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il pane e le rose

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Piattaforma politica della Tendenza Comunista Internazionalista

(29 Febbraio 2020)

spartakus

Chi siamo
La Tendenza Comunista Internazionalista nasce nel 1983 come Bureau Internazionale per il Partito Rivoluzionario, ma le sue radici affondano molto più lontano. Noi ci vediamo come un prodotto della lotta rivoluzionaria della classe lavoratrice che ha attraversato la storia il capitalismo. Perciò attingiamo non solo alle lezioni apprese da Marx ed Engels nel periodo della Prima Internazionale e della Comune, ma anche dagli elementi rivoluzionari presenti nella Socialdemocrazia prima della Prima Guerra Mondiale. Dopo la guerra, i nostri diretti antenati politici fondarono il Partito Comunista d’Italia ma, a seguito del processo di “Bolscevizzazione” degli anni ‘20, videro l’Internazionale Comunista (Comintern), ormai in corso di degenerazione, strappare loro la direzione del partito. La Sinistra Comunista tentò di reagire con il Comitato di Intesa (1925) e, in seguito, organizzandosi tanto nelle galere del fascismo quanto nelle fabbriche di Francia e Belgio. Furono questi compagni che, in Italia, nel 1943, fondarono il Partito Comunista Internazionalista, unico partito di allora a collocarsi inequivocabilmente in opposizione a entrambi i fronti imperialisti della Seconda Guerra Mondiale. Ed è proprio sulla sua piattaforma del 1952 che si basa l’approccio politico della Tendenza Comunista Internazionalista.

La nostra tendenza ha iniziato a esistere nel 1983 come risultato di un'iniziativa congiunta del Partito Comunista Internazionalista (PCInt) in Italia e della Communist Workers Organisation (CWO) in Gran Bretagna. Esistevano due ragioni fondamentali per tale iniziativa. La prima fu di dare forma organizzativa a una tendenza già esistente all'interno del campo politico proletario. Questa era emersa dalle Conferenze Internazionali convocate da Battaglia Comunista (PCInt) fra il 1977 e il 1981. Le basi di adesione all'ultima di tali conferenze furono i sette punti per i quali la CWO e il PCInt votarono alla Terza Conferenza:

- Accettazione della Rivoluzione d'Ottobre come proletaria.
- Riconoscimento della rottura con la socialdemocrazia operata dal Primo e Secondo Congresso dell'Internazionale Comunista.
- Rifiuto senza riserve del capitalismo di stato e dell'autogestione.
- Riconoscimento dei partiti socialisti e comunisti come borghesi.
- Rigetto di ogni linea politica che assoggetti il proletariato alla borghesia nazionale.
- Orientamento verso l’organizzazione dei rivoluzionari sulla base del metodo marxista.
- Accettazione del principio secondo cui le riunioni internazionali sono un aspetto del lavoro di discussione fra i gruppi rivoluzionari per coordinare il loro intervento politico attivo verso la classe, nelle sue lotte, con l'obiettivo di contribuire concretamente al processo che condurrà al Partito Internazionale del Proletariato, organo politico indispensabile per la direzione politica del movimento di classe rivoluzionario e dello stesso potere proletario.

La seconda ragione e scopo fu di agire come punto di riferimento per organizzazioni e individui che si affacciassero sulla scena internazionale nel momento in cui l'approfondirsi della crisi del capitalismo avesse provocato il manifestarsi di risposte politiche. Nei primi decenni dalla costituzione della nostra tendenza, però, non si è assistito a grandi episodi di ripresa della lotta di classe. Al contrario, la risposta dei lavoratori ai crescenti attacchi del capitale, a volte anche molto combattiva (come nello sciopero dei minatori inglesi del 1984-85 o nella lotta dei lavoratori portuali spagnoli del 1984), è rimasta sempre di carattere settoriale, venendo infine inesorabilmente sconfitta. Al capitale internazionale sono stati così concessi importanti momenti di tregua nei quali ha potuto portare avanti le ristrutturazioni industriali che sono costate milioni di posti di lavoro, le crescenti misure di austerità e i peggioramenti nelle condizioni di lavoro e di vendita della forza-lavoro.

Non c'è quindi da sorprendersi se, in questo contesto, ci siano stati relativamente pochi nuovi compagni nelle nostre file negli anni ‘80 e che molti, che invece erano comparsi, si sono poi persi per strada, sopraffatti dall'isolamento politico in cui ci siamo trovati ad operare. Nonostante la situazione oggettivamente sfavorevole, e le nostre modeste forze, l’esistenza organizzativa della TCI si è però consolidata.

Oggi la TCI esiste come una specifica ed identificabile tendenza verso il futuro partito rivoluzionario, all'interno del più ampio campo proletario. Quest’ultimo può essere brevemente definito come l’insieme di coloro i quali si battono per l'indipendenza del proletariato dal capitale, che non hanno niente a che fare con alcuna forma di nazionalismo, che non hanno visto alcunché di socialismo nello stalinismo e nell'ex URSS ma che, allo stesso tempo, hanno riconosciuto nell'Ottobre 1917 quello che poteva essere l’inizio di una più vasta rivoluzione mondiale.

Tra le organizzazioni che rientrano in questo campo ci sono ancora importanti differenze politiche, non ultima la dibattuta questione della natura e funzione dell'organizzazione rivoluzionaria. L’impostazione della TCI può essere schematizzato come segue:

1. La rivoluzione proletaria o sarà internazionale o sarà condannata alla sconfitta. La rivoluzione internazionale presuppone l'esistenza di un partito rivoluzionario: la concreta espressione politica della parte più cosciente della classe lavoratrice, che si organizza per diffondere il programma rivoluzionario all'interno del corpo della classe. La storia ha mostrato come i tentativi di organizzare il partito durante la rivoluzione stessa si siano rivelati tardivi ed inadeguati.
2. La TCI punta così alla formazione di una nuova internazionale dei lavoratori nel momento stesso in cui esistano il programma politico e le forze sufficienti alla sua costituzione. La TCI, però, è per il partito e non si ritiene il suo unico nucleo originario. Il partito futuro non sarà infatti dato dalla semplice crescita di una singola organizzazione.
3. Prima che l’Internazionale venga costituita, tutti i dettagli del suo programma politico dovranno essere stati chiariti tramite discussioni e dibattiti tra le parti che la andranno a costituire.
4. Le organizzazioni che vanno a costituire il partito mondiale devono già avere una presenza significativa all'interno del proletariato, nella loro regione di provenienza. La proclamazione dell’Internazionale (o dei suoi nuclei iniziali) che avvenisse sulla base dell’esistenza di poco più che gruppi di propagandisti non rappresenterebbe un grande passo avanti per il movimento rivoluzionario.
5. Un’organizzazione rivoluzionaria ha l’obiettivo di diventare più di una rete di propaganda. Nonostante le possibilità limitate, è compito delle organizzazioni proletarie lavorare oggi per radicarsi come una forza rivoluzionaria all'interno della casse lavoratrice. Questo al fine di essere in una posizione che permetta loro di indicare la via da seguire nella lotta di classe oggi, condizione imprescindibile al fine di organizzare e guidare le lotte rivoluzionarie di domani.
6. La lezione dell'ultima ondata rivoluzionaria non è che la classe può fare a meno di una leadership organizzata, e nemmeno che il partito è la classe (secondo le astrazioni metafisiche dei bordighisti dell'ultima ora). L’insegnamento da trarre è piuttosto che la leadership organizzata nella forma partito (l’Internazionale) è l'arma più potente di cui può dotarsi la classe lavoratrice. Il suo obiettivo sarà di combattere per una prospettiva comunista negli organismi di massa del potere proletario (soviet o consigli). L’organizzazione politica di classe, in ogni caso, rimarrà una minoranza nella classe lavoratrice e non ne rappresenterà mai un sostituto, l'obiettivo di costruire il socialismo è infatti proprio di tutta la classe nel suo insieme: si tratta di un compito che non può essere delegato, neanche alla sua avanguardia più cosciente.

Prefazione
Viviamo in tempi pericolosi. C’è un'enorme sproporzione tra l'asprezza della crisi economica in atto, con la conseguente minaccia di una guerra imperialista da una parte, e il basso livello della risposta proletaria alla crisi dall'altra. Il dominio reale del capitale sulla produzione e sulla distribuzione è diventato sempre più dominio totale sulle relazioni politiche e sociali nel loro insieme. Attraverso i partiti democratici e i sindacati, l’ideologia borghese è penetrata profondamente nella classe lavoratrice. È così che viene soffocato sul nascere ogni tentativo dei proletari di reagire agli effetti della crisi.

Gli scioperi che si sono verificati, a volte persino in interi settori dell’economia nazionale, non si sono mai estesi perché ogni senso di solidarietà e unità di classe è stato soffocato dal nazionalismo, dall’idea di cambiare le cose un'azienda alla volta, dall'individualismo, ovvero da quelle forme dell'ideologia dominante che la sinistra della borghesia è riuscita a diffondere tra i lavoratori. Il dominio del capitalismo sulla classe lavoratrice per mezzo dei sindacati e dei partiti della sinistra borghese è la manifestazione concreta di ciò che Marx chiamava "reificazione dei _rapporti_ sociali”. Quale sia stata la loro origine storica, oggi questi sono strumenti materiali del totalitarismo del capitale. Non basta però denunciarne la funzione, è bensì necessario combatterli sia sul piano politico che organizzativo.

Nonostante gli indubbi successi del capitalismo nel contenere la lotta di classe, le sue contraddizioni persistono, innanzitutto nella crescita della composizione organica del capitale e nella conseguente tendenza del saggio del profitto a cadere. Come marxisti sappiamo che non potranno essere contenute per sempre. L’esplosione di queste contraddizioni non porterà però necessariamente ad una rivoluzione vittoriosa: nell'epoca imperialista infatti la guerra globale è la via del capitale per “controllare”, per risolvere temporaneamente, le sue contraddizioni.

In ogni caso, prima che questo avvenga, è possibile che il controllo politico ed ideologico della borghesia sulla classe operaia possa rompersi. In altre parole, potrebbero verificarsi improvvise ondate di lotta di classe di massa e i rivoluzionari dovranno trovarsi pronti. Quando la classe operaia riprende l'iniziativa, e comincia ad usare la sua forza collettiva contro gli attacchi del capitale, allora le organizzazioni politiche rivoluzionarie devono trovarsi, dal punto di vista politico e organizzativo, nella posizione di poter guidare e organizzare le necessarie battaglie contro le forze della sinistra borghese.

Ogni successiva ondata di lotta sarà un ulteriore passo avanti nella preparazione della rivoluzione solo a condizione che il programma e l'organizzazione rivoluzionaria ne escano di volta in volta rafforzati; e questo avviene solo se il programma rivoluzionario, e l’organizzazione che lo sostiene, è in grado, attraverso le lotte stesse, di affondare e rafforzare sempre più le proprie radici all’interno della classe lavoratrice. Questo dimostra l’esperienza storica della classe proletaria.

La rivoluzione russa del 1905 fu una preparazione per il 1917, nel senso che il programma rivoluzionario che portò poi al 1917 emerse rafforzato dalle battaglie che lo precedettero. Oggi non ci sono garanzie che ci possa essere un simile episodio di conflitto generalizzato, insurrezionale, dal quale, nonostante la classe nell’immediato risulti sconfitta, le forze rivoluzionarie ne escano al tempo stesso rafforzate. È certa però una cosa, e cioè che se avvenisse un tale movimento di massa senza che le idee rivoluzionarie assumessero nella classe una consistente presenza politica e organizzativa, allora ogni sconfitta avrebbe proporzioni storiche. È compito dell'organizzazione politica proletaria restituire alla classe le lezioni della sua stessa esperienza storica, organizzare gli elementi migliori prodotti dalla classe e guidare la lotta proletaria verso una soluzione rivoluzionaria internazionalista. È così che l’avanguardia diventa una forza materiale nell’emancipazione della nostra stessa classe.

Capitalismo
Come ogni società di classe, anche il modo di produzione capitalista è caratterizzato dal contrasto tra le forze produttive e i rapporti di produzione. Nel capitalismo la forza-lavoro esiste come una merce che è venduta dai suoi possessori (i proletari) in cambio di un salario eguale al valore dei beni necessari all’esistenza e alla riproduzione della forza-lavoro stessa. In termini di classe ciò si esprime nell’insanabile contrasto tra la borghesia (chi possiede e controlla il capitale e i mezzi di produzione) e il proletariato (che su quei mezzi di produzione esercita la propria forza-lavoro). Ad eccezione dei “frutti spontanei della natura”, è il lavoro che produce il valore e solo la forza-lavoro può trasformare dei materiali grezzi in merci. Tutte le merci hanno sia un valore di scambio che un valore d’uso. Ai capitalisti interessa il primo, in quanto è questo che permette alle merci di essere vendute per poter così esprimere un valore d’uso per l’acquirente. Il valore di scambio capitalizzato, rappresentato dal plusvalore prodotto dalla forza-lavoro operaia, è la sorgente dei profitti del capitalismo. I tentativi del capitale di mungere quantità sempre crescenti di plusvalore dalla forza-lavoro sono alla base della lotta di classe tra borghesi e proletari, tra capitalismo e classe lavoratrice. Questo è tanto vero oggi, nella cosiddetta società post industriale, dove gli ideologi capitalisti ci raccontano che la classe operaia non esiste più, quanto lo era nel diciannovesimo secolo, quando gli economisti del capitale negavano che la forza-lavoro fosse la sorgente del valore. Le contraddizioni fondamentali tra le classi rimangono, indipendentemente da tutte le innovazioni tecnologiche che sono state realizzate e, anzi, proprio a causa di queste.

L’impetuoso sviluppo delle forze produttive negli ultimi cinquant’anni ha intensificato enormemente lo sfruttamento della forza-lavoro. Aumentando lo sfruttamento è aumentata la velocità di caduta del saggio del profitto ed è aumentata anche, su scala globale, la miseria per masse sempre più grandi di lavoratori. Mai come oggi si è dimostrata vera la profetica immagine inserita da Marx e Engels nel Manifesto del 1848:

"I rapporti borghesi di produzione e di scambio, i rapporti borghesi di proprietà, insomma la moderna società borghese, che ha come per incantesimo prodotto mezzi di produzione e di scambio tanto potenti, è come l'apprendista stregone incapace di controllare le potenze sotterranee da lui stesso evocate".
Manifesto del Partito Comunista

Così, se da un lato lo sviluppo tecnologico porta alla caduta del saggio del profitto, creando problemi al processo di valorizzazione del capitale (fenomeno che rappresenta la base della crisi perenne in cui viviamo), dall’altro ha come diretta conseguenza l’intensificazione dello sfruttamento, l’avvelenamento del mondo, la deforestazione, la devastazione ambientale delle terre e dei mari (ad esempio, le “isole” di plastica sparse negli oceani). Questo significa un processo di estinzione di massa della flora e della fauna, il rilascio di immense quantità di CO2 nell’atmosfera che accelerano l’emergenza climatica e, con essa, i processi di desertificazione, la scarsità di acqua e le migrazioni forzate di centinaia di milioni di esseri umani da ambienti naturali che, dai Poli all’Equatore, diventano sempre meno vivibili.

Sono tutte conseguenze dirette del capitalismo, e tutte queste condizioni si aggraveranno fintantoché il capitalismo continuerà ad essere il modo di produzione dominante. Tutto ciò potrà essere superato solo superando lo sfruttamento capitalista, qualsiasi forma esso assuma.

“Il proletariato è l’unica vera classe rivoluzionaria” [Manifesto Comunista], ma solo quando agisce insieme per la fine della società di classe e, con essa, di ogni forma di sfruttamento e oppressione. L’oppressione - sia che venga ereditata da precedenti modi di produzione, sia che emerga dalle contraddizioni della società capitalista - si esprime in ogni forma di controllo sociale, pregiudizio, bigotteria, miseria, schiavitù, degradazione e discriminazione. Si tratta di un utile strumento della classe dominante per attaccare i più deboli della società (per esempio mantenendo bassi i salari delle donne e dei lavoratori immigrati) e dividere al contempo la classe lavoratrice nel suo insieme. Questo significa che dobbiamo combattere contro ogni forma di oppressione, come quella che si fonda su pregiudizi di genere e “razziali”, che indebolisce la solidarietà di classe e nasconde la realtà delle relazioni capitaliste.

Capitalismo di Stato

La contraddizione tra carattere sociale del lavoro e proprietà privata dei mezzi di produzione cresce con il mutare delle forme stesse della socialità del lavoro, da un lato, e della proprietà dall'altro. Mentre il capitalismo classico (occidentale) del diciannovesimo secolo era caratterizzato dal capitalista individuale che estorceva plusvalore direttamente dai suoi operai di fabbrica, nel ventesimo secolo questo ha lasciato spazio alle nuove forme del controllo capitalista. La proprietà statale dei più importanti mezzi della produzione non ha modificato la loro natura capitalista come proprietà privata del capitale finanziario, che è la vera forma del capitale nell’epoca imperialista. Allo stesso modo l'imperare dei monopoli nazionali e transnazionali in forma di società per azioni (a capitale "sociale") non annulla, ma, anzi, esaspera ed estende la contraddizione fondamentale, dandole di fatto una dimensione internazionale. Questo fu intuito da Engels già più di un secolo fa, quando ci spiegava che:

"La trasformazione in società per azioni (e trust) o in proprietà statale, non cambia la natura capitalistica delle forze produttive. Per quanto riguarda le società per azioni, questo è ovvio. Lo stato moderno, dal canto suo, è l'organizzazione che si dà la borghesia al fine di conservare le condizioni necessarie al funzionamento della produzione capitalista contro le insidie che possono provenire dai lavoratori così come da singoli capitalisti. Lo stato moderno, indipendentemente dalle forme che assume, è essenzialmente lo stato dei capitalisti, una macchina al servizio dei capitalisti, la personificazione ideale di tutto il capitale nazionale. Più esso entra in possesso di forze produttive e più diventa il capitalista collettivo e sfrutta i cittadini. I proletari rimangono salariati e i rapporti sociali tipici del capitalismo non scompaiono".
Anti Düring

Così, i paesi che un tempo venivano chiamati socialisti, altro non erano che paesi in cui si era affermata una forma particolare di capitalismo di stato nella quale lo stato controllava direttamente i mezzi di produzione e deteneva un monopolio sul mercato. Il miserevole crollo dell'URSS conferma quest’analisi sviluppata dalla sinistra comunista (e basata sulla critica dell'economia politica, o Marxismo) durante il lungo periodo che separò la rivoluzione di Ottobre dal collasso del blocco sovietico. La tragica identificazione della proprietà statale con il socialismo è stata definitivamente smascherata, ora che anche i cosiddetti “paesi a socialismo reale” hanno adottato le modalità organizzative e legali del capitalismo globale.

Fase imperialista
L'ex URSS ed i paesi a lei allineati formavano un blocco imperialistico. Il crollo di quel blocco ha aperto un nuovo capitolo nella storia del capitalismo mondiale, ma anche questo nuovo capitolo fa parte della storia del capitalismo imperialista. La prima guerra mondiale, il prodotto della competizione tra gli stati imperialisti, segnò un definitivo punto di svolta nello sviluppo capitalistico. Mostrò infatti che il processo di concentrazione e centralizzazione del capitale aveva raggiunto proporzioni tali che da quel momento le crisi cicliche, che erano sempre state un fenomeno intrinseco al processo di accumulazione capitalistico, sarebbero state crisi globali, risolvibili solo attraverso guerre mondiali. In breve, venne confermato che il capitalismo era entrato in una nuova epoca storica, quella dell'imperialismo, in cui ogni stato è parte di un economia capitalista globale e non può sfuggire alle leggi che regolano tale economia nel suo insieme. L'imperialismo perciò non è solo una politica che le potenze capitaliste più forti attuano nei confronti di quelle deboli, ma un processo inevitabile tramite il quale i tentacoli dei centri industrialmente e finanziariamente più sviluppati succhiano plusvalore dalle aree periferiche. Questo processo non conosce frontiere statali e impone che non vi sia alcuna lealtà nazionale da parte delle borghesie indigene nelle zone periferiche. Queste ultime sono parte di una classe capitalista internazionale e sono pienamente coinvolte nei meccanismi del capitale finanziario internazionale tanto quanto la borghesia delle tradizionali (e delle nuove) metropoli capitaliste.

Fase attuale
La fase attuale è caratterizzata, come già detto, dal progredire della più lunga e vasta crisi strutturale della storia del capitalismo. Anche se la caduta del saggio del profitto agisce sempre, è solo dagli inizi degli anni ‘70 che i sui effetti si sono fatti pesantemente sentire come parte di un ciclo infernale dal quale il capitalismo mondiale mostra di non poter uscire.

Il paradosso che vive l'attuale società capitalistica è che, a fronte di una potenzialità tecnologica che non ha riscontri nella storia dell'umanità, si produce sì sempre di più, ma a tassi di incremento minori, con una parte sempre più esigua di questa ricchezza che viene destinata allo “stato sociale”.

La caduta del saggio di profitto spinge i capitali a percorrere la strada dell'investimento speculativo, a spese di quello produttivo. Le ripetute bolle borsistiche, le conseguenti crisi finanziarie, l'indebitamento delle imprese, degli stati e delle famiglie, ne sono stati e ne sono gli effetti più evidenti, assieme alla progressiva aggressione al salario diretto, indiretto e differito, che si sta proponendo ovunque. Altrettanto caratterizzante la fase attuale sono le guerre che, sempre puntuali e devastanti, come le crisi economiche che le generano, sono diventate uno stato permanente del capitalismo. La soluzione bellica appare oggi essere il più importante mezzo per risolvere i problemi di svalutazione del capitale (distruggere valore al fine di ricostruire) e l’unica via possibile per aprire un nuovo ciclo di accumulazione, con livelli sempre più alti di concentrazione del capitale industriale (mezzi di produzione) e di centralizzazione di quello finanziario.

Lo Stato continua così ad indebitarsi nel tentativo, sempre fallito, di arginare la crisi per rilanciare la produzione. Ad oggi, la lunga ombra del crack del 2008 continua ad estendere i suoi effetti sul sistema capitalistico, in attesa della prossima, ancora più devastante, crisi globale.

Socialdemocrazia
L'apertura dell'epoca imperialista, con i suoi cicli infernali di guerra globale-ricostruzione-crisi, ha anche posto all’ordine del giorno la possibilità dell’affermazione di una forma superiore di società, il comunismo. Questo venne drammaticamente confermato nell'Ottobre 1917, quando il proletariato russo conquistò il potere come primo atto di un'ondata rivoluzionaria europea e mondiale che s’innalzava dal macello e dalle devastazioni della prima guerra mondiale. Tuttavia, l'esperienza di quel periodo ha confermato, non meno drammaticamente, il tradimento della maggior parte dei partiti della Seconda Internazionale, i quali non solo diedero il benestare al massacro dei loro rispettivi proletariati nella guerra imperialista, sostenendo i “loro” stati nazionali, ma fecero tutto il possibile per reprimere la rivoluzione, ma in nome del socialismo (!), durante i moti insurrezionali che portarono quella guerra a conclusione.

Oggi possiamo osservare una netta differenza tra le organizzazioni proletarie del periodo precedente e di quello successivo alla rivoluzione di Ottobre. Durante l’ascesa e il consolidamento del capitalismo come modo di produzione dominante, i movimenti nazionalisti o anti-dispotici fornirono il quadro generale per la mobilitazione delle masse dei proletari europei. Tale mobilitazione favorì la formazione di importanti organizzazioni sindacali e partitiche. Seppur inquadrata all'interno di queste strutture che rientrano in tutto e per tutto all’interno delle relazioni politiche e sociali borghesi esistenti, la classe lavoratrice fu capace di esprimere la propria indipendente identità di classe ponendo all’ordine del giorno i propri problemi. Allo stesso tempo, le teorie rivoluzionarie di Marx ed Engels venivano conosciute ed entravano a far parte del vita politica dei proletari, anche se le forze socialdemocratiche prevalenti non agivano secondo i principi del marxismo. Per questi partiti socialisti la rivoluzione prospettata da Marx rimaneva infatti una meta lontana che sarebbe stata raggiunta un giorno, in un futuro lontano, con mezzi non specificati. Il socialismo rimaneva il “glorioso futuro” per il quale stavano teoricamente lottando, ma in pratica l’obiettivo strategico che definiva le loro tattiche diventava non l’assalto al potere, ma, di volta in volta, le elezioni parlamentari, la giornata lavorativa di otto ore, la libertà di organizzazione ecc.

Nel 1914 la socialdemocrazia dimostrò apertamente di identificarsi con l'imperialismo e questo produsse una svolta decisiva all'interno del movimento operaio: la separazione netta tra i comunisti e le forze corrotte del riformismo che, attraverso la Seconda Internazionale (1889-1914), avevano dominato il movimento di massa. La fondazione della Terza Internazionale, dichiarando l’apertura dell’epoca della rivoluzione proletaria mondiale, segnò la vittoria dei principi originari del marxismo. Da quel momento l’attività comunista doveva essere rivolta esclusivamente al rovesciamento dello stato borghese al fine di creare le condizioni per la costruzione di una nuova società.

L’epoca dell’imperialismo è l’epoca in cui il dominio capitalista ha assunto carattere globale, è perciò necessaria una strategia rivoluzionaria che sia anch’essa globale. La rivoluzione proletaria e la dittatura del proletariato devono essere i cardini della strategia dell’Internazionale in ogni paese. Differenze nelle situazioni specifiche, più precisamente le diversità tra le differenti forme del dominio politico e sociale borghese nelle diverse aree del mondo, richiedono certamente approcci tattici differenti, ma, in ogni caso, la tattica dell'organizzazione internazionale del proletariato verrà sempre definita sulla base del suo programma rivoluzionario universale. L'era delle lotte democratiche è finita da lungo tempo e queste non possono venir riproposte nell’attuale epoca imperialista.

Parlamento
I comunisti non si illudono che la libertà degli operai possa essere conquistata attraverso l'elezione di una maggioranza in parlamento. In primo luogo è un’illusione del "cretinismo parlamentare" [Diciotto Brumaio] credere che la classe dominante se ne starebbe pacifica mentre noi varassimo leggi per il socialismo. La democrazia parlamentare è la foglia di fico dietro cui si nasconde la dittatura di classe della borghesia. I veri organi del potere nella società capitalista democratica risiedono al di fuori del parlamento, nella burocrazia di stato, nelle sue forze di sicurezza e fra i controllori dei mezzi di produzione. Il parlamento è utile alla borghesia in quanto riesce a dare l'illusione che gli operai scelgano chi li malgoverna. I rivoluzionari, dunque, si oppongono alle elezioni parlamentari, chiamando i lavoratori a lottare sul loro autonomo terreno di classe. Sta ai militanti del partito rivoluzionario dimostrare che solo attraverso la distruzione del capitalismo e dei suoi organismi statali è possibile per la classe operaia raggiungere una completa libertà di espressione e di organizzazione. Questo prenderà la forma dei consigli dei lavoratori, nei quali i delegati non saranno semplicemente eletti dai lavoratori, ma anche da essi revocabili. Una volta realizzata la soppressione dei rapporti capitalisti, i consigli avranno abolito le classi e con esse anche ogni bisogno dello stato. I consigli si trasformeranno così da organismi con funzioni di semi-stato in semplici amministratori dell’economia. Questo è quello che intendiamo quando parliamo di “estinzione dello stato della dittatura del proletariato”.

Sindacati

I sindacati sono gli organi della mediazione tra lavoro e capitale. Nacquero come strumenti di contrattazione delle condizioni di vendita della forza-lavoro operaia e non sono, né sono mai stati, utili strumenti per il rovesciamento del capitalismo. Nell'epoca imperialista, indipendentemente dalla loro composizione sociale, i sindacati sono organizzazioni il cui compito è quello di sostenere il capitalismo, specialmente nei momenti cruciali in cui questo è particolarmente minacciato. Gli stessi sindacati di base, che si pretendono alternativi e radicali e che sorgono un po’ ovunque in contrapposizione ai sindacati ufficiali, finiscono per diventare armi spuntate perché sono anch’essi parte di una logica contrattuale, spesso in conflitto gli uni con gli altri, dividendo così la classe. Incapaci di sfuggire alla logica vertenziale per sostenere la lotta di classe rivoluzionaria, finiscono inevitabilmente per costituire un limite al diffondersi della lotta proletaria e, sopratutto, al maturare di una coscienza e di una organizzazione rivoluzionaria e anticapitalista. Da ciò consegue che è impossibile, per i rivoluzionari, conquistare i sindacati o trasformarli in organismi per la rivoluzione. Ovunque la rivoluzione proletaria dovrà combattere i sindacati che si ergeranno come bastioni della controrivoluzione.

L'esperienza dell'ultima ondata rivoluzionaria, come della controrivoluzione che la seguì, rese assolutamente chiaro ai rivoluzionari marxisti che il sindacato non è, e non può essere, l’organismo della lotta di massa nel quale la minoranza politica della classe (il partito) può lavorare per far giungere il suo programma ed le sue parole d’ordine alla classe intera. Tali organismi di massa, che la teoria comunista ha tradizionalmente inteso come organi sia di lotta che di potere, compaiono nei momenti di crescita della lotta di classe. Storicamente questi sono apparsi nella forma della Comune, o soviet (consigli). Così come i comunisti possono conquistare una posizione di guida politica delle masse solo in situazioni eccezionali, allo stesso modo – e a causa di questo - gli organismi di massa che crea la classe lavoratrice e che rendono la direzione comunista possibile, si formano solo in periodi di lotta montante. Al di fuori di questi periodi particolari il partito deve sviluppare il suo lavoro di direzione politica e sviluppo dell’avanguardia della classe: è dovere permanente dei comunisti prendere parte alle lotte dei lavoratori, per fungere da stimolo e indicare loro la prospettiva da seguire. La possibilità che le lotte si sviluppino dal piano contingente, nel quale maturano, a quello più ampio della lotta politica anticapitalista è subordinata alla presenza e all'operatività dei comunisti all'interno dei luoghi di lavoro. È obiettivo dell'organizzazione comunista trovare un mezzo per organizzare la parte più cosciente dei lavoratori nel luogo di lavoro, non per svolgere attività sindacale, ma per costruire un legame tra il partito e le grandi masse proletarie.

Lotte di liberazione nazionale

La Prima Guerra Imperialista concluse, nel 1914, l’epoca della storia nella quale le liberazioni nazionali potevano rappresentare un elemento progressivo per il mondo capitalista. Il carattere globale del capitalismo nell’epoca imperialista implica che le apparenti differenze tra le varie formazioni sociali nel mondo non riflettano differenze effettive nei modi di produzione. Per questo non c'è necessità, per il proletariato, di adottare differenti strategie per l’azione rivoluzionaria nelle diverse regioni del globo. Il lavoro di Marx ha già spiegato la distinzione tra modo di produzione e formazioni sociali che più o meno gli corrispondono. La storia della società di classe ha dimostrato che formazioni sociali differenti, frutto di diversi percorsi storici, possono coesistere sotto il modo produzione capitalistico, esse sono comunque dominate dall'imperialismo che utilizza le differenze nazionali, etniche e culturali per mantenere la propria esistenza. Le modalità con cui la borghesia esercita il suo controllo politico cambiano a seconda della caratteristiche sociali e culturali dei vari popoli, ma in ogni caso il potere che rappresenta è sempre lo stesso: quello del capitale. È quindi da combattere ogni ipotesi che consideri ancora aperta in qualche paese la questione nazionale e che consideri quindi che il proletariato debba in questi casi abbandonare la propria strategia rivoluzionaria per allearsi con la borghesia locale (o peggio con un fronte imperialistico). Solo quando il proletariato si unisce per difendere i propri interessi di classe, le basi di ogni oppressione nazionale vengono minate. L'organizzazione rivoluzionaria respinge qualsiasi tentativo di impedire la solidarietà di classe sulla base delle ideologie di separazione religiosa, “razziale” o culturale.

Rivoluzione e controrivoluzione

La sconfitta del movimento rivoluzionario in Europa e la natura della controrivoluzione in Russia costituirono un serio problema interpretativo per i rivoluzionari marxisti che, nel periodo conclusosi con la Seconda Guerra Mondiale, tentavano di comprendere le lezioni di quell’intera esperienza. Il processo controrivoluzionario si riflesse nei mutamenti strategici della Terza Internazionale. Il suo obiettivo primario diventava la necessità di difendere lo stato russo e i partiti che costituivano l’Internazionale stessa e, allo stesso tempo, imporre a quegli stessi partiti il ritorno alla strategia ed alle tattiche della socialdemocrazia. Questo processo degenerativo fu seguito anche da Trotsky e dai suoi seguaci durante gli anni Trenta, come dimostrato dalla politica di Trotsky dell'entrismo nei partiti socialdemocratici e laburisti (la cosiddetta "svolta francese"). Questo e il sostegno del trotskismo alle ambizioni imperialiste dell'URSS, hanno cancellato il trotskismo come corrente potenzialmente rivoluzionaria. Toccava ad altri tirare le lezioni della sconfitta.

Nonostante lo schierarsi a favore dell'Unione Sovietica di tutti i partiti comunisti ormai caduti nell’orbita controrivoluzionaria dello stalinismo, e nonostante la sconfitta della grande esperienza bolscevica, con l'affermarsi del capitalismo di stato in Russia, la lezione tratta dalla Sinistra Comunista riguardo la natura capitalistica ed imperialistica dello stato Sovietico salvò il programma comunista dalla scomparsa totale, assieme a quell’esperienza rivoluzionaria. Questo significò che anche durante la seconda guerra mondiale un partito indipendente della classe lavoratrice avrebbe potuto emergere: è quanto accadde con la formazione del Partito Comunista Internazionalista nel 1943.

Degenerazione della Russia rivoluzionaria e del Comintern

Il processo rivoluzionario avviatosi in Russia con la vittoria di Ottobre si interruppe con l'accartocciarsi dello stato russo su sé stesso, in difesa delle sue fondamenta economiche capitalistiche. Ciò avvenne a causa dell'isolamento della Russia sovietica e della sconfitta delle ondate di lotta proletaria nei principali paesi europei. Quest'esperienza ha dimostrato una volta per tutte ai marxisti che è impossibile la costruzione del socialismo in un solo paese. Nessuno stato socialista o rivoluzionario può esistere al di fuori di un reale processo rivoluzionario internazionale. Questo non significa che quando il proletariato raggiunge il potere in un particolare paese non sia possibile che qui si esprima un reale potere proletario. Significa invece che se il movimento rivoluzionario non si diffonde e non apre alla concreta possibilità di iniziare la costruzione di nuove relazioni sociali, è impossibile per il nuovo potere durare.

Dalla seconda metà degli anni Venti, il Comintern venne completamente dominato dal Partito Russo, non era ormai più uno strumento centralizzato con lo scopo di perseguire i bisogni strategici e tattici della classe lavoratrice internazionale. Ciò che rimaneva del potenziale rivoluzionario in Europa e Cina veniva compromesso dalle politiche del Comintern, asservite ora alle necessità di auto-conservazione dello stato dell'Unione Sovietica. Nella stessa Unione Sovietica lo strangolamento del processo rivoluzionario portò al sorgere di una dittatura anti-proletaria sotto Stalin, espressione di rapporti sociali di tipo capitalista. Lo sviluppo di un simile regime in un paese così esteso come l’URSS comportò il suo riemergere come potenza imperialistica di primo piano. Fu con questa caratterizzazione che lo stato stalinista e i vari partiti nazional-comunisti parteciparono prima alla guerra in Spagna e poi alla Seconda Guerra Mondiale. Tramite la guerra, i paesi dell’est Europa finirono sotto il controllo dell’imperialismo russo e furono costretti ad adottare il modello stalinista del capitalismo di stato. Il fallimento della perestrojka ed il crollo di questo blocco non furono il segnale che uno "stato operaio" era giunto al termine del suo processo degenerativo, bensì l'esplicito manifestarsi della crisi capitalista nella “superpotenza” più debole.

Cina
In Cina un processo differente portò allo stesso risultato: un regime a capitalismo di stato il quale, ancora oggi, è in cerca del suo “vero” ruolo all'interno del sistema internazionale di alleanze dell’imperialismo. La differenza fondamentale nella storia cinese è che qui non si è mai realizzata una rivoluzione proletaria comparabile a quella dell’Ottobre russo del 1917. La storia dell'attuale regime cinese inizia con la tragica sconfitta del movimento proletario a Canton e a Shanghai nel 1927. A questa seguì una guerra nazionale condotta da un blocco di classi, tra le quali i contadini rappresentavano la massa d'urto. La guerra finì con l'instaurazione di un regime sotto il protettorato stalinista e fondato sul medesimo tipo di stato capitalistico altamente centralizzato. Questo regime, che si sganciò negli anni '60 dalla sfera d'influenza russa sotto la bandiera del neo-stalinismo, si ritrovò negli anni '70 a marciare a braccetto con gli Stati Uniti. Entrambe queste mosse apparentemente contraddittorie nascevano dal tentativo di mantenere il controllo dell'economia e di sostenere l'accumulazione capitalistica. Mai la Cina ha avuto un potere proletario e l'ideologia maoista non è stata altro che il mezzo per costringere le masse a sacrificare i loro interessi a vantaggio del capitale nazionale.

Partito, stato e classe – Le lezioni della controrivoluzione
Queste esperienze della controrivoluzione costrinsero i rivoluzionari ad approfondire la loro comprensione dei problemi concernenti la relazione tra stato, partito e classe. Il ruolo giocato dal partito originariamente rivoluzionario all’interno della controrivoluzione in Russia ha condotto molti aspiranti rivoluzionari a respingere in blocco l'idea di un partito di classe. La questione non è così semplice. Il partito di classe è indispensabile per la lotta rivoluzionaria del proletariato e lo è per il motivo fondamentale che esso è l’espressione politica e organizzata della coscienza di classe. Il partito raccoglie la parte politicamente più avanzata della classe lavoratrice, organizzandola in difesa del programma di emancipazione dell’intero proletariato e per guidare l’intera classe verso il rovesciamento del capitalismo. Per definizione, il partito rivoluzionario sarà sempre formato da una minoranza del proletariato e, nonostante questo, il programma comunista che difende può essere portato a compimento solamente dalla classe lavoratrice nel suo insieme. Durante la rivoluzione il partito punterà a conquistare la guida politica del movimento, facendo circolare e sostenendo il suo programma negli organismi di massa della classe lavoratrice. Così come è impossibile pensare ad un processo di crescita della coscienza rivoluzionaria senza la presenza di un partito rivoluzionario, è altrettanto impossibile immaginare che anche la parte più cosciente della classe possa mantenere il controllo degli avvenimenti indipendentemente dai soviet (o organismi simili di cui si dota la classe). I soviet sono l’espressione del potere politico della classe lavoratrice (della dittatura del proletariato) e il loro declino e marginalizzazione nella vita politica russa rappresentarono simbolicamente lo strangolamento del neonato stato dei soviet ad opera della controrivoluzione capitalista. Il potere che rimase nelle mani dei commissari bolscevichi, sempre più isolati da una esausta e decimata classe lavoratrice, fu il potere di uno stato capitalista. Nella futura rivoluzione mondiale il partito internazionale dovrà allora puntare a guidare il movimento di rivoluzionario solo attraverso gli organismi di massa della classe, che incoraggerà a sorgere. Tuttavia non esistono garanzie formali di vittoria, e il partito rivoluzionario non può legarsi le mani in anticipo erigendo barriere meccanicistiche fondate sulla paura della sconfitta. Né il partito né i soviet sono di per sé un’assicurazione di fronte alla controrivoluzione. L'unica vera garanzia di vittoria è data dalla più viva coscienza di classe delle masse lavoratrici e dal continuo diffondersi della rivoluzione internazionale.

L’Internazionale rivoluzionaria
L’Internazionale - o le organizzazioni da cui nascerà - comprende la parte più cosciente del proletariato, che si organizza per difendere il programma dell’emancipazione dell’intera classe lavoratrice. Utilizzando gli strumenti del marxismo, esso attinge alle lezioni politiche dell’intera esperienza storica della classe al fine di elaborare il programma e di definire, in accordo con esso, strategia e tattiche. Il futuro partito mondiale avrà il compito di sottrarre le masse all'influenza delle differenti ideologie controrivoluzionarie e nazionaliste che ingannano la classe lavoratrice. Quando le masse lavoratrici - sotto la spinta delle contraddizioni materiali della crisi globale del capitalismo – riappariranno sulla scena storica, allora il partito troverà le giuste condizioni per portare a pieno completamento il suo compito principale: guadagnare le masse al programma comunista e conquistare la direzione politica della lotta, al fine di guidarla al rovesciamento rivoluzionario dello stato capitalista.

La rivoluzione, perciò, potrà avvenire solo se l'organizzazione rivoluzionaria si sarà adeguatamente sviluppata e preparata per condurre l’attacco contro i nemici politici del programma rivoluzionario. Noi quindi rifiutiamo gli schemi che vedono la nascita del partito solo nel momento in cui parte una rivoluzione o che limitano i suoi compiti ad una mera azione di propaganda, “predicando” la rivoluzione.

Le forze politiche proletarie hanno il dovere di organizzarsi nonostante oggi le circostanze in cui si trovano impongono dei forti limiti alla loro capacità di influenzare le grandi masse. Nell'epoca dell'imperialismo, il dominio borghese sulla società si è raffinato ed esteso fino a includere praticamente ogni aspetto della vita sociale. Parallelamente alle più estreme forme di concentrazione dei mezzi di produzione nelle mani del capitale finanziario, si è avuta una crescita senza eguali del dominio politico ed ideologico della borghesia. Ciò che Marx affermò oltre un secolo fa si dimostra oggi più vero che mai:

"In ogni periodo le idee della classe dominante sono le idee dominanti, la classe che cioè rappresenta la forza dominante dal punto di vista materiale, è anche la forza dominante sul piano intellettuale. La classe che detiene il controllo dei mezzi della produzione materiale controlla allo stesso tempo i mezzi di "produzione culturali" con la conseguenza che le idee di coloro che non hanno a loro disposizione mezzi di produzione culturali ricalcano le idee di chi invece ne detiene il controllo. Le idee dominanti non sono altro che l'espressione culturale dei rapporti materiali dominanti e così delle relazioni sociali che fanno di una classe la classe dominante, non sono altro quindi che la giustificazione del suo dominio".
L'Ideologia tedesca

Questo significa che in condizioni di pace sociale, e specialmente nelle metropoli imperialistiche dove il dominio della borghesia è più esteso e totalizzante, il proletariato è completamente succube dell'ideologia e delle organizzazioni borghesi. Il che, a sua volta, impone una netta separazione tra il proletariato nel suo insieme e l’espressione politica della sua lotta di classe: il partito comunista. Sono i periodi di crisi economica e sociale che possono portare una rottura nella tenuta ideologica e politica della borghesia. Fino ad allora il programma rivoluzionario e le organizzazioni politiche che lo rappresentano continueranno ad esistere in condizioni di forte separatezza dalla classe. È una separatezza che non potrà essere superata semplicemente attraverso atti di volontà o con mezzi organizzativi.

Ciononostante, il ciclo di accumulazione cominciato dopo la seconda guerra mondiale si sta avvicinando alla fine. Il boom economico del dopoguerra ha da lungo tempo ceduto il passo alla crisi economica globale. Ancora una volta l’alternativa tra guerra imperialista e rivoluzione proletaria viene posta nell’agenda storica e impone ai rivoluzionari sparsi nel mondo la necessità di serrare le fila. Nell'epoca in cui il capitalismo monopolista domina a scala globale, nessun paese può sottrarsi alle forze che spingono il capitalismo alla guerra. L’ineluttabile marcia del capitalismo verso la guerra è accompagnata dall’attacco universale alle condizioni di vita e di lavoro del proletariato. Le condizioni materiali perché inizi una lotta internazionale dei lavoratori contro i loro sfruttatori, perciò, esistono, come esiste la necessità e la possibilità di una rivoluzione comunista. Ciò che però manca è un’Internazionale rivoluzionaria che sia in grado di sostenere e preparare una tale battaglia.

Dai punti precedenti emerge che è ormai tempo di lavorare attivamente alla costruzione del partito rivoluzionario. I rivoluzionari, quindi, per quanto siano limitate le loro forze oggi, hanno il compito di fare il possibile per strappare le masse proletarie all'influenza delle forze della reazione e della guerra. Questo richiede la loro organizzazione e centralizzazione a livello internazionale. Il processo che deve condurre dall’attuale frammentazione delle forze rivoluzionarie, che si muovono in ordine sparso su tutta la superficie del pianeta, alle battaglie politiche e militari del partito rivoluzionario internazionale di domani, richiede ai comunisti il massimo sforzo per garantire tanto la loro omogenizzazione politica, quanto la formazione di nuovi membri.

La formazione del Partito Internazionale del Proletariato avverrà attraverso la dissoluzione delle varie organizzazioni "nazionali" o regionali che hanno lavorato assieme, e concordano sulla piattaforma del partito e sul programma per la rivoluzione. La TCI si propone come centro focale per il coordinamento e l'unificazione di queste organizzazioni. I suoi statuti forniranno le basi per l'omogeneizzazione organizzativa che dovrà risultare, infine, dalla dissoluzione delle singole organizzazioni e dalla loro centralizzazione in una struttura veramente internazionale. Allora la TCI avrà esaurito il compito che si è dato.

TCI, febbraio 2020

leftcom.org

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