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Per una nuova prospettiva politica dei comunisti

(4 Maggio 2006)

Col C.P.N. del PRC del 22-23 aprile si è aperta una fase politica nuova per la battaglia dei comunisti. I risultati del C.P.N. sono in breve i seguenti:

1) La maggioranza dirigente del partito ha non solo confermato la scelta di ingresso del PRC nel futuro governo Prodi, combinata cono l’assegnazione a Bertinotti della presidenza della Camera, ma l’ha definitivamente razionalizzata nei termini più scoperti. Il governo dell’Unione viene caratterizzato come governo di alternanza e la funzione del PRC diventa esplicitamente quella di “presidiare l’alternanza”. E’ l’ammissione esplicita della subordinazione strategica del PRC a un governo del grande capitale, con la rinuncia di fatto, persino formale, alla tematica dell’ “alternativa”. Dunque un’intera stagione di movimenti è stata usata ai fini di una ricollocazione di governo a braccetto con gli avversari sociali e politici dei movimenti stessi.

2) La maggioranza dirigente del partito ha parallelamente impresso una forte accelerazione alla costituzione della sezione italiana della sinistra europea anticipando a giugno l’apertura della relativa “costituente”. E’ una scelta direttamente correlata all’ingresso nel governo e alla trasformazione del PRC in ala sinistra del Centrosinistra. A fronte della costituente del partito democratico, che sancisce il definitivo approdo liberaldemocratico D.S., Bertinotti si candida a rifondare una socialdemocrazia italiana offrendola come punto di approdo a un pezzo di ceto politico di sinistra D.S. in crisi di prospettiva. E’ un disegno che liquida definitivamente la rifondazione comunista in un nuovo soggetto “socialdemocratico-progressista” che si candida ad offrire alla borghesia liberale il proprio ruolo di ammortizzatore delle lotte e dei movimenti.

3) L’ingresso nel governo, il programma dell’Unione, l’accelerazione della costituente del “nuovo soggetto” sono stati sottratti ad una verifica democratica decisionale dei militanti e degli iscritti. L’argomento secondo cui il VI Congresso “dava il mandato”, è improprio. Nel Congresso Bertinotti legò (formalmente) la prospettiva di governo alla promessa di “un programma di svolta” scritto dai movimenti e sottoposto alla loro verifica (primarie di programma). Viceversa siamo di fronte a un programma dell’Unione che rivendica l’ “alleanza leale con gli USA”, la non abrogazione della legge 30, il rispetto rigoroso dei parametri di Maastricht, senza che né i movimenti né il corpo del partito abbiano avuto la possibilità di discuterlo e giudicarlo. L’evocazione della cosidetta “democrazia partecipativa” (come leva e garanzia di un programma di svolta) si è rivelata una truffa. Nei fatti, la maggioranza dirigente del partito ha difeso la propria intesa col Centro liberale e i poteri forti da ogni possibile ingerenza turbativa dal basso, fosse pure simbolica e distorta.

4) I gruppi dirigenti di Ernesto e Sinistra critica hanno rispettivamente rimosso o attenuato l' opposizione al Segretario proprio nel momento della massima accelerazione ed esplicitazione della deriva politica del PRC. Claudio Grassi e il gruppo dirigente dell’Ernesto hanno apertamente sostenuto l’ingresso del PRC nel governo e l’incarico a Bertinotti della Presidenza della Camera. Salvatore Cannavò e il gruppo dirigente di Sinistra critica pur affermando sommessamente la propria scarsa convinzione circa la scelta governativa, hanno dismesso ogni opposizione all’ingresso dei ministri, hanno sostenuto Bertinotti presidente, si sono attestati sulla richiesta di un governo dell’Unione che compia “scelte di radicalità e di svolta”. Una richiesta obiettivamente grottesca se rivolta a un governo del grande capitale che già annuncia il risanamento finanziario. Significativamente sia Ernesto che Sinistra critica hanno ricevuto il plauso del Segretario, quanto mai interessato a incassare una copertura a sinistra nel momento della massima accelerazione a destra. E altrettanto significativamente sia Ernesto che Sinistra critica hanno respinto, al fianco del Segretario, l’elementare proposta di una verifica democratica tra i militanti e gli iscritti sul programma dell’Unione, un programma che pure in passato avevano “criticato”. Nei fatti i gruppi dirigenti nazionali di Ernesto e Sinistra critica si adattano al quadro di governo dell’Unione: in parte su pressione del proprio nuovo ruolo istituzionale, in parte in attesa di contropartite nei gruppi dirigenti del partito.

In questo quadro generale è inevitabile e necessario che tutti i militanti comunisti del partito, a partire dai compagni che si sono battuti nel VI Congresso contro la maggioranza dirigente del PRC (il 41%), aprano tra loro una riflessione libera e un confronto sul futuro della propria azione e prospettiva. Questa riflessione e confronto debbono essere aperti, svincolati da vecchi recinti di componente e di mozione. E al tempo stesso debbono assumere come punto centrale di riferimento non l’angolo angusto di calcoli tattici contingenti, ma la prospettiva generale della Rifondazione comunista e della costruzione del suo partito nel nuovo contesto politico e sociale che si delinea. Per poi definire a partire da qui le scelte comuni e le loro articolazioni, anche locali.
La nostra ferma convinzione al riguardo, anticipata dalla nostra dichiarazione comune in C.P.N., è che l’ingresso del PRC al governo, nel contesto dato, richieda l’avvio della rifondazione di un’opposizione di classe e comunista in Italia: e dunque l’avvio del movimento costitutivo di un nuovo soggetto politico comunista e rivoluzionario. Un movimento che non si riduca ad una fuoriuscita dal PRC, in una logica di pura scissione passiva, ma sappia invece coinvolgere militanti di diversa provenienza, nella costruzione attiva di una nuova comune prospettiva politica. In altri termini alla costituente della nuova sinistra socialdemocratica italiana (sezione italiana della sinistra europea) dovrà contrapporsi il processo costitutivo di una nuova presenza comunista, basata su un quadro programmatico marxista e su una collocazione di opposizione al governo.

Questa nostra proposta non nasce dall’impazienza o dalla reazione liberatoria alle fatiche della battaglia interna al PRC. Nasce invece da un’analisi razionale del nuovo contesto sociale e politico che si apre, dall’esaurimento obiettivo dell’esperienza del PRC, dalla necessità di una risposta nuova.

LA NATURA CONFINDUSTRIALE DEL SECONDO GOVERNO PRODI

Il contesto politico e sociale che si delinea è segnato dall’avvento annunciato del governo dell’Unione, su uno sfondo di pesante crisi di competitività del capitalismo italiano e di dissesto aggravato del bilancio pubblico. Il quadro di governo dopo il voto del 9-10 aprile, è certo segnato da elementi di fragilità, dagli imprevedibili effetti di prospettiva. Ma le forze dominanti della coalizione cercheranno di sormontare la fragilità degli equilibri parlamentari con il ricorso al più largo sostegno di tutti i poteri forti della società italiana (la grande industria esportatrice, le grandi banche, la grande stampa, la magistratura, l’alta burocrazia statale) entro una politica di nuova concertazione con l’insieme delle burocrazie sindacali e delle sinistre politiche della coalizione (in primis il PRC). Questa concertazione ruoterà attorno ad un preciso programma: il risanamento finanziario del debito pubblico e una nuova elargizione di risorse pubbliche alle imprese (10 miliardi di riduzione del cuneo fiscale e nuove detassazioni del capitale), sullo sfondo di una perdurante crisi di stagnazione e di una accentuata difficoltà nell’uso della leva fiscale sulle rendite (a causa della tenuta minacciosa del blocco sociale delle destre). La risultante obbligata di questo programma, nel contesto dato, sarà una nuova inevitabile stagione di sacrifici. La concertazione sociale e politica serve esattamente per ottenere i sacrifici nella pace sociale. La prima concretizzazione di questa politica si avrà col varo annunciato di una nuova manovra economica bis e con l’imminente definizione del DPEF, sotto la pressione quotidiana e incalzante del capitale finanziario nazionale e internazionale. La seconda concretizzazione si avrà a settembre quando CGIL-CISL-UIL saranno convocate a un tavolo comune con Confindustria per concertare un accordo complessivo: comprensivo di stretta finanziaria, politiche del lavoro (flessibilità), nuove regole di contrattazione (indebolimento del contratto nazionale). Nel frattempo, saranno rilanciate liberalizzazioni e privatizzazioni, e sbloccata la grande truffa del sequestro del TFR a beneficio del grande capitale. In altri termini, a poche settimane dalla sua formale costituzione, inizierà a manifestarsi il profilo antipopolare del governo. Parallelamente si imporranno le prime scelte annunciate in fatto di politica estera: a partire dal rifinanziamento delle missioni militari (entro giugno), dalla concertazione delle scelte del G8 (giugno), dal sostegno alle scelte della U.E. su Palestina e Iran. Sulla stessa questione Irak, il piano di ritiro delle truppe, da concordarsi con il governo collaborazionista irakeno, si preannuncia tutt’altro che lineare. E già emerge l’orientamento di sostituire le attuali forze di occupazione con nuovi contingenti di carabinieri (proposta Fassino) naturalmente “di pace”. Dunque anche sul terreno della politica estera, terreno di grande impatto emotivo e simbolico, l’orientamento neoatlantista del secondo governo Prodi non tarderà ad emergere.

L’ORGANICITA’ DEL PRC AL GOVERNO DELL’UNIONE

Il PRC di governo sarà non solo subalterno ma complice, da subito, di questa politica, in misura ancor più diretta delle altre formazioni della sinistra (sinistra DS, PdCI, Verdi). Infatti il PRC non è un qualunque soggetto costituente dell’Unione ma la sponda decisiva di Romano Prodi nella sua scalata dell’Unione. Così è stato nella scelta delle primarie. Così è stato nell’assegnazione a Bertinotti della presidenza della Camera. Di converso Romano Prodi è più che mai oggi la sponda d’appoggio di Bertinotti e del suo nuovo corso politico. Il “presidio dell’alternanza” che Bertinotti ha teorizzato è in realtà il presidio di Prodi come garante del ruolo di governo del PRC: perché la difesa di Prodi coincide strategicamente con la difesa della propria rendita di posizione governativa e istituzionale. Ma ciò comporta una precisa conseguenza: una particolare e diretta sudditanza alle politiche del capo del governo. Un capo del governo cui peraltro proprio Bertinotti ha fornito l’incoronazione popolare (primarie) e a cui attribuisce, più che ogni altro partito dell’Unione, un ruolo in qualche modo “presidenzialista,” svincolato dagli equilibri dell’Unione.
Al tempo stesso, a differenza che nel 96-98 questo asse con Romano Prodi, se da un lato ha carattere più organico, dall’altro, proprio per questo, è contrattualmente più debole. In primo luogo il PRC non può ripetere la rottura del 98, pena l’autodistruzione di tutta la propria conquistata credibilità governativa. Può essere scaricato dal governo, non può rompere col governo. E questo amputa in partenza il potere “negoziale” del partito. In secondo luogo proprio la fragilità degli equilibri parlamentari espone il PRC di governo al ricatto quotidiano di tutto il centro dell’Unione, abbattendo ogni spazio di manovra e di reale differenziazione. Peraltro il rapido dietrofront sulla TAV a Torino, la disponibilità al “compromesso” sulla legge 30, l’annuncio del voto positivo al rifinanziamento della missione in Afghanistan, sono le prime clamorose traduzioni della subordinazione disciplinata alla borghesia. E al tempo stesso una pronta rassicurazione politica alle classi dirigenti del paese circa la raggiunta maturità della cultura di governo del partito. In buona sostanza tutto il corso politico governativo del PRC sarà dettato dalla volontà di consolidare quell’attestato di benemerenza e riconoscimento politico che la grande stampa borghese (a partire dal Corriere) ha riservato a Bertinotti e alla sua svolta, cercando così di sventare, grazie a un certificato di buona condotta, una possibile tentazione futura di scaricare il PRC a vantaggio di un’ “unità nazionale” . Proprio la minaccia dell’unità nazionale, indipendentemente dalla sua concretizzazione, sarà il sigillo della subordinazione del PRC alla borghesia e a Prodi.

LA COSTITUENTE DELLA “SINISTRA EUROPEA” E LA MUTAZIONE DEL PARTITO

Parallelamente, il forte legame tra l’ancoraggio di governo e la costituente della sinistra europea sospingerà una profonda mutazione interna del partito. Già oggi, a due anni dalla svolta e in connessione col forte ampliamento della propria collocazione governativa a livello locale, il PRC ha conosciuto una mutazione rilevante del proprio regime interno, complessivamente inteso: desertificazione dei circoli, moltiplicazione dei comitati elettorali e di logiche di clan, peso crescente degli assessori e apparati istituzionali nella costituzione materiale del partito, caduta dei livelli di iniziativa e capacità di mobilitazione, estensione dell’emorragia silenziosa di compagni. L’approdo al governo nazionale e la costituente della sinistra europea – nel loro combinato disposto – segneranno una nuova accelerazione di tutte queste tendenze. La nuova sezione italiana della sinistra europea, in particolare, in quanto luogo di una rifondazione socialdemocratica di governo, attrarrà a sé un personale politico di sinistra DS alla ricerca di una propria ricollocazione diretta nei piani alti del partito. Inoltre l’ingresso del PRC nel nuovo soggetto politico “progressista” tenderà inevitabilmente a spostare sempre più all’esterno del partito i luoghi del confronto e della decisione, combinandosi con la più profonda organicità del PRC alle Unioni locali di centrosinistra e alle relative mediazioni politico-amministrative. Le strutture di base del partito e i suoi stessi organismi dirigenti elettivi saranno dunque svuotati sempre più di ogni funzione reale, se non quella di raccogliere e gestire (o commentare) decisioni prese in altre sedi: ciò che favorirà nuovi fenomeni di estraniazione e passivizzazione di settori attivi e militanti. In conclusione, la risultante d’insieme di questi processi combinati sarà l’ulteriore profonda marginalizzazione degli spazi oggettivi della battaglia interna al partito.

NON CI SI PUO’ RASSEGNARE ALLA TESTIMONIANZA

Se questa analisi è sostanzialmente fondata ne conseguono conclusioni politiche inevitabili per i comunisti. I comunisti del PRC, ovunque collocati, non possono rassegnarsi a un ruolo di testimonianza senza prospettive, magari in nome di una autoconservazione di nicchia e di “mozione”. Debbono invece rispondere in modo coerente a necessità politiche obiettive tra loro combinate e inseparabili.

a) Come conservare e rilanciare un’opposizione comunista alla borghesia italiana e al suo governo, a partire da una battaglia nella classe operaia e in tutti i movimenti di lotta per la loro piena indipendenza politica dell’Unione.
b) Quale prospettiva di riferimento offrire a migliaia di militanti comunisti, obiettivamente incompatibili con un soggetto politico dichiaratamente non comunista, e da questo in ogni caso marginalizzati e condannati ad un abbandono silenzioso.
c) Come rilanciare una prospettiva di autentica rifondazione comunista che prenda atto dell’esaurimento dell’esperienza del PRC, tragga le lezioni del suo fallimento e sappia dunque intraprendere un processo di riaggregazione delle forze su nuove basi politiche e programmatiche: l'autonomia dei comunisti da tutti i governi borghesi; l' impostazione anticapitalista del programma basato su un sistema di obbiettivi transitori; la conquista del potere dei lavoratori come obiettivo strategico; la necessità di fronte al carattere mondiale dell'economia e della lotta tra le classi di un’organizzazione rivoluzionaria internazionale dei comunisti.
d) Come favorire nella rifondazione di una nuova forza, coerentemente comunista, il più largo concorso di compagni e compagne di diversa provenienza e collocazione, anche considerando tempi diversi di maturazione delle rispettive convinzioni e disponibilità.

La nostra proposta di un movimento costitutivo di un nuovo partito, comunista e rivoluzionario, dal momento dell’approdo governativo del PRC, vuole rispondere all’insieme di queste esigenze e preoccupazioni.

L’ATTUALITA’ DEL RILANCIO DELL’OPPOSIZIONE DI CLASSE

L’ingresso del PRC nel governo e la sua corresponsabilizzazione alle politiche dei sacrifici apre una fase nuova nella sinistra italiana. Apre un vuoto obiettivo di rappresentanza sociale e politica di settori d’avanguardia che in passato avevano gravitato, talvolta criticamente, attorno al PRC, ma che nella nuova situazione vedranno il loro vecchio partito di riferimento dall’altra parte della barricata. La cooptazione del PRC al governo da parte del Centro dell’Unione ha del resto questa cosciente finalità: privare di un riferimento politico, di un canale d’espressione, le inevitabili reazioni sociali e di lotta che il programma dell’Unione susciterà. E dunque favorire per questa via la pacificazione e normalizzazione sociale. I comunisti hanno allora il dovere di reagire a tale disegno. Ricostruire una forza politica di opposizione a sinistra è in questo senso una necessità obiettiva ed urgente: non “per i comunisti” ma per l’avanguardia sociale e politica di questo paese, a partire dai lavoratori e dai movimenti di lotta degli ultimi anni. I lavoratori metalmeccanici che in numerose grandi fabbriche hanno detto di no a un contratto umiliante; i popoli anti TAV; le forze impegnate da anni per il ritiro incondizionato e immediato da tutti i teatri di guerra (dall’Irak all’Afghanistan); le forze impegnate in prima fila nel sostegno alla resistenza dei popoli oppressi dall’imperialismo (a partire dal popolo palestinese ed irakeno) si troveranno rapidamente in contraddizione con le politiche e la natura del governo Prodi e col suo disegno di grande concertazione. Successivamente, più vasti settori di massa (oggi paghi della caduta di Berlusconi, ma molto meno fiduciosi verso il Centrosinistra di quanto non fossero nel 96) potranno maturare un distacco dal governo proporzionale all’esperienza della sua politica. Si tratta allora di lavorare a costruire un riferimento politico di opposizione che si candidi a rappresentanza coerente delle forze d’avanguardia più combattive, nella prospettiva dell’incontro con la maturazione politica di settori più vasti. E ciò non solo sul piano elettorale, ma sul terreno prioritario dell’unificazione delle lotte, della proposizione di piattaforme e sbocchi, dell’impegno sul terreno dell’autorganizzazione. Vi è dunque esigenza di una forza politica non semplicemente "identitaria" ma socialmente radicata e capace di lottare nei movimenti per la loro indipendenza di classe e per un’egemonia alternativa: contro quelle forze, PRC incluso, che lavoreranno per la subordinazione dei movimenti al governo della concertazione.
Una forza che proponga all'insieme della sinistra politica, sociale e di movimento la rottura con la borghesia e con le sue rappresentanze politiche, con la costruzione di un polo autonomo di classe sulla base di un programma anticapitalistico.

LA NECESSITA’ DI UN PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI, PER L’ALTERNATIVA DEI LAVORATORI

Al contempo, come comunisti, non possiamo limitarci ad un’azione immediata di movimento, in una logica puramente antagonistica. Proprio l’esperienza del PRC ci dice che un generico antagonismo senza progetto anticapitalistico, può diventare un terreno di manovre e operazioni strumentali contrarie alle ragioni dei movimenti stessi.
E’ invece vitale un’azione politica tesa a ricondurre ogni rivendicazione immediata, ogni conflitto sociale e politico, ad un progetto anticapitalistico complessivo: sviluppando la consapevolezza che tanto più in un quadro di crisi sociale del riformismo solo un programma anticapitalistico può dare una prospettiva reale alle rivendicazioni immediate, e solo un’azione radicale anticapitalista a livello di massa può strappare risultati parziali; mentre ogni corresponsabilizzazione di governo, ogni subordinazione alla concertazione, regala risultati solo agli avversari dei lavoratori e dei movimenti. Da qui la necessità di un Partito Comunista, di una forza organizzata fondata su un progetto strategico di alternativa socialista, su scala nazionale e internazionale. Di una forza che viva e operi in ogni lotta, in relazione a un fine rivoluzionario, alla conquista del potere politico da parte dei lavoratori e delle lavoratrici: un potere basato sull’autorganizzazione democratica delle masse, sulla revocabilità permanente degli eletti, sull’assenza di ogni privilegio sociale degli eletti rispetto ai loro elettori. E’ il programma della rivoluzione russa che oggi rivive come concreta potenzialità in ogni autentica sollevazione sociale: nelle assemblee dei lavoratori occupati e disoccupati e in quelle popolari della sollevazione argentina; nei comitati popolari della rivoluzione boliviana e persino, embrionalmente, nelle forme di autorganizzazione della rivolta giovanile in Francia. Ma è un programma che per realizzarsi ha bisogno di un partito. Operare in ogni lotta su scala nazionale e internazionale in relazione a questo programma è la prima ragione d’essere di un partito comunista. La rimozione all’origine di questa prospettiva da parte del gruppo dirigente del PRC, nel nome di vecchie eredità riformistiche, è stata alla base della deriva governativa del PRC. Perché solo un programma di alternativa di potere può fondare l’opposizione strategica ai governi della borghesia. Mentre la rimozione di quel programma spiana la strada all’adattamento alla società esistente e dunque ai suoi governi.

PER UN PROCESSO APERTO DI RAGGRUPPAMENTO

La costruzione di un Partito Comunista dei lavoratori non può essere frutto di una autoproclamazione, di un’improvvisazione settaria. Né può ridursi alla fuoriuscita dal PRC. Richiede invece un processo aperto di raggruppamento rivolto a tutti/e i/le compagni/e disponibili oggi presenti alla base del PRC, al di là di ogni vecchio steccato di componente e di mozione; ai tanti compagni/e che hanno a più riprese abbandonato il PRC negli anni passati e che possono essere recuperati ad un’impegno organizzato e motivato; a tanti compagni/e, attivisti sindacali e di movimento, che non hanno mai militato nel PRC, spesso per dissenso verso le scelte del suo gruppo dirigente, e che possono trovare nel nuovo soggetto una ragione di identificazione politica; più in generale a tanti militanti e simpatizzanti del popolo della sinistra, ciclicamente traditi e delusi dai propri gruppi dirigenti, alla ricerca da tempo di una sinistra finalmente vera, indisponibile a vendersi, coerente con un programma anticapitalista. Proprio questo carattere inevitabilmente composito di una prospettiva seria di riaggregazione delle forze, dentro il vuoto di opposizione che si prefigura a sinistra, pone tre necessità tra loro correlate. In primo luogo – come s’è detto - la necessità di una comune base politica e programmatica di principio, sul terreno del marxismo rivoluzionario: senza la quale una pura sommatoria di “comunisti” si ridurrebbe ad una operazione ideologico-identitaria priva di qualsiasi prospettiva o destinata a ripercorrere i sentieri fallimentari di tante esperienze. In secondo luogo un carattere organizzato del processo: ciò che significa sedi, strutture, luoghi di ricomposizione delle forze e al tempo stesso strumenti di radicamento sociale e territoriale. In terzo luogo un carattere di movimento: ciò che significa non una chiusura organizzativa, ma un processo inclusivo di compagni/e , diversi/e per collocazione e persino per i tempi di maturazione di scelte e convincimenti definitivi.

RIFONDAZIONE SOCIALDEMOCRATICA O RIFONDAZIONE COMUNISTA?

L’attualità della rifondazione di un partito comunista in Italia è peraltro evidenziata dal riassetto complessivo delle rappresentanze politiche della sinistra italiana. Ed in particolare dalla costituente della sezione italiana della sinistra europea.
Il governo dell’Unione è forza propulsiva di processi diversi, ma convergenti. Da un lato la maggioranza dirigente dei Democratici di Sinistra, che ha rotto da tempo con la socialdemocrazia, vede la possibilità di concludere la propria mutazione liberale in un abbraccio unitario con la Margherita: dentro la costituente di un partito democratico che si candida ad architrave dell’Unione quale rappresentanza della grande industria e del capitale finanziario. Dall’altro lato Fausto Bertinotti e la maggioranza dirigente del PRC si candidano ad occupare lo spazio vacante di una socialdemocrazia governativa, liberato dalla mutazione dei DS e dalla prospettiva del partito democratico: dentro un approdo governativo che, in questa epoca di crisi, nega alla politica socialdemocratica ogni spazio “riformatore” e “progressivo” e quindi l’espone ad una contraddizione di fondo con le aspirazioni (e illusioni) che questo progetto raccoglie. Proprio l’organicità di questi processi e la loro contrapposizione agli interessi dei lavoratori e a qualsiasi progetto di trasformazione sociale motiva una volta di più la necessità e lo spazio della rifondazione di un partito comunista dei lavoratori e per i lavoratori, che unisca la difesa della ragione indipendente del mondo del lavoro ad un progetto anticapitalista e di liberazione. Al tempo stesso il carattere internazionale della rifondazione di una sinistra neo-socialdemocratica (sinistra europea) segnata dal tratto comune del governismo sollecita una volta di più la necessità e attualità del carattere internazionale di un progetto alternativo di rifondazione comunista. Di un progetto capace di aggregare e organizzare sui comuni principi rivoluzionari l’avanguardia di classe internazionale non solo in Europa ma in tutti i continenti. Proprio per questo prevediamo l’apertura del processo costitutivo di un Partito Comunista dei lavoratori in un’Assemblea (meeting) nazionale di presentazione, pubblica e pubblicizzata, a metà giugno a Roma, in parallelo all’annunciato varo costituente della Sinistra europea: in modo da evidenziare pubblicamente, nel modo migliore, il carattere alternativo dei due processi e lo spartiacque che li divide. Da un lato la rifondazione socialdemocratica di governo, dall’altro il rilancio della rifondazione comunista dall’opposizione.

UN’IMPRESA DIFFICILE, MA NECESSARIA E POSSIBILE

Siamo consapevoli della difficoltà dell’impresa. Del resto i comunisti, per definizione, si cimentano sempre con imprese difficili. Ma crediamo non vi sia alternativa a questa prospettiva generale se non la rassegnazione alla liquidazione dell’opposizione e della rifondazione comunista, oltreché alla dispersione e al ritorno a casa delle migliori energie militanti del PRC.
Peraltro l’impresa che proponiamo, per quanto difficile, è razionalmente possibile. Non possiamo prevedere oggi le dimensioni quantitative del suo approdo. Ma lo spazio sociale e politico di costruzione e radicamento di una forza comunista di opposizione è inscritto nella materialità dello scontro di classe. Ed è uno spazio ragguardevole. Molto dipenderà dalla capacità di tutti i sinceri comunisti del PRC di saper affrontare il mare aperto, di sapersi assumere le proprie responsabilità verso i lavoratori italiani e la loro avanguardia, fuori da ogni spirito di routine e da ogni logica di pura autoconservazione di componente.
In ogni caso, in numerosi paesi, la crisi della socialdemocrazia e dello stalinismo ha ampliato lo spazio di costruzione di forze comuniste e rivoluzionarie, e la loro incidenza nella lotta di classe. E spesso organizzazioni di poche migliaia di militanti e di quadri, come il Partito Obrero argentino (o come, su altre basi, forze dell’estrema sinistra francese), hanno conquistato un peso significativo e una capacità di direzione nelle lottedi massa. E’ il segno di nuove potenzialità nella costruzione di partiti comunisti rivoluzionari entro le attuali condizioni storiche.
La ricollocazione di governo del PRC, entro la crisi del riformismo, libererà anche in Italia uno spazio nuovo a sinistra. Prepararsi ad occuparlo è il compito decisivo dei comunisti, nell’interesse dei lavoratori e di una prospettiva socialista.

Progetto Comunista – Sinistra del PRC

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