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RIDUZIONE DELLA GIORNATA LAVORATIVA:
OBIETTIVO STORICO DEL MOVIMENTO OPERAIO

(27 Giugno 2022)

peterloo

Una stampa d'epoca raffigurante il massacro di Peterloo

La lotta per l'abbassamento dell'orario di lavoro è stata, nella storia del movimento operaio di fine Ottocento e Novecento, dura e difficile, e non tutti i Paesi arrivarono nello stesso tempo a leggi che introducevano la giornata lavorativa di otto ore. Furono necessari anni di dure lotte, che costarono la vita a molte lavoratrici e lavoratori.
Già l'inizio della Rivoluzione industriale aveva allungato di parecchio il tempo di lavoro, rispetto alla fase storica precedente della produzione corporativa ed artigianale. Una delle prime iniziative per la riduzione dell'orario di lavoro si ebbe a Filadelfia nel 1791, cioè appena costituita la Repubblica americana, e furono i muratori e i calzolai della città ad organizzare manifestazioni per ottenere una giornata lavorativa più corta.
Nel Vecchio Continente, l'orario di lavoro, il salario e lo sfruttamento degli operai, cioè le condizioni complessive di vita dei lavoratori, erano senz'altro peggiori rispetto a quelle statunitensi. Infatti, in certe località gli orari di lavoro raggiungevano le 17/18 ore, e venivano impiegati normalmente bambini e donne. I vari governi, sapendo benissimo che il profitto e la relativa ricchezza erano possibili sfruttando al massimo la forza-lavoro, emanarono leggi per reprimere ogni tentativo di limitare l'orario di lavoro.
I primi piccoli segnali di apertura da parte dei governi e dei padroni fu nel 1819 in Inghilterra, grazie anche ad una espansione economica, con la promulgazione di una legge sugli opifici che vietava il lavoro minorile prima dei nove anni e proibiva il lavoro notturno.Tale legge, come si verificherà quasi sempre negli anni successivi per le leggi riguardanti l'orario di lavoro, rimase praticamente lettera morta per diversi anni perchè i padroni cercavano ogni prestesto per non applicarla.
Questo era un periodo nel quale i lavoratori erano sull'orlo della fame, e le manifestazioni e i tumulti erano frequenti, come le repressioni e le morti. I fatti più gravi avvennero il 16 Agosto 1819, con un massacro di 15 morti e 400 feriti a Peterloo (Manchester) durante una manifestazione pacifica di 60mila persone che richiedevano il suffragio universale. Da segnalare che i primi anni dell'Ottocento l'agitazione politica e sociale sulla questione operaia fu spesso in mano ad imprenditori o intellettuali illuminati, con iniziative genericamente filantropiche che fortunatamente furono poi superate con la formazione delle Trade Unions dopo il 1820.
Negli altri Paesi europei, che non avevano un tessuto industiale come quello inglese, le manifestazioni operaie erano più contenute. Nella stessa Francia, nonostante la rivoluzione borghese del 1789, durante la quale si ebbero manifestazioni e lotte operaie, i lavoratori seguirono i loro datori di lavoro, i quali volevano sì la Repubblica e trasformazioni politiche, ma non cambiamenti nei rapporti di lavoro. Da notare che durante la dittatura giacobina rimase in vigore la Legge Le Chapelier del 1791, che proibiva le associazioni operaie e lo sciopero.
Solo nel 1830 i tessili di Rouen, dopo un duro sciopero, ottennero la giornata lavorativa di 12 ore, a confronto delle 14-17 ore che svolgevano prima. Intanto il movimento operaio inglese si dette un'organizzazione, il Cartismo, più lucida e piu vicina alle esigenze dei lavoratori, e si proposero di lottare per ottenere le 10 ore giornaliere.
Tale richiesta a poco a poco fu raccolta anche dagli operai di altri Paesi, in particolare negli Stati Uniti, dove la rivoluzione industriale, benchè iniziata in ritardo rispetto all'Inghilterra, procedeva in modo imperioso. Così, sotto la spinta delle lotte, alcuni Stati americani (Maine, Connecticut per primi) approvarono localmente la giornata lavorativa di 10 ore.
In Inghilterra, nel 1847 i cotonieri ottennero la riduzione a 10 ore entro il 1848, ed il Parlamento inglese con il "Factor Act" estese nel 1850 questo orario a tutte le fabbriche. Questo spaventò i governi e i padroni degli altri Stati europei, e per frenare un'eventule mobilitazione dei lavoratori, cominciarono ad intervenire, anche se molto lentamente, a smussare le parti più vergognose dello sfruttamento, partendo dalle condizioni di orario dei bambini.
Dopo le rivoluzioni del 1848, che avevano un carattere nazionale e che avevano rallentato un poco le lotte, negli anni '50 dell'Ottocento ripresero mobilitazioni che coinvolsero sempre più lavoratori, ottenendo anche dei successi, come in Australia, che, per la prima volta, nel 1856, imposero le otto ore di lavoro grazie alla grande forza degli operai qualificati, forti di una domanda molto forte.
Intanto, nel 1864 venne fondata la Prima Internazionale, e nella sua carta costitutiva venne indicato come uno dei punti più prioritari le mobilitazioni per la riduzione dell'orario, ed il Congresso di Ginevra della stessa Internazionale si pronunciò per l'introduzione della giornata lavorativa di otto ore.
Purtroppo, il dissidio tra Marx e Bakunin ed il suo virtuale scioglimento nel 1873, impedirono una mobilitazione articolata con diramazioni internazionali. A questo andava aggiunta la grande depressione che colpì l'Europa dal 1870 fino al 1896, che rallentò le lotte, mentre i lavoratori degli Stati Uniti erano la testa di ariete, e già nell'Illinois nel 1866 il governo locale introdusse la giornata lavorativa di otto ore.
In Italia, solo dopo il 1860 si può parlare di vere e proprie mobilitazioni operaie. La nascita dell'industria era avvenuta all'insegna delle forme di rapporto esistenti nel lavoro agricolo, considerando normale la prestazione lavorativa che si potraeva dall'alba al tramonto. Le regole erano inesistenti, così come le pause nel corso della giornata e le ferie. Il regno sabaudo, dopo la sua costituzione, intervenne con leggi per migliorare le condizioni minorili per ridurne l'orario, che era ancora oltre le nove ore.
Il movimento operaio si stava organizzando per impostare lotte più dure e obiettivi reali per il miglioramento delle loro condizioni. Dobbiamo tenere presente che allora i lavoratori ruotavano intorno alle società di mutuo soccorso, che si occupavano in particolare di iniziative benefiche, e le organizzazioni dei lavoratori erano egemonizate prima da Mazzini, contrario ad ogni lotta di classe e di scontro sociale, poi da Bakunin, che mirava più ad abbattere ogni potere, che ad incidere sulle stesse condizioni della produzione per la creazione di un potere alternativo.
Comunque, nel 1860 i muratori di Torino, dopo un vittorioso e duro sciopero, ottennero la giornata lavorativa di 12 ore. In Francia intanto scoppiò la guerra franco-prussiana, e nel 1871 a Parigi fu formato il primo governo operaio, il quale si occupò subito delle condizioni degli operai, ed il 20 Aprile 1871 venne proibito il lavoro notturno per i fornai, mentre la richiesta da parte dell'ala più radicale, di introdurre le otto ore lavorative, fu bocciata dagli altri Comunardi.
La sconfitta ed il massacro dei comunardi da parte di Thiers, con l'avallo dei prussiani, colpì pesantemente il movimento operaio. Negli Stati più industrializzati, come Inghilterra e Germania, invece le lotte ebbero nuovi impulsi, e i meccanici ottennero le 54 ore settimanali, mentre i metallurgici della Clyde 51 ore settimanali. Nel 1874 era stata definitivamente fissata la giornata a 10 ore per tutti, essendo anche aumentata molto la produttività, che permise certi allentamenti dello sfruttamento orario.
La diminuzione dell'orario fu introdotta anche in altri Paesi industrializzati, e persino nella Russia zarista venne varata una legge che limitava il lavoro minorile; nel 1898, dopo una dura e feroce repressione dell'autocrazia russa, l'orario di lavoro venne portato a 11 ore e mezzo, e a 10 ore il lavoro notturno.
Nel 1889 i principali partiti socialisti europei diedero vita alla Seconda Internazionale, e pensarono ad una manifestazione internazionale di tutti i lavoratori per il Primo Maggio, a ricordare la strage di Chicago, dove erano stati assassinati lavoratori che manifestavano per le otto ore (8 di lavoro, 8 di svago, 8 di sonno), per ottenere per l'anno successivo le otto ore giornaliere. Solo il 19 Giugno 1912 però, esattamente 110 anni fa, negli USA fu poi introdotta la giornata lavorativa di 8 ore, applicata solo due anni dopo nelle fabbriche Ford.
In quegli anni sino al 1914, la lotta per le otto ore si estese anche in quei Paesi meno industrializzati, come la Spagna, il Messico, ed in particolare la Russia, dove durante la rivoluzione del 1905 si erano svolti numerosi scioperi per le otto ore, e sia Lenin, che la Luxemburg, diedero grande valore politico a questa rivendicazione.
Il movimento operaio intanto si era rafforzato grazie anche al supporto delle Internazionali del lavoro. Furono costruite le basi che gli permisero di mutare i rapporti di forza con i padroni, e fu proprio quel movimento a preparare il terreno alla Rivoluzione russa del 1917, alle occupazioni delle fabbriche durante il biennio rosso in Italia, alla grande stagione di scioperi degli anni '20 in Germania.
Spaventarono i padroni la fine della Prima Guerra Mondiale, il crollo delle potenze centrali, le lotte operaie e l'esempio della Rivoluzione d'Ottobre, che oltrettutto con i Decreti di Novembre emanati dal Governo dei Commissari che avevano introdotto tutta una serie di misure rivolte a migliorare le condizioni degli operai e dei contadini, tra le quali la riduzione dell'orario di lavoro ad otto giornalere. Furono, così, costretti a cedere.
Noi sappiamo che il capitalismo difende con tutte le sue forze il profitto, perchè sappiamo bene che lo scopo del capitalismo non è certamente il benessere dell'umanità, ma la realizzazione della produzione finalizzata al guadagno, che ricava da un maggiore intensità e sfuttamento della prestazione lavorativa. Fu per questo che, alla richiesta di riduzione dell'orario, i padroni si opposero strenuamente, e solo dure lotte potevano modificare i rapporti di forza in modo da costringerli a desistere.
Così, il 1919 è stato l'anno della concessione delle otto ore non solo in Inghilterra, ma anche in altri Paesi. La Francia le concesse il 23 Aprile, in Germania, con l'avvento della Repubblica di Weimar, si ottenne lo stesso risultato, poi, a seguire, Austria e Cecoslovacchia. In Italia nel 1919 la FIOM conquistò le otto ore per i metallurgici, mentre i braccianti e i tessili le ottenerò di lì a poco.
Con il Regio Decreto n. 692 del 1923 (convertito in legge n. 473 il 17/4/1925) si estese a tutte le categorie l'orario di lavoro massimo di 8 ore giornaliere o 48 settimanali. Questo Decreto sotto il fascismo fu applicato raramente, e sappiamo che le conquiste delle lotte dei lavoratori non sono mai definitive; infatti, con l'avvento della crisi del 1929 e della Seconda Guerra Mondiale, i governi, sia "democratici" che dittatoriali, aumentarono l'orario di lavoro.
Finita la guerra, l'applicazione delle 48 ore non fu certo automatica, e in alcuni settori, con la scusa della ricostruzione, i padroni imposero ritmi e orari prebellici. I lavoratori, sia per ottenere nuove conquiste o riconquistare quelle perse, hanno sempre lottato, cercando di superare le divisioni che il capitalismo ha sempre cercato di esercitare sulla classe, e costruendo un'organizzazione forte e decisa a non cedere. Lo scontro con la borghesia non è mai stato facile, ed il percorso, anche solo per le riforme, non è mai stato scontato e definitivo.
Il proletariato, uscito massacrato dalla guerra, dopo aver pagato un prezzo altissimo in morti e feriti, e in condizioni di vita disastrose, cominciò a riorganizzarsi e lottare, e ancora la riduzione dell'orario di lavoro era un suo obiettivo, per disporre di maggior tempo libero e ridurre il suo sfruttamento.
Nel 1966 un'indagine sulla durata legale del lavoro in Europa fotografa le 48 ore settimanali in Belgio, Italia, Germania, Paesi Bassi. In Francia, invece, le 40 ore; comunque la tendenza sarà di avvicinarsi gradualmente ovunque alle 40 ore come in Francia. In Italia, le 40 ore, a seguito di forti e combattive lotte della classe operaia, verranno raggiunte in due soli rinnovi contrattuali, nel '69-'70 e la loro completa attuazione nel '72-'73. Il "sabato libero" divenne così una conquista generalizzata, esclusi ovviamente i settori di ciclo continuo e che svolgevano lavori di servizi pubblici (ospedali, trasporti,...).
In tutto questo c'è un altro elemento da tenere in considerazione, e cioè l'intreccio orario/organizzazione del lavoro/occupazione. La riduzione dell'orario, quando il Sindacato non riusciva ad esercitare un controllo sull'organizzazione del lavoro, dava al padronato la possibilità di recuperarla rapidamente attraverso l'intensificazione del lavoro, e quindi non si ebbero rilevanti conseguenze occupazionali.
Al contrario, negli anni '70 la forza sindacale impedì in larga misura di recuperare gli aumenti di produttività dalla pura intensificazione del lavoro, e quindi la riduzione dell'orario ebbe conseguenze positive anche sull'occupazione. Dopo la conquista delle 40 ore, in Italia il dibattito politico sindacale sulla redistribuzione del tempo di lavoro non riscontrò più particolare interesse, e l'attenzione pubblica rimase confinata negli ambienti accademici, se si esclude la proposta di legge sulle 35 ore presentata dal Partito di Rifondazione Comunista, che ha ripreso la rivendicazione di settori classisti del movimento operaio.
Non accadeva la stessa cosa in Europa, dove la riduzione dell'orario di lavoro divenne un punto dirimente della strategia sindacale nella fase di ristrutturazione dell'economia europea, all'indomani delle crisi petrolifere degli anni '70.
In Francia e in Germania, in particolare, la redistribuzione dell'orario di lavoro acquistava un ruolo importante nel contenere gli effetti della recessione economica. E' proprio la Francia, in cui l'orario di lavoro diminuì in misura maggiore, dove i lavoratori ottennero una riduzione nominale, alla fine degli anni Novanta, delle 35 ore settimanali. In Germania e Gran Bretagna si ottenero piccole riduzioni di orario in alcuni settori particolarmenti forti sindacalmente.
In Italia, in particolare, negli anni '80 abbiamo assistito ad un attacco continuo alle condizioni di lavoro, che ha minato nella sostanza, e in molti casi anche nella forma giuridica, la validità di certi diritti che sembravano acquisiti. Lo Statuto dei Lavoratori è stato progressivamente svuotato, l'art.18 in pratica cancellato, il diritto di sciopero fortemente attaccato e menomato. Lo stesso orario di lavoro è stato pesantemente deregolamentato, e le nuove generazioni stanno perdendo a poco a poco ogni diritto acquisito negli anni dal movimento operaio.
Oggi, non solo per i giovani impiegati nei bar e nei ristoranti, ormai è diventata normale la richiesta di lavorare 60-72, ed oltre, ore settimanali con paghe da fame, ma anche per i settori della grande industria, c'è il ricorso a straordinari obbligatori, flessibilità, concordata o meno, sabati e domeniche lavorative, e intensificazione del lavoro notturno. In questo modo, aumentando la produttività e diminuendo i salari, il capitale ha raggiunto il suo scopo di aumentare il profitto, e creare disoccupazione, lavoro precario e povertà.
Il capitale, tanto più investe in tecnologia, tanto più deve recuperare e valorizzare il suo investimento, e per far questo ha solo una strada: quella di aumentare il suo profitto, agendo sul lavoro, comprimendo i salari e l'occupazione, ed aumentando i tempi di lavoro. Per il proletariato una uscita dalla crisi è possibile solo attraverso la costruzione di una nuova, avanzata, stagione di lotte, che sappia rilanciare obiettivi concreti, come appunto la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario, per potere riconquistare, come classe, qualche potere all'interno delle fabbriche.
Le risposte non stanno in una soluzione nazionale, con la chiusura entro quei confini non si va da nessuna parte. Solo in un ottica internazionalista, superando le divisioni nazionali che il capitale vuole imporre (la guerra in Ucraina è ancora un'ulteriore prova che le divisioni del proletariato portano solo acqua al mulino capitalista), il movimento operaio può riappropriarsi del tempo rubato dal profitto capitalista.

Alternativa di Classe

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