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(29 Gennaio 2012) Enzo Apicella

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Repressione e militarizzazione della società
unica e vera religione di Stato

(13 Luglio 2023)

Editoriale del n. 3/2023 (giugno-luglio) de “il programma comunista”

Le lotte sociali sprigionatesi negli ultimi mesi in Gran Bretagna, in Francia, in Germania e nel cuore stesso degli Stati Uniti, i vasti movimenti di protesta scoppiati in paesi come l’Iran, le continue tensioni che attraversano l’insanguinato Medio Oriente e lo strategico Estremo Oriente, il malcontento esploso in settori giovanili (e non solo) per la preoccupazione di una “imminente” catastrofe ambientale e, certo non ultime, le fratture e contraddizioni sempre più aperte e profonde che si traducono in ripetuti scoppi di guerre e guerricciole in varie parti del mondo, sono tutti sintomi (alcuni fievoli ed effimeri, altri più acuti e inquietanti) del progressivo approfondirsi della crisi del modo di produzione capitalistico. Posta davanti alla realtà oggettiva della propria devastante agonia e istruita da ormai due secoli e mezzo di esperienza, la classe dominante è consapevole del fatto che il riapparire dell'aperta lotta di classe è una minaccia reale anche se ancora non immediata alla conservazione del proprio potere, fin qui esercitato attraverso le più diverse forme politiche e indipendentemente dal colore dei governi di volta in volta succedutisi. Così, completamente disinteressate e impotenti ad arginare questo processo sul piano concreto e reale, economico e sociale, le borghesie di tutto il mondo, attraverso gli Stati nazionali che ne sono l'articolato strumento di dominio, accelerano la tendenza a un progressivo irrigidimento delle proprie strutture di controllo e repressione – controllo e repressione che hanno sempre costituito una drammatica e sanguinosa realtà per la classe dominata (la nostra classe, il proletariato), ma che ora si fanno più espliciti, più diretti, fino a costituire un'unica e vera religione di Stato.

Nel corso del tempo, le costituzioni, i codici, le leggi su cui si regge il potere della classe dominante hanno rappresentato un elastico quadro di riferimento dai mobili confini, in cui regna la possibilità assoluta di mettere in pratica (dispoticamente) quel potere, a seconda delle necessità del momento. Per restare solo nell'ambito nazionale italiano (che nonostante tutto ha storicamente rappresentato una scuola e un modello per le necessità istituzionali di buona parte delle borghesie degli altri Stati nazionali), il famigerato Codice Rocco non faceva altro che riprendere le grandi linee delle precedenti legislazioni anti-proletarie di stampo liberale, per rafforzarle non solo secondo le esigenze dell’epoca fascista, ma soprattutto dello Stato imperialista resosi storicamente necessario: e proprio per questo quel Codice è passato in eredità al regime post-fascista, che se ne è servito come e quando più gli è servito. Cosa che continua a fare oggi, in un campo di interpretazione e applicazione che tiene conto sempre e soltanto delle urgenze di “difesa” del cosiddetto “ordine pubblico”, come è bene dimostrato dalla sequenza di decreti o “leggi speciali” che hanno nome, indipendentemente dal colore dell’esecutivo, Turco-Napolitano, Bossi-Fini e, più di recente, Minniti-Orlando, Salvini, Lamorgese, Piantedosi; o dalla pratica repressiva che, per limitarci all’ultimo ventennio, va da Genova 2001 alla Val di Susa alla gragnuola di misure repressive, legali e poliziesche, che ha colpito e insiste a colpire i lavoratori della logistica, e via di seguito, per culminare con l'applicazione del cosiddetto “articolo 41 bis” a ogni azione che vagamente ravvisi un'attiva insubordinazione all'ordine costituito...

D’altra parte, tanto per continuare con un esempio sempre italiano, l’articolo 42 della Costituzione (che le anime belle continuano a celebrare come la “più bella del mondo”!) non dichiara forse che la “proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”? Al di là dell’ipocrisia di espressioni come “funzione sociale” e “accessibile a tutti”, da quell’articolo può e deve discendere un ventaglio di misure repressive che vanno a colpire tanto il piccolo borseggiatore sull’autobus quanto il picchetto di lavoratori e lavoratrici schierati davanti alla fabbrica o al capannone, entrambi “proprietà privata” di individui o società più o meno anonime, oppure dello Stato. Lo stesso, naturalmente, avviene altrove, come dimostrano i casi della Legge Darmanin in Francia o delle più recenti leggi anti-sciopero promulgate in Gran Bretagna.

Proprio negli anni in cui veniva alla luce e faceva i primi passi la Costituzione italiana, noi scrivevamo:
“La critica rivoluzionaria, non lasciandosi incantare dalle apparenze di civiltà e di sereno equilibrio dell’ordine borghese, aveva da tempo stabilito che anche nella più democratica repubblica lo Stato politico costituisce il comitato di inte¬ressi della classe dominante, sgominando in modo decisivo le rappresentazioni imbecilli secondo cui, da quando il vecchio Stato feudale clericale e autocratico fu distrutto, sarebbe sorta, grazie alla democrazia elettiva, una forma di stato nella quale a ugual diritto sono rappresentati e tutelati tutti i componenti la società qualunque ne sia la condizione economica. Lo Stato politico, anche e soprattutto quello rappresentativo e parlamentare, costituisce una attrezzatura di oppressione. Esso può ben paragonarsi al serbatoio delle energie di dominio della classe eco-nomica privilegiata, adatto a custodirle allo stato potenziale nelle situazioni in cui la rivolta sociale non tende ad esplodere, ma adatto soprattutto a scatenarle sotto forma di repressione di polizia e di violenza sanguinosa non appena dal sotto¬suolo sociale si levino i fremiti rivoluzionari”1 .

Purtroppo, oggi siamo ancora parecchio lontani dai “fremiti rivoluzionari”. Ma lo Stato politico, braccio armato della classe capitalistica al potere, non ha mai cessato di attrezzarsi: il suo “serbatoio delle energie di dominio” ha continuato a riempirsi, grazie anche allo sviluppo delle tecnologie e a una progressiva militarizzazione della società a tutti i livelli – non escluso quello ideologico. Agli albori della pandemia, abbiamo subito ravvisato l’uso sociale che lo Stato ne avrebbe fatto, come prova generale di repressione in grande stile:
“Sia pure con modalità e tempi, in parte, diversi, la classe dominante di ogni paese ha infatti colto al volo quest'occasione per elaborare e mettere in pratica misure da stato d'assedio, che si proiettano ben oltre la contingenza del virus e prefigurano scenari, a essa ben noti per esperienza, sia di guerra di classe sia di guerra fra imperialismi – vale a dire, misure di terrorismo di Stato, tanto sul piano ideologico quanto su quello militare, di controllo del territorio. Oltre all’uso distorto e al limite della manipolazione di dati, statistiche e valutazioni spesso contraddittorie su morbilità e mortalità e ai continui litigi fra ‘esperti’, politici, tecnici, intellettuali, risuona da ogni mezzo di comunicazione il richiamo martellante alla ‘responsabilità collettiva’, alla’‘unità nazionale’, al ‘farsi Stato’ di ogni cittadino, all'esercizio del controllo sugli ‘altri’, spalancando la porta verso la pratica della delazione, oggi nei confronti di chi non rispetta pienamente le decisioni che vengono dall'alto, domani nei confronti di chi non s'identifica pienamente nello Stato e intende anzi combatterlo; e si accompagna, quel richiamo, alla pratica abilmente indotta della separazione e dell'isolamento dei singoli, del sospetto e della psicosi collettiva” 2 .

Ma, al di là dell’aspetto ideologico che certo non ci sorprende3, è nella materialità della vita quotidiana che cogliamo l’agire di questa unica e vera religione di Stato. Pensiamo alla sanguinosa repressione statale che di recente ha colpito i movimenti di massa in Iran, in Tunisia, in Egitto, in Siria; alla incessante carneficina delle popolazioni palestinesi a opera dello Stato israeliano; alle tecnologie per il riconoscimento facciale inaugurate dallo Stato cinese e adottate o in corso di adozione da parte di altri Stati; allo stillicidio di omicidi di proletari e sotto-proletari afro-americani da parte degli sbirri o alla pratica del respingimento militare degli immigrati oltre il confine, accompagnato dalla costruzione del muro atto a separare gli Stati Uniti dal Messico; alla ripetuta applicazione della legislazione detta “anti-mafia” alle lotte sociali in Italia, con reati di tipo associativo (“associazione per delinquere”) o con l’estensione del reato di “violenza” e “resistenza a pubblico ufficiale” a chi anche solo osa proteggersi dalle manganellate delle “forze dell’ordine”!...

È una tendenza irreversibile, che potrà essere contrastata solo con un diverso rapporto di forze. Ma ciò presuppone una ripresa delle lotte, non solo di difesa sociale ed economica, ma di attacco politico: una ripresa organizzata e diffusa a livello internazionale, secondo i tempi e le condizioni di ciascun segmento proletario nazionale.

Anche per questo, si rende necessario un organo di combattimento (in grado di rompere il monopolio della violenza degli Stati borghesi), che raggruppi i rivoluzionari delle metropoli e delle periferie imperialiste: il Partito Comunista Internazionale – un partito comunista che non sia un’impotente federazione di organismi locali, ma il centro di una coordinata direzione internazionale dell'inevitabile processo rivoluzionario a cui saranno costretti i proletari dell'intero pianeta.

Per non subire disarmati e passivi il dominio democratico dittatoriale della borghesia, al restauro e alla riorganizzazione di quest'organo di combattimento (che è unità di azione, organizzazione e tattica, programma, principi e teoria), vi chiamiamo, noi del Partito Comunista Internazionale (il programma comunista).





1 “Forza, violenza, dittatura nella lotta di classe”, in Prometeo, nn. 2 e 4 del 1946, 5 e 8 del 1947, 9 e 10 del 1948 (ora in Partito e classe, Edizioni Il programma comunista, Milano 1972, p.94)
2 “L’uso sociale dell’epidemia”, il programma comunista, n.2-3/2020.
3 “Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale. Le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l’espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio” (K. Marx-F. Engels, L’ideologia tedesca). È davvero inutile spendere altre parole sul ruolo dei mezzi di comunicazione di massa in tutte le loro articolazioni!

Partito comunista internazionale
(il programma comunista – kommunistisches programm – the internationalist – cahiers internationalistes)

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