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(10 Ottobre 2011) Enzo Apicella

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(Di lavoro si muore)

Angelo, 35 anni, si impicca. Era depresso. La paura di non poter più guidare l’autobus e di vedersi dimezzare lo stipendio ha fatto il resto

La strana legge di Trambus spa: dopo 6 mesi di malattia lo stipendio ti viene ridotto

(20 Settembre 2006)

Angelo Damiani aveva solo 35 anni quando ha deciso di togliersi la vita, due notti fa. Ha preso una corda, se l’è legata al collo e ha lasciato che lo strappo della caduta troncasse di colpo l’ultimo grido che gli soffocava la gola. Era nato il 27 giugno del 1971, viveva a Rocca Santo Stefano nel frusinate, dal 19 aprile del 1999 lavorava come autista per Trambus spa a Roma.

Da tempo però era in malattia e rischiava di vedersi dimezzato lo stipendio. Perché c’è una strana legge in quest’azienda romana (perché romano è a tutti gli effetti il suo unico padrone: il comune di Roma): dopo sei mesi di malattia, 180 giorni (Angelo ne aveva già 208) nell’arco di 42 mesi, la tua paga si “diversifica”, ovvero diventa più leggera, fino quasi a dimezzarsi. L’indipendenza sfuma, e questo, se per chiunque è un dramma, per Angelo è stato un passo in più verso il suicidio. «Poiché il patto esclusivo col comune di Roma - spiega un collega - richiede all’azienda Trambus di ricoprire ogni giorno un tot numero di chilometri, l’autista inidoneo (come viene definito chi per vari motivi non può più guidare) risulta improduttivo e anziché essere ricollocato da qualche altra parte, valorizzando le sue capacità, viene scartato come una merce guasta.

Al diavolo se ti rompi la schiena per anni su strade impossibili, in un lavoro usurante, costretto a restare in servizio come tutti gli altri, se vuoi arrivare alla pensione».

Depressione, questo il nome dell’ultima compagna che da anni viveva affianco di Angelo. Un’amica onnipresente, totalitaria, che dopo avergli fatto rinunicare alle gioie tipiche della sua età, capricciosa come solo un’amante gelosa sa essere, ha preteso da lui l’estremo sacrificio. Impossibile mettersi nella testa di un giovane che ha scelto di cancellare nell’oblio della morte ogni traccia di sé. A nessuno il diritto di farlo, se non ai suoi cari, che certo si tormentano cercando di capire il “perché” dell’estremo gesto.

A loro, solo, va il diritto di cercare tra le pieghe di una forse possibile ragione la strada che permette “a chi resta” di pacificarsi con una tanto orribile perdita. Per continuare a vivere, nonostante il vuoto che Angelo ha lasciato dietro di sé.

Tra le tante paure di quella sera, però, ce n’è una che riguarda anche chi di questa tragedia conosce solo la fine. Angelo aveva «paura di perdere il lavoro, paura di vedersi dimezzato lo stipendio di lì a poco, paura di non farcela più a continuare a guidare quel maledetto bus ogni santo giorno, in mezzo al traffico di Roma, paura di essere inidoneo per tutta la vita». Questo hanno raccontato i colleghi, che di Angelo conoscevano la depressione, il desiderio di non guidare più «con tutte quelle persone dietro e la responsabilità di condurle sane e salve su un mezzo pubblico per anche nove ore al giorno».

La voglia di essere messo a svolgere altre mansioni, dopo i lunghi mesi di malattia. Stanco di doversi svegliare ogni giorno alle 4 per essere al deposito di Portonaccio un’ora dopo. «Noi autisti siamo solo merce in mano agli squali dell’azienda, ma è lei in realtà che produce inidonei», racconta un’autista che quest’estate, a luglio, insieme ad altri 7 colleghi ha fatto uno sciopero della fame per otto giorni, accampandosi con una tenda di fronte a Piazza Venezia. Le loro richieste: essere ricollocati all’interno dell’azienda con altre mansioni a stipendio pieno, «perché il termine “inidonei” non è altro che una mistificazione della realtà. Siamo solo il frutto di una situazione lavorativa difficile, tutto il giorno su delle strade disastrate e trafficate, che ci fa invecchiare prima del tempo».

«Ora sembra che lo stipendio per noi - ci dice l’inidoneo ex autista ed ex scioperante - se eccediamo un certo numero, lo debba pagare in parte l’azienda, in parte i colleghi idonei con una detrazione sul “premio di risultato”». «Un’ingiustizia - dice un lavoratore - E poi succedono tragedie come quella di Angelo, un ragazzino, e tu non sai più a chi dare la colpa». «Per l’azienda noi non siamo altro che numeri di matricola, niente più», racconta indignato un uomo di 50 anni. Quella di Angelo, di matricola, era 30552. Quando si è ucciso aveva solo 35 anni.

Sara Picardo - Liberazione 20 Settembre 2006

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Commenti (4)

ODIO

SOLO L'ODIO DI CLASSE SEMPRE GIUSTIFICATO IN QUESTI TEMPI SCHIFOSI DI ORRORI DA PARTE DEI RICCHI, SOLO IL 29% DELLA POPOLAZIONE CHECCHE' SE NE DICA, PUO' EVITARE FATTI TANTO DISPERANTI..NOI SIAMO LA MAGGIORANZA, NOI SIAMO FORTI ABBASTANZA DI OBBLIGARLI A CEDERE, NOI ABBIAMO IL DIRITTO PER FARLO!
SALUTI COMUNISTI CARLO CORBELLARI

(23 Settembre 2006)

CARLO CORBELLARI

carlo1548@interfree.it

ci sono state smentite?

vorrei sapere in merito all'articolo se ci sono state smentite,poi perchè questa notizia è stata coperta e non publicata su altri giornali romani?
grazie

(30 Settembre 2006)

francesco

salsero19792002@yahoo.it

MA CHE LEGGE è............

anche mio padre vive una situazione simile. un autista che dopo 33 anni di autista su strada in seguito ad un infortunio sul lavoro si ritrova ad aver superato il limite di infortunio e malattia e adesso ad un passo dalla pensione essendo INIDONEO rischia il licenziamento perchè l' azienda non ha altre mansioni essendo ditta autotrasporti. Mio padre sicuramente supportato dalla famiglia non ha mai pensato a gesti estremi però la depressione l'ha colpito anche perchè una persona dinamica rimanendo costretto a casa per la degenza a casa tra l'obbligo delle ore di reperibilità della malattia e l'impossibilità di deambulare ma posso capire angelo e la sua disperazione e mi rendo conto delle ingiustizie che inondano il mondo del lavoro.èassurdo

(15 Gennaio 2007)

dafne71

dafne711@hotmail.it

mia madre ha fatto lo stesso

non sono riuscita a leggere tutto l'articolo ma secondo me angelo aveva dei gravissimi problemi che andavano oltre la questione del lavoro.

mia madre si è impiccata dopo anni, anzi decenni di continue sofferenze mentali durante i quali spesso perdeva completamente la lucidità. più che un consiglio è uno sfogo verso la società che sottovaluta questi problemi e verso i medici che minimizzano il tutto dicendo la solita frase "tanto se lo dice non lo fa". mia madre lo diceva sempre e poi l'ha fatto

(1 Agosto 2008)

vic

vick.dina@gmail.com

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