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Addio, porcellum

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(1 Ottobre 2011) Enzo Apicella
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Modelli sociali e modelli politici

(25 Agosto 2006)

Una attenta analisi della situazione politica italiana e, più in generale, dell'Occidente Europeo ci indica come siamo già al “partito unico”: il centrosinistra al governo in Italia, Spagna, Germania, Gran Bretagna, forma, nella sostanza un blocco di potere, all'interno del quale i soggetti che lo compongono hanno assunto la logica della “coalizione dominante” governando in nome dei poteri forti dell'economia: siamo di fronte ad una evoluzione storica molto simile a quella che,a cavallo della I guerra mondiale, originò la dissoluzione della II internazionale.

All'interno di questo quadro è necessario riaprire, da sinistra, una dialettica politica, partendo da una ripresa d'analisi sul piano teorico, principiando dai punti più alti dell'identità che è stata costruita – volenti o nolenti, acquiescenti o oppositori- da quanti si sono mossi dentro, attorno, accanto ai partiti ed ai movimenti di trasformazione sociale che hanno contrassegnato il 900.

“Soviet più elettrificazione uguale Socialismo”: il vecchio motto leninano, di sostanziale stampo positivista, ha contrassegnato per oltre un secolo l'identità della sinistra marxista, nella convinzione che il libero dispiegarsi delle potenzialità del pensiero e dell'applicazione scientifica, avrebbero portato direttamente al compimento dell'edificazione del socialismo.

Una edificazione al riguardo della quale sarebbe risultato, alla fine, sufficiente la proposizione di modelli sociali, inseriti nell'ambito di una realtà statuale “forte”, capace di offrire le certezze di una regolazione dei meccanismi economico – sociali in senso strettamente egualitario.

Una regolazione “rigida” realizzata in nome del superamento delle distinzioni di classe.

Su queste basi, nella sostanza, si sono sviluppati i tentativi “storici” di inveramento statuale dei fraintendimenti marxiani, che hanno contrassegnato le cosiddette “rivoluzioni avvenute” del '900.

In sottordine è rimasto il tema dell'etica, in termini di definizione dell'orizzonte di senso da far assumere allo sviluppo scientifico e tecnologico.

La sottovalutazione del tema dell'etica ha portato, infatti, una parte del movimento politico sorto, in nome e per conto del marxismo, a considerare ineludibile e insuperabile la sconfitta di quei modelli statuali cui si faceva già cenno.

Una sconfitta dovuta, in realtà, all'assenza di un meccanismo di regolazione effettivo e funzionante del rapporto tra politica e scienza.

Un meccanismo di regolazione capace di contenere la non prevista affermazione del ritorno al meccanismo selvaggio del libero mercato che, appunto, stava (al contrario di quanto si riteneva a sinistra) al fondo dell'accettazione del pieno dispiegarsi dell'applicazione della ricerca scientifica in campo industriale (ed in particolare nel campo della ricerca a fini bellici).

Il pieno dispiegarsi dello sviluppo delle cosiddette forze produttive, non limitate da principi condivisi sul piano etico, ha prodotto il “mostro” del capitalismo globale che ci ritroviamo, oggi, davanti agli occhi.

Su questo punto è stata sconfitta l'idea di un Occidente socialista, o meglio l'idea di una esportazione e democratizzazione progressiva dei modelli rivoluzionari, usciti fuori nei “punti bassi” del sistema (la gramsciana“Rivoluzione contro il Capitale”).

E' mancato, nel tentativo di riformare l'assolutismo evidente nei già citati tentativi di inveramento statuale dei fraintendimenti marxiani del '900, il ritorno alla rivalutazione del concetto aristotelico di filosofia politica, posto contro la “scienza politica” di derivazione anglosassone.

Siamo stati tutti sconfitti, socialdemocratici e comunisti, sul terreno dell'accettazione del meccanismo di sostituzione dell'etica con la sociologia.

Una sconfitta subita dall'oggettivismo storicista nei confronti del soggettivismo, che ha provocato sbandamento e sindrome da abbandono, esplicitatasi attraverso la proposizione di due diversi modelli di azione politica.

Il primo modello, quello adottato dalla maggioranza, consiste nell'acquisizione piena e acritica della vittoria dell'avversario, cui rispondere tentando di impadronirsi dei suoi meccanismi (il famoso “governare da sinistra con le armi della destra”), muovendosi attraverso gli spazi concessi dall'”autonomia del politico”.

Questa linea appartiene, nella sostanza, tradizionalmente ai democratici USA ed è stata adottata dal New Labour e vagheggiata anche nell'ipotesi dell'Ulivo mondiale, che si vorrebbe trapiantare nel PSE, a partire dal futuro Partito Democratico italiano.

Il secondo modello di riferimento è quello rappresentato dall'idea del “rovesciamento” sostanziale delle ipotesi di fondo su cui si è basata la sinistra occidentale del '900 contestando, sempre attraverso l'utilizzo degli strumenti dell'autonomia del politico, l'idea della “crescita” e dello sviluppo delle forze progressive e contrapponendole la filosofia della decrescita, la contestazione dal basso dell'ipotesi globalistica, l'ipotesi di una “alleanza democratica” che non sviluppi più una “critica” all'esistente, ma limitata a temperare gli effetti più perversi dei meccanismi in atto nella relazione tra esigenze della conoscenza ed esigenze del mercato.

Il risultato finale di questa inedita alleanza che oggi, sul piano più propriamente politico, vediamo all'opera nei principali paesi dell'Occidente europeo, appare essere quello di un ritorno dell'accettazione dell'orizzonte nazionale; di una irreversibilità del meccanismo di comando politico imposto dai poteri più forti e concentrati dell'economia; dell'allontanamento definitivo di qualsiasi ipotesi, non solo di annullamento, ma soltanto di affrontamento positivo dei meccanismi che determinano il riprodursi delle diseguaglianze sociali.

In questo contesto cosa possiamo, allora, opporre?

Non possiamo certo pensare ad un ritorno su presunte ortodossie del passato e, nemmeno, possiamo limitarci ad un ritrarsi sdegnato dalla necessaria assunzione di una weberiana “etica della responsabilità”, che è invece necessario assumere proprio per prendere atto pienamente della sconfitta subita.

Dobbiamo recuperare una concezione “alta” del rapporto di alleanza sociale e politica: collocando questo rapporto al di fuori del recinto sociologico delle determinazioni delle classi sociali.

Deve essere impostato un processo di ricostruzione di identità, fondata sul “limite” da ricercare attraverso una definizione di natura etica dei principi regolativi da proporre allo sviluppo della tecnica ed alla crescita dell'economia, nel senso dell'interesse pubblico, della redistribuzione, della piena democrazia politica.

Orientare i fini del “fare” è un compito che tocca ancora alla politica, intesa nel senso indicato da Platone, di strumento destinato all'assegnazione dei fini e della proposta di un modello sociale.

Una sinistra, per ricominciare, non può non ricercare vie inedite verso il progresso, abbandonando le idee regressive di rassegnazione, portate avanti dai cosiddetti “no global” e dell'adeguamento della politica al puro movimentismo.

Una sinistra, per ricominciare, deve saper riproporre un'etica del governo dell'economia e della scienza insieme, concependo una politica posta davvero all'altezza di un mondo da governare.

Non è possibile ritrarci da questo livello di riflessione; non è possibile considerare la sconfitta come insuperabile; non è possibile limitarsi a riproporre antichi modelli di esercizio della politica, intesa semplicemente come ricerca degli strumenti adatti per esercitare il “dominio sociale”.

In precedenza alla proposizione di un modello politico serve, allora, la costruzione e l'identificazione di un modello sociale adeguato, laddove il traguardo dell'eguaglianza e dell'autogoverno sia posto in fondo ad un percorso di transizione, regolato da meccanismi flessibili di alleanza tra scienza ed economia, e tra politica e società, concretizzabili attraverso la proposizione di una “etica del limite”, non limitata ad una semplice “opposizione preventiva”, rivolta verso un esistente giudicato, a priori, immodificabile.

Si tratta, a mio modesto avviso, di una riflessione da avviare (ovviamente in termini assai più chiari e definiti di quanto non possa essere stato capace di fare, in questa occasione) tra coloro i quali pensano, ancora oggi possibile la costruzione di una soggettività politica diversa da quelle presenti sul mercato politico e fondate sull'oscillazione tra il rinserramento nelle antiche certezze (ormai superate dalla storia) e il totale adeguamento alla già definita “sindrome della sconfitta”.

Serve la costruzione di una nuova dialettica sociale.

Serve una nuova concezione del rapporto tra governo e rappresentanza politica.

Serva una precisa identità dei soggetti che si propongono di offrire modelli sociali adeguati ad una prospettiva di ripresa di un processo di radicale trasformazione dell'esistente, qui ed ora, in quel luogo decisivo della storia che rimane l'Occidente capitalistico.

Savona, li 24 Agosto 2006

Franco Astengo

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