancio di una mobilitazione unitaria e indipendente”.
Naturalmente sappiamo bene che questa proposta non ha alcuna possibilità di essere accolta. Ma non è questo il suo fine. Il suo fine è dimostrare che le direzioni della sinistra italiana vogliono sottrarre il proprio blocco presidenzialista con Romano Prodi ad ogni verifica democratica reale. E che solo i comunisti rivoluzionari, proprio nel nome dell’autonomia di classe, chiedono la vera democrazia dei lavoratori.
LA SEMINA PER LA RIFONDAZIONE COMUNISTA
Questa impostazione politica è utile semina per il futuro. Il problema non è per noi di attendere passivamente l'approfondirsi della deriva governista del Prc. Ma di sviluppare una politica attiva che incalzi giorno dopo giorno, nel partito e fuori del partito, tutte le contraddizioni politiche e di classe dell’operazione di centrosinistra. Più efficace sarà la semina della nostra politica, più forte sarà la prospettiva di un’autentica rifondazione comunista.
Marco Ferrando
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