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Nagorno-Karabakh: la borghesia risolve le dispute territoriali con guerre e deportazioni

(27 Novembre 2023)

il partito comunista

Il 19 settembre scorso l’Azerbaigian ha nuovamente lanciato un’offensiva contro la non riconosciuta internazionalmente “Repubblica dell’Artsakh”, che si estende nella regione del Nagorno-Karabakh, contesa con l’Armenia. Questa regione è un’enclave a maggioranza etnica armena, nell’ambito della più ampia regione del Karabakh, la quale è per il resto a maggioranza azera. La Repubblica di Artsakh contava interamente sul sostegno armeno, pur non essendo riconosciuta dall’Armenia.

Con l’ennesima guerra che ha interessato la regione dal dicembre 2022, il Nagorno-Karabakh è rimasto tagliato fuori dall’Armenia e dal resto del mondo, dopo che il corridoio di Lachin è stato bloccato dall’Azerbaigian, mentre le “forze di pace” russe hanno permesso solo la prosecuzione di un volume limitato di traffici. Tradizionalmente, la Russia aveva salvaguardato gli interessi armeni contro l’Azerbaigian, che invece è stato sempre sostenuto dalla Turchia. In questo caso però i russi non hanno dato alcun sostegno all’Armenia, che a sua volta non ha potuto dare alcun appoggio al governo armeno del Nagorno-Karabakh. Di conseguenza, quando l’Azerbaigian ha deciso di fare parlare le armi, la Repubblica dell’Artsakh è stata costretta ad arrendersi in un solo giorno e la regione è stata occupata dall’esercito azero. Per quanto la breve guerra abbia lasciato poche vittime, oltre 100.000 armeni sono stati costretti a lasciare la loro terra e a trasferirsi in Armenia.

Un secolo fa, i proletari rivoluzionari del Caucaso intendevano risolvere le dispute di confine tra le due nazioni in termini ben diversi. Il 1° dicembre 1920, due giorni dopo la vittoria del potere sovietico in Armenia, Nariman Narimanov lesse la seguente dichiarazione al Soviet di Baku a nome dei comunisti azeri: «L’Azerbaigian sovietico, che intende placare il fraterno popolo lavoratore armeno in lotta contro i dashnak, che hanno versato e stanno versando il sangue innocente dei nostri migliori compagni comunisti in Armenia e nello Zangezur, dichiara che d’ora in poi le questioni territoriali non causeranno mai spargimenti di sangue tra due popoli che sono stati vicini per secoli; i territori degli uezd [suddivisioni amministrative dell’impero zarista corrispondenti grosso modo alle province] dello Zangezur e del Nakhchivan sono una parte inalienabile dell’Armenia sovietica. Ai contadini del Nagorno-Karabakh viene riconosciuto il diritto alla completa autodeterminazione».

La dichiarazione aveva il senso di risolvere la questione in termini geografici piuttosto che etnici. I comunisti armeni risposero immediatamente riconoscendo l’autodeterminazione del Nakhchivan, dove prevaleva la componente etnica azera.

Già allora, però, il Commissariato russo delle Nazionalità manifestò una scarsa fedeltà ai principi dell’internazionalismo proletario. Così, la dichiarazione di Narimanov venne alterata, al punto di superare i limiti della falsificazione, da Sergo Ordzhonikidze, il quale collaborava col Commissario delle Nazionalità, Josif Stalin. Essa venne data alle stampe in modo distorto, sostenendo che anche il Nagorno-Karabakh era stato ceduto all’Armenia sovietica, gettando i semi della diffidenza e della futura ostilità tra i comunisti azeri e quelli armeni. Si creò così una situazione che favorì le tendenze “nazionalcomuniste” sia nel partito azero sia in quello armeno, mentre la sinistra internazionalista fu emarginata e condannata a diventare minoritaria. La disputa avrebbe in seguito contribuito a indebolire tanto le maggioranze della destra “nazionalcomunista” quanto le minoranze della sinistra internazionalista, aprendo la strada al dominio della fazione stalinista in entrambi i Paesi.

In seguito, demograficamente più grande e diplomaticamente più influente, l’Azerbaigian riuscì a tenere il Nagorno-Karabakh nei suoi confini e ad acquisire il Nakhchivan. Per alcuni decenni, sotto lo stalinismo, la questione rimase congelata.

Con la disintegrazione dell’Unione Sovietica negli anni ‘80 subito riemersero le tensioni nazionalistiche, contenute dal regime capitalista “sovietico” a uno stato di latenza. Nel 1988, il parlamento del Nagorno-Karabakh decise di fondersi con l’Armenia. Ben presto il conflitto nella regione divenne violento, con azeri e armeni che si accusavano a vicenda di massacri di civili. Nel 1991 si tenne un referendum per l’indipendenza, boicottato dalla popolazione azera della regione, e fu istituita la Repubblica di Artsakh. Nel 1992, la disputa sul Nagorno-Karabakh provocò una guerra su larga scala tra Azerbaigian e Armenia, in seguito denominata Prima guerra del Nagorno-Karabakh. Alla fine del 1994, l’Armenia aveva di fatto vinto la guerra, assumendo il pieno controllo della regione. La Russia mediava allora un cessate il fuoco e si concludeva la fase più sanguinosa del conflitto dopo quasi 40.000 morti da entrambe le parti mentre erano deportati oltre 200.000 armeni dell’Azerbaigian e 800.000 azeri dell’Armenia e del Karabakh, “ripulendo” l’Armenia e il Karabakh dagli azeri e l’Azerbaigian dagli armeni.

Ma gli scontri armati tra armeni e azeri nella regione continuarono anche dopo il cessate il fuoco, causando entro il 2009 circa 3.000 morti da entrambe le parti. Anche nella fase successiva, tra il 2010 e il 2019, gli scontri armati sono proseguiti, anche se non altrettanto sanguinosi, lasciando qualche centinaio di morti.

Le tensioni si sono riacutizzate nel 2020 con la seconda guerra del Nagorno-Karabakh, in cui l’Azerbaigian ha avanzato significativamente, grazie anche all’utilizzo di un armamento più aggiornato, fra cui i droni di fabbricazione turca. Ancora una volta, la Russia ha mediato un cessate il fuoco dopo un conflitto assai sanguinoso che ha provocato quasi 8.000 vittime.

Il cessate il fuoco non ha impedito tuttavia nuovi scontri di confine fra il 2021 e il 2022, portando infine al blocco della fine del 2022 e alla recente offensiva azera che ha finalmente “risolto” la questione del Nagorno-Karabakh cancellando la presenza degli armeni nella regione.

Certamente, il motivo principale per cui la Repubblica dell’Artsakh non ha potuto opporre resistenza all’offensiva azera è che la madrepatria non ha potuto sostenerla. La Russia ha fatto mancare il sostegno all’Armenia, che in precedenza le aveva permesso di vincere. Questo perché il governo armeno di Pashinyan si è avvicinato pericolosamente agli Stati Uniti, organizzando esercitazioni militari congiunte e firmando accordi che gli avrebbero imposto di arrestare Putin nel caso avesse messo piede in Armenia. Di conseguenza si può facilmente supporre che il governo armeno abbia sacrificato la sua repubblica satellite non riconosciuta del Nagorno-Karabakh come una pedina sulla scacchiera.

Tuttavia questa pretesa “soluzione” della questione del Nagorno-Karabakh porterà solo a nuove guerre, poiché ora l’Azerbaigian ha messo gli occhi sulla provincia dello Zangezur, che gli permetterà di collegare le sue terre con il Nakhchivan e, di conseguenza, con la Turchia. Dunque l’Armenia ha uno scopo preciso per impegnarsi in esercitazioni militari con gli Stati Uniti.

Nel Caucaso come altrove, i proletari non hanno da aspettarsi altro che massacri, distruzioni e deportazioni da parte dei governi borghesi locali e dei loro finanziatori imperialisti regionali e globali. Solo l’autentico comunismo internazionalista potrà sottrarre le masse proletarie all’influenza del veleno nazionalista. Soltanto il marxismo rivoluzionario può porre fine alle dispute fra i capitalisti delle varie nazioni e alle sanguinose guerre che non servono ad altro che a conservare il putrefatto, disumano e odioso regime borghese.

Il Partito Comunista Internazionale è l’unico erede della tradizione del comunismo che a suo tempo ispirò quell’Internazionale che perorava l’unità dei proletari in tutte le parti del mondo. Solo il nostro Partito può fare risorgere il gigante della rivoluzione e unire le masse lavoratrici del Caucaso e di tutto il mondo per superare ls ormai vergognosa opposizione di interessi nazionali, con il circolo infinito delle deportazioni, delle distruzioni, dei massacri.

Da "Il Partito Comunista" n. 425 (novembre-dicembre 2023)

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