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(13 Marzo 2023)
Ma queste sono le ragioni fornite dall’attuale CC per espellermi dal partito. Queste dicono:
1. «Egli non è fondamentalmente sincero quando riconosce i suoi errori di direzione opportunista avuta durante il periodo della grande rivoluzione cinese e non vuole riconoscere in che cosa consiste il suo errore fondamentale del passato. Di conseguenza è condannato a persistere nella sua passata linea sbagliata». In realtà mi espellono esattamente perché io ho riconosciuto in che cosa consiste l’errore della vecchia direzione opportunista e per il fatto che ho deciso di oppormi alla continuazione presente e futura degli orientamenti sbagliati.
2. «Egli non è stato d’accordo con le decisioni dell’Internazionale. Si rifiuta ostinatamente di andare a Mosca per essere formato dall’Internazionale». Sono stato formato a sufficienza dall’Internazionale. Ho commesso nel passato molti errori perché ho accolto le opinioni dell’Internazionale. Adesso sono espulso perché non sono stato convinto da quelle opinioni.
3. Lo scorso 5 agosto ho scritto una lettera al Comitato centrale nella quale erano riportate le seguenti espressioni: «In ultima analisi qual è la fondamentale contraddizione di interessi economici di classe tra queste due classi (della borghesia e dei latifondisti)? Prima e dopo l’insurrezione di Canton io spedii numerose lettere al Comitato centrale per precisare che il potere dirigente del Guomindang non sarebbe crollato come voi pensavate». «Al momento c’è qualche agitazione tra le masse, ma non abbastanza per qualificarla come sintomo di una nuova ondata rivoluzionaria. Un movimento completamente legale, beninteso, consisterebbe nel rinunciare al tentativo rivoluzionario. Infatti, in determinate condizioni, quando è necessario costruire la nostra forza, come diceva Lenin, “eccetto che in momenti di esplosioni particolarmente violenti, noi dovremo fare uso di tutti i possibili mezzi legali di questa fase transitoria”». Il Comitato centrale cambiò queste espressioni nel seguente modo ambiguo: «Non c’è nessuna contraddizione fra la borghesia e le forze feudali». «L’attuale classe dirigente non è sul punto di essere rovesciata e la lotta rivoluzionaria non tende a riprendersi ma declina sempre più. Egli sollecita l’adozione di forme legali».
Inoltre aggiunsero le virgolette a ogni frase in modo da farle sembrare mie citazioni. Questa è un’altra ragione della mia espulsione.
4. Ho scritto un’altra lettera al Comitato centrale il 10 ottobre affermando: «Il presente non è un periodo di ascesa rivoluzionaria ma un periodo controrivoluzionario. Dovremo elaborare delle parole d’ordine di carattere democratico come nostre consegne di ordine generale. Per esempio, oltre alla rivendicazione della giornata lavorativa di otto ore e della confisca della terra dovremo agitare gli slogan: “Annullate i trattati ineguali”, “Contro la dittatura militare del Guomindang”, “convocazione di un’Assemblea nazionale” ecc. ecc. È necessario stimolare l’azione delle grandi masse sulla base di questi slogan democratici; solo allora noi potremo scuotere il regime controrivoluzionario, andare verso una nuova ondata rivoluzionaria, e quindi sollevare i nostri slogan fondamentali come “Abbasso il governo del Guomindang”, “Instaurazione del regime sovietico” ecc. ecc., perché divengano le parole d’ordine attive di un movimento di massa».
Il 26 ottobre il compagno Peng Shuzhi ed io scrivemmo una lettera al Comitato centrale dicendo: «L’attuale periodo di transizione non va verso la rivoluzione e noi dobbiamo avere slogan politici generali adatti alla circostanza; solo così potremo conquistare le masse. Al momento lo slogan dei soviet operai e contadini è solo uno slogan propagandistico. Se intraprendessimo la lotta per organizzare i soviet assumendolo come slogan d’azione, non otterremmo alcuna risposta dal proletariato». Ma il Comitato centrale affermò che in luogo degli slogan «Abbasso il governo del Guomindang» e «Istituzione del regime sovietico» noi volevamo sostituire come slogan politico generale la richiesta di «Convocazione dell’Assemblea Costituente». Questa è un’altra delle ragioni della mia espulsione.
5. Scrissi in una lettera che avremmo dovuto denunciare «la politica di tradimento e di rapina del paese seguita dal Guomindang nei riguardi delle Ferrovie orientali cinesi», per portare «le larghe masse ancora animate da uno spirito nazionale a simpatizzare con noi e a rivoltarsi contro la manovra degli imperialisti che attaccano l’Unione Sovietica servendosi del Guomindang e prendendo a pretesto il problema delle Ferrovie orientali cinesi». Questa proposta veniva formulata affinché lo slogan della difesa dell’URSS attecchisse fra le masse. Ma il Comitato Centrale dichiarò che io volevo sostituire la parola d’ordine di opposizione alla politica di spoliazione adottata dal Guomindang alla parola d’ordine di aiuto all’Unione Sovietica. È un’altra ancora delle ragioni per le quali sono espulso.
6. Scrissi al Comitato centrale numerose lettere in merito ai seri problemi politici interni al partito. Il Comitato centrale si astenne dal comunicarle al partito per un lungo periodo. Più tardi i delegati del Comintern e del Comitato centrale mi dissero sinceramente che per principio opinioni politiche differenti non potevano essere espresse nel partito. Così dal momento in cui non c’è nessuna speranza di correggere gli errori del Comitato centrale attraverso una discussione regolare fra compagni, sostengo che non potrò essere legato alla abituale disciplina del partito e tantomeno dovrebbe essere impedito ai compagni di passare ad altri le mie lettere perché le leggano. Questa è anche una delle ragioni per cui sono espulso.
7. A partire dalla conferenza del 7 agosto il Comitato centrale non mi ha permesso di partecipare a nessuna riunione, né mi ha assegnato alcun lavoro da fare. Allora il 6 ottobre (solo quaranta giorni prima della mia espulsione) mi fu inviata all’improvviso una lettera in cui si diceva: «Il Comitato centrale ha deciso di chiedervi di porre mano al lavoro di pubblicistica del Comitato centrale nel quadro della linea del partito e di scrivere un articolo “Contro l’opposizione” nel volgere di una settimana». Poiché più di una volta avevo criticato il Comitato centrale per la sua persistenza nell’opportunismo e nel putschismo, si tentava di fabbricare delle scuse per espellermi dal partito. Ora io ho fondamentalmente riconosciuto che le idee del compagno Trotsky concordano con il marxismo e il leninismo. Come potevo essere capace di scrivere parole false, contrarie a ciò che penso?
8. Noi sappiamo che il compagno Trotsky si è opposto con decisione alla politica opportunistica di Stalin e Bucharin. Non possiamo prestare ascolto alle diffamazioni della cricca di Stalin e credere che il compagno Trotsky che ha diretto la Rivoluzione d’ottobre, fianco a fianco a Lenin, sia effettivamente un controrivoluzionario (ciò sarebbe «comprovato» dalle calunnie sollevate contro di noi dalla cricca stalinista cinese, Li Lisan ecc. ecc.). Per il solo fatto di aver parlato di Trotsky come un compagno, il Comitato centrale ci ha accusato «di aver già abbandonato la rivoluzione, il proletariato, di essere passati dalla parte della controrivoluzione» e ci ha espulso dal partito.
Compagni! Il Comitato centrale ha inventato queste false argomentazioni al fine di espellermi dal partito e bollarmi come un «controrivoluzionario» senza alcuna prova. Io credo che la maggioranza dei compagni non ha le idee chiare in merito a questo fatto. Lo stesso CC ha detto: «Potrebbero esserci alcuni che non comprendono ciò!» Ma essi mi hanno espulso e hanno dichiarato che sono passato dalla parte della controrivoluzione anche se alcuni compagni non lo comprendono. Nondimeno personalmente ho compreso molto bene perché essi ci accusano falsamente come «controrivoluzionari». Questa è l’arma escogitata dai cinesi fino ad oggi per attaccare coloro che dissentono da loro. Per esempio, il Guomindang accusa i comunisti di essere «controrivoluzionari» al fine di coprire i suoi misfatti. Chiang Kai-shek tenta di distrarre le masse con le insegne della rivoluzione, presentando sé stesso come la personificazione della rivoluzione. Coloro che gli si oppongono sono «controrivoluzionari» e «elementi reazionari».
Molti compagni sanno che le false ragioni che ho citato, sollevate dal CC per espellermi, non sono che scuse formali e ufficiali. In realtà sono ormai stanchi di ascoltare le mie opinioni espresse nel partito e le mie critiche sul loro costante opportunismo e putschismo nonché sulla esecuzione da parte loro di una politica fallimentare.
In ogni paese borghese del mondo ci sono sopravvivenze feudali e metodi di sfruttamento semifeudali (i negri e gli schiavi dell’arcipelago dei mari del Sud sono sottoposti a un sistema di schiavitù prefeudale) ed esistono resti di forze feudali. La Cina assomiglia a costoro. Nel corso della rivoluzione, naturalmente non li possiamo trascurare; ma il Comintern e il CC unanimemente sostengono che in Cina le forze feudali rimanenti ancora occupano una posizione dominante nell’economia e nella politica e costituiscono la classe dominante. Di conseguenza considerano queste sopravvivenze come l’obiettivo della rivoluzione e sottovalutano il vero nemico, il soppressore della rivoluzione, le forze della borghesia. Lasciano passare tutte le iniziative reazionarie della borghesia come azioni delle forze feudali. Essi sostengono che la borghesia cinese sia tuttora rivoluzionaria, che non potrà mai diventare reazionaria, che tutti coloro che sono reazionari non possono essere borghesi. Così non riconoscono che il Guomindang rappresenta gli interessi della borghesia, né che il governo nazionalista è il regime che rappresenta gli interessi della borghesia. La conclusione deve essere che al di fuori del Guomindang o della sua sezione di Nanchino vi è attualmente o vi sarà in avvenire un partito borghese non reazionario ma rivoluzionario. Conseguentemente ora, nella loro tattica e nella loro attività politica, essi semplicemente seguono i «riorganizzatori» e lavorano militarmente per rovesciare Chiang Kai-shek. Nella loro piattaforma essi dicono che il carattere della terza rivoluzione in futuro sarà sempre democratico borghese, opponendosi a qualunque cosa funzioni da ostacolo alle forze economiche della borghesia e rifiutando di lanciare la parola d’ordine della dittatura del proletariato[1]. Una tale illusione nei riguardi della borghesia e un tale persistente attaccamento ad essa non solo daranno luogo al perdurare dell’opportunismo passato ma l’approfondiranno. Ciò porterà inevitabilmente a un vergognoso e miserevole fallimento della futura rivoluzione. Se consideriamo lo slogan «stabilire il regime sovietico» come uno slogan per l’azione, possiamo lanciarlo solo quando le condizioni obiettive avranno riprodotto un’ondata rivoluzionaria. Non è possibile fare uso di esso in ogni momento e a proprio piacimento[2].
Nel passato durante l’ascesa dell’ondata rivoluzionaria, non abbiamo adottato gli slogan «organizzare i soviet» e «stabilire il regime sovietico». Naturalmente questo fu un errore grave. In avvenire, quando scoppierà la rivoluzione, noi dovremo immediatamente organizzare i soviet degli operai, dei contadini e dei soldati. Allora bisognerà mobilitare le masse alla lotta con lo slogan: «stabilire il regime sovietico». Inoltre dovrà essere il soviet della dittatura del proletariato e non il soviet della dittatura democratica degli operai e dei contadini.
Nel periodo presente poiché le forze controrivoluzionarie sono completamente prevalenti e non c’è crescita rivoluzionaria di massa, le condizioni obiettive per l’insurrezione armata e per l’insediamento dei soviet non sono ancora mature. Nel momento presente organizzare i soviet è solo uno slogan di propaganda e di educazione. Se lo adoperiamo come uno slogan per l’azione e mobilitiamo i lavoratori perché lottino per mettere subito in pratica «l’organizzazione dei soviet», certamente non otterremo alcuna risposta dalle masse.
Nella presente situazione dovremmo adottare lo slogan democratico «lotta per la convocazione dell’Assemblea nazionale». Le condizioni oggettive per questo movimento sono mature e al momento solo questo slogan può condurre vasti settori di massa attraverso la legalità della lotta politica, sia verso l’ascesa rivoluzionaria sia verso «l’insediamento di un regime sovietico».
L’attuale CC continuando il suo putschismo non segue questa linea. Essi pensano che il rilancio della rivoluzione sia maturo[3] e ci rimproverano per il fatto che consideriamo lo slogan «insediamento dei soviet operai e contadini» solo come uno slogan di propaganda; essi logicamente lo considerano come uno slogan per l’azione. Di conseguenza ordinano di continuo ai membri del partito di scendere nelle strade per dimostrazioni nei quartieri operai e impongono ai compagni che lavorano di scioperare. Ogni piccola battaglia quotidiana è ingigantita al livello di una grande battaglia politica, portando a un numero sempre crescente di defezioni dal partito da parte delle masse lavoratrici e dei compagni che hanno un lavoro.
Ma ancora di più, alla conferenza dei delegati di Jiangsu, è stato deciso «di organizzare un grande movimento di sciopero» e «insurrezioni locali». A partire dall’ultima estate ci sono stati tra i lavoratori di Shanghai dei sintomi di volontà di lotta ma, non appena apparsi essi sono stati distrutti dalla politica putschista del partito. Dopo di che, naturalmente, tutte queste lotte in tal modo andranno incontro a sconfitte. Se sarà applicata la risoluzione della conferenza dei delegati del Jiangsu, queste lotte dei lavoratori saranno annientate. Il nostro partito non è più la guida che aiuterà le prossime ondate di lotte rivoluzionarie dei lavoratori; sta diventando l’esecutore della distruzione delle lotte dei lavoratori alle loro radici.
L’attuale Comitato centrale, basandosi sinceramente sulla linea fallimentare del Sesto Congresso e ponendosi sotto la guida diretta del Comintern[4] sta applicando questa politica fallimentare e, combinando l’opportunismo e il precedente putschismo, liquida il partito e la rivoluzione. Poco importa se è stato il delegato del Comintern o il Partito Comunista cinese a commettere gli errori di opportunismo del passato e a far fallire la rivoluzione; è stato comunque un crimine. Ora questi errori sono stati pienamente individuati dai compagni dell’Opposizione, ma essi non riconoscono gli sbagli precedenti e coscientemente perseguono la stessa linea sbagliata di prima. Inoltre, al fine di coprire gli errori di pochi individui, essi deliberatamente violano le norme organizzative del bolscevismo, abusano dell’autorità degli organi supremi del partito, prevengono l’autocritica all’interno del partito, espellono numerosi compagni dal partito per avere espresso differenti opinioni politiche e deliberatamente spaccano il partito. Questo è il crimine dei crimini, il più stupido e il più vergognoso,
Nessun bolscevico dovrebbe temere un’aperta autocritica davanti alle masse. Il solo mezzo per il partito di conquistare le masse consiste nel praticare coraggiosamente l’autocritica e non di perderle per paura dell’autocritica. Mistificare i propri errori, come fa attualmente il Comitato centrale, significa certamente perdere le masse.
La maggioranza dei compagni ha compreso questi errori e la crisi del partito a vari livelli. Dal momento che non ci aspettiamo semplicemente di risolvere la nostra esistenza tramite il partito e dal momento che abbiamo un senso di responsabilità nei confronti del partito e della rivoluzione, ogni compagno dovrebbe alzarsi e fare una risoluta autocritica del partito al fine di sollevarlo da questa crisi.
Stare a guardare in silenzio senza combattere, mentre il nostro partito va rapidamente incontro alla distruzione, sarebbe certamente criminale!
Compagni! Noi tutti sappiamo che chi apre bocca per esprimere il proprio orientamento critico circa gli errori del partito viene espulso, mentre non si provvede alla correzione dell’errore. Ma noi dobbiamo soppesare le cose. Che cos’è più importante: salvare il partito dal pericolo o riuscire a salvare noi stessi, riuscendo a far escludere i nostri nomi dalla lista degli espulsi dal partito?
A partire dalla conferenza del 7 agosto, che ha adottato la «linea generale dell’insurrezione armata» e dopo le insurrezioni che sono seguite in numerosi luoghi, scrissi più di una lettera al Comitato centrale per evidenziare come il sentimento rivoluzionario delle masse non fosse a un livello elevato, come il regime del Guomindang non potesse essere rapidamente rovesciato e come le insurrezioni prive di condizioni obiettive indebolissero solamente il partito e lo isolassero ulteriormente dalle masse. Proposi che ci spostassimo da una politica di insurrezioni a una politica di conquista delle masse e di unificazione delle loro lotte quotidiane. Il Comitato centrale riteneva che le insurrezioni su vasta scala fossero una nuova linea capace di correggere completamente l’opportunismo e che, soffermarsi sulle condizioni obiettive delle insurrezioni e valutare come portare al successo le insurrezioni stesse, fosse un atteggiamento che riproduceva l’opportunismo. Naturalmente non presero mai in considerazione le mie opinioni e considerarono le mie parole come fossero un gioco. Essi le propagandavano dappertutto, dicendo che questa era la prova che io non avevo corretto i miei errori opportunistici. Allora ero legato alla disciplina organizzativa del partito e assunsi un atteggiamento negativo, rinunciando alla possibilità di scavalcare la testa dell’organizzazione e andare alla base per ingaggiare una lotta decisa contro la politica del Comitato centrale che stava distruggendo il partito.
Riconosco le mie responsabilità per questo. Dopo il Sesto Congresso avevo ancora una scarsa capacità di comprensione e ancora conservavo l’illusione che il nuovo Comitato centrale avesse ricevuto tante lezioni dai fatti che esso stesso si sarebbe ricreduto circa il fatto che non era necessario dopotutto seguire ciecamente l’erronea linea del Comintern. Persistevo nel mio comportamento negativo e non elaboravo alcuna teoria alternativa che provocasse un dibattito all’interno del partito, sebbene fossi fondamentalmente in disaccordo con la linea del Sesto Congresso. Dopo la guerra tra la cricca di Chiang Kai-shek e quella del Guangxi e dopo l’anniversario del movimento del 30 maggio, compresi chiaramente che il Comitato centrale avrebbe ostinatamente ribadito il suo opportunismo e il suo putschismo e che da solo non avrebbe mai cambiato: senza una larga e profonda discussione nel partito, dalla base al vertice, la politica erronea del nostro organismo dirigente non si sarebbe corretta. Ma tutti i membri del partito sono sotto il dominio e il controllo della disciplina del partito in uno Stato in cui «si osa essere adirati ma non si osa parlare».
A quel punto non potevo più sopportare di vedere il partito (creato nel sangue stesso di tanti compagni) andare alla distruzione e alla rovina, a causa di un’inadeguata e falsa linea politica. Così non potevo fare altro che cominciare a esprimere le mie opinioni dall’agosto in poi per definire le mie responsabilità. Alcuni compagni tentarono di dissuadermi, dicendo che i membri del Comitato centrale consideravano gli interessi di alcuni dirigenti più importanti degli interessi del partito e della rivoluzione, che essi avevano tentato in ogni modo di coprire i loro errori, che non avrebbero mai accettato la critica da parte di altri compagni e che, laddove io li avessi apertamente criticati, avrebbero trovato in ciò solo una scusa per espellermi dal partito. Ma il mio attaccamento al partito mi spinse ad impegnarmi risolutamente senza preoccuparmi dei miei stessi interessi.
L’Internazionale Comunista e il Comitato centrale si sono opposti per un lungo periodo ad ogni revisione dell’interpretazione del fallimento della rivoluzione cinese. E adesso, poiché ho continuato a criticarli, hanno inventato nei miei confronti questo giudizio: «Egli, cioè io, non è sincero nel riconoscere i propri errori opportunistici di direzione commessi durante la grande rivoluzione e non vuole riconoscere dove fossero i suoi errori precedenti, sicché inevitabilmente egli persisterà nella sua precedente linea sbagliata».
Queste espressioni descrivono accuratamente i loro autori. In realtà, se avessi potuto annientare la mia facoltà di pensiero e non preoccuparmi degli interessi del proletariato, se non avessi deciso di riconoscere i miei reali errori del passato e avessi scelto di fare il loro sporco lavoro e di consentire di proseguire la falsa linea, si sarebbero affidati come prima, con la penna e con la bocca, al vecchio opportunismo e mi avrebbero usato per colpire il cosiddetto trotskismo al fine di occultare i loro errori.
Come potevano espellermi dal partito?
Come posso, io che ho lottato contro forze sociali nemiche per gran parte della mia vita, accettare di fare un tale lavoro, confondere il vero con il falso? Li Lisan diceva: «Gli opportunisti cinesi[5] non vogliono comprendere in modo approfondito gli insegnamenti del fallimento della precedente grande rivoluzione, ma tentano di nascondersi dietro le insegne del trotskismo per nascondere i propri errori». In effetti, nei documenti del compagno Trotsky, le espressioni di biasimo nei miei confronti sono molto più dure di quelle di Stalin e Bucharin; e io non posso non riconoscere che gli insegnamenti della precedente rivoluzione da lui evidenziati sono completamente corretti e non possono in nessun modo respingere le sue parole di critica nei miei confronti. Sono pronto ad accettare la più severa delle critiche da parte dei miei compagni ma non sono disposto ad accantonare gli insegnamenti e le esperienze della rivoluzione. Preferisco persino essere espulso ora da Li Lisan e pochi altri, piuttosto che vedere il partito in crisi, senza un tentativo di salvarlo, ed essere biasimato in futuro dai membri del partito.
Sono pronto a sopportare con calma, un’accresciuta pressione delle forze sociali nemiche nel corso della lotta per gli interessi del proletariato. Ma non sono disposto a seguire ciecamente i settori di burocrati corrotti e crudeli!
Compagni! Io so che la mia espulsione dal partito decisa dal Comitato centrale è un’iniziativa di poche persone, con l’obiettivo di nascondere i loro errori. Essi non solo vogliono evitare a sé stessi il fastidio che suscitano le mie opinioni espresse nel partito, o quello di ascoltare la mia richiesta di un’aperta discussione sui problemi politici, ma anche dimostrare, tramite la mia espulsione, che tutti i compagni debbano tenere la bocca chiusa. So che l’insieme dei membri del partito non ha mai avuto l’idea di espellermi. Sebbene sia stato espulso da pochi dirigenti alla testa del partito, non c’è mai stata alcuna ostilità o cattiva disposizione tra i militanti e me. Io continuerò a servire il proletariato, fianco a fianco, con quei compagni che tanto nell’Internazionale quanto in Cina non intendono seguire la politica opportunista della cricca di Stalin.
Compagni! Gli attuali errori del partito sono tutt’altro che parziali o di ordine accidentale: come nel passato, sono la manifestazione dell’intera politica opportunista condotta da Stalin in Cina. I dirigenti responsabili del Comitato centrale del Partito comunista cinese che desiderano essere solo i fonografi di Stalin non hanno mai mostrato una coscienza politica e peggiorano di continuo: essi non possono essere salvati. Al Decimo Congresso del Partito russo (1921) Lenin disse: «Solo quando esistono all’interno del partito opinioni politiche fondamentalmente divergenti e non c’è altro modo per risolverle, allora i gruppi di frazioni sono opportuni». Basandosi su questa teoria, egli allora dirigeva la corrente bolscevica.
Ora, nel nostro partito, non è permessa altra via (legale o di aperta discussione) per superare la crisi del partito. Ogni membro del partito ha l’obbligo di salvare il partito. Dobbiamo ritrovare lo spirito e la linea politica del bolscevismo, unirci solidalmente e collocarci in prima linea dalla parte dell’Opposizione internazionale diretta dal compagno Trotsky, cioè sotto le vere bandiere del Marxismo e del Leninismo. Dobbiamo con decisione, coerenza e convinzione combattere l’opportunismo del Comintern e del Comitato centrale del Partito cinese. Ci opponiamo non solo all’opportunismo di Stalin e dei suoi accoliti, ma anche all’atteggiamento di compromesso di Zinov’ev e altri. Non abbiamo paura del cosiddetto «uscire dalle fila del partito» e non esitiamo a sacrificare ogni cosa al fine di salvare il partito e la rivoluzione cinese!
Con saluti proletari,
Chen Duxiu
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NOTE
[*]Commemorating Comrade Chen Duxiu, in Zheng Chaolin, Selected writings 1942-1998, Brill, 2023, pp. 111-114. Traduzione dall’inglese di Rostrum.
[**] Qui probabilmente l’autore si riferisce alla fondazione dei Corpi della Gioventù Socialista, dal momento che il Partito comunista di Cina venne fondato nel luglio dell’anno successivo [N.d.R.].
[1] Al momento attuale la rivoluzione cinese si trova in uno stato di riflusso. Può essere che l‘attuale movimento democratico difensivo possa portare verso la rivoluzione, ma questo movimento non è la rivoluzione. Per quanto riguarda il movimento dei Riorganizzatori anti Chiang, esso è semplicemente l’espressione di un conflitto interno al Guomindang reazionario. Non c’è alcuna possibilità che questo movimento possa essere considerato un movimento democratico. Solo quando il movimento di massa si sarà sviluppato a tal punto da rovesciare l’intero regime borghese del Guomindang potremo parlare di rivoluzione. Quando il Sesto Congresso dichiara che «l’attuale stadio della rivoluzione in Cina è uno stadio rivoluzionario», ci si dovrebbe in realtà riferire a quello che in futuro sarà la terza rivoluzione cinese. Poiché considerano l’attuale stadio come rivoluzionario, hanno adottato il confuso «Programma politico per l’attuale fase della rivoluzione cinese», cioè, le cosiddette dieci grandi richieste della rivoluzione cinese. Questo programma è semplicemente un misto di opportunismo e putschismo.
[2] Quando nell‘aprile del 1917 alcuni bolscevichi diretti dal Comitato di partito di Pietrogrado lanciarono lo slogan «Tutto il potere ai soviet» Lenin li redarguì dicendo che erano avventuristi perché era prematuro propugnare questa consegna.
[3] Recentemente il Comintern ha mandato delle istruzioni che affermano che le condizioni per il rilancio della rivoluzione cinese hanno raggiunto piena maturità. All’inizio, quando queste istruzioni furono ricevute, il CC del Partito comunista cinese pensò che ci doveva essere un errore di traduzione riguardo alla parola «maturità». Dopo che il testo originale fu esaminato dal dipartimento di propaganda, fu accertato che non c’era alcun errore durante la conferenza dei rappresentanti dello Jiangsu, citata precedentemente, anche una maggioranza dei delegati ebbe dubbi rispetto alle parole «maturità» e ci fu molta discussione. Successivamente, la costante insistenza dei membri del CC del Partito comunista cinese che erano presenti alla conferenza rivelò che il rilancio della rivoluzione cinese verso la piena maturità si era dato soprattutto nelle loro teste! (Probabilmente essi si riferivano al movimento dei Riorganizzatori anti Chiang come il rilancio della rivoluzione)
[4] La linea fallimentare adottata dal Sesto Congresso fu messa nero su bianco in risoluzioni che includevano passaggi tipo: «La fase attuale della rivoluzione cinese è di natura democratico-borghese»; «portiamo avanti la consegna della dittatura democratica degli operai e dei contadini»; «i contadini ricchi non hanno ancora perduto la loro natura rivoluzionaria…le lotte non dovrebbero essere indirizzate verso di loro», «in relazione allo stato attuale del movimento rivoluzionario e alla linea generale del Partito comunista cinese, sono del tutto evidenti dei sintomi di nuove rivoluzioni… Ci sono grandi possibilità di un’ascesa rivoluzionaria in una o più province e della formazione di un regime sovietico»; «una nuova ondata rivoluzionaria arriverà presto»; e così via. È esattamente questa linea fallimentare che al momento viene sostenuta dal Comitato centrale. Xiang Ying, Li Fuchun, He Mengxiong e altri elementi favorevoli al compromesso ritengono che le risoluzioni del Sesto Congresso siano corrette, solo che il Comitato centrale non le ha applicate correttamente. Questo evidenzia chiaramente che i fautori del compromesso non solo non capiscono la linea politica dell’Opposizione, ma nemmeno quella adottata dal Sesto Congresso sotto la diretta guida del Comintern. Ad ogni modo essi non hanno una loro linea.
[5] Per quanto riguarda la tendenza verso l’opportunismo, Li Lisan e quelli come lui non vogliono aiutare l’intero partito a comprendere gli errori della linea completamente opportunista. Sperano di usare gli organi di propaganda del partito e la loro autorità per indirizzare l’attenzione dei compagni su alcuni individui che servono come simbolo di opportunismo, al fine di determinare una sorta di psicologia di massa che dovrebbe consentire loro di sfuggire alle accuse di opportunismo. La loro propaganda in merito al putschismo è esattamente la stessa, dal momento che cercano di determinare nei compagni un’attenzione alla personificazione del putschismo rappresentate da Qu Qiubai, così da tenere lontano ogni riferimento al loro putschismo. Nel periodo Hangzhou (aprile-luglio 1927), Qu Qiubai in una relazione presentata al dipartimento contadino critica gli «eccessi» dei contadini e si riferiva al loro movimento come un’attività di vagabondi. Egli ordinò al quartiere generale del partito, a tutti i livelli, di seguire la politica generale del governo nazionalista. A seguito del colpo del 21 maggio, Changsha, il rappresentante del Comintern, Roy, disse: «Il Comitato centrale del Kuomintang è ormai controrivoluzionario!» Immediatamente Li Lisan sollevo la sua voce di protesta: «Quando il compagno Roy parla in questa maniera, invia una bara al Partito comunista Cinese». Cai Hesen cercò di disarmare i principali corpi di sorveglianza di Hangzhou in modo da evitare i conflitti con le truppe del Guomindang. Io vorrei chiedere che tipo di coscienza, che tipo di teoria tutto ciò riflette? Yang Yin e Luo Yinong mi hanno personalmente detto: «Quando Li Lisan era responsabile del Comitato della provincia del Guangdong, egli era più putschista di ogni altro compagno del partito».
Circolo Internazionalista "Coalizione Operaia"
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