">
il pane e le rose

Font:

Posizione: Home > Archivio notizie > Stato e istituzioni    (Visualizza la Mappa del sito )

No TAV

No TAV

(29 Gennaio 2012) Enzo Apicella

Tutte le vignette di Enzo Apicella

costruiamo un arete redazionale per il pane e le rose Libera TV

SITI WEB
(Storie di ordinaria repressione)

  • Senza Censura
    antimperialismo, repressione, controrivoluzione, lotta di classe, ristrutturazione, controllo

Catania, sotto choc dopo il fermo di polizia

E’ capitato in un commissariato a un anarchico di 27 anni. Costretto a spogliarsi, poi botte e insulti. Non sarebbe la prima volta

(23 Dicembre 2006)

Tre ore in un commissariato di Catania. Tre ore d’inferno.
Botte sulla schiena, insulti.
E alla fine, dopo essere stato costretto a spogliarsi, una pistola appoggiata sullo sfintere. «Ti piace, frocio?».

Sembra che a fare incazzare di più i ”tutori dell’ordine” sia una scritta tatuata: ”Carlo vive”. Chi pesta è convinto che «abbiamo fatto bene ad ammazzarlo».

Qualcuno adesso storcerà il naso per un racconto così diverso dalle fiction piene di poliziotti buoni e corretti.
Ma se fosse andata proprio così? E in un periodo dell’anno in cui arrivano i nuovi calendari, si provi a immaginare un pestaggio compiuto proprio con un almanacco di quelli sistemato sulla schiena del malcapitato per non lasciare segni.
Botte, pare, con la paletta d’ordinanza messa di taglio.
E i pollici sotto le ascelle a premere sui nervi per fargli tenere le spalle ben alzate.
Così viene riferito a Liberazione, che, intanto, ha fatto rimbalzare la storia ai gruppi parlamentari del Prc per un’interpellanza.

Comunque, al pronto soccorso i segni li hanno trovati, eccome. Ce lo ha portato di corsa un compagno avvocato che aveva passato il pomeriggio a cercarlo.
Catania.

Città dei ”Cavalieri del lavoro”, città di destra, dove un dirigente della ragioneria comunale è inquisito per mafia, con la polizia che lascia correre, chiudendo tutti e due gli occhi, rispetto alle aggressioni fasciste.

Città in cui un partito, l’Udc, che ha il record di inchieste per collusioni con la mafia, è il partito di Cuffaro, ha un chiodo fisso: far chiudere i due centri sociali rimasti, l’Auro e l’Esperia.

Città in cui un ventisettenne, disoccupato, cammina nel primo pomeriggio di un qualsiasi lunedì.

Via dei Crociferi, centro città, strada di pub. Il ventisettenne è un anarchico conosciuto, cresciuto in un quartiere popolarissimo, da una famiglia problematica.

La volante lo vede, accosta. «Tu qua non ci puoi stare perché sei una merda, uno schifoso». Chi vede il ”prelevamento” avverte subito altri attivisti che iniziano il giro delle ”sette chiese”, tra i commissariati, per capire cosa stia succedendo.

Più di tre ore dopo il mistero sembra sciogliersi.
Dal Commissariato di S.Cristoforo viene riferito che è stato rilasciato ma è indagato per il possesso di un martelletto rompivetri che, comunque, non sarebbe proibito a chi, come lui, non abbia mai avuto a che fare con reati specifici contro il patrimonio.
Ma il ventisettenne, ex cameriere, è sotto processo per un altro reato: il lancio di una molotov contro il muro di una caserma dei carabinieri alla vigilia di una manifestazione antifascista.
“Forza Nuova” aveva annunciato sfracelli contro l’aborto. Il clima non era dissimile da quello attuale. Nessuno sa se davvero sia stato lui, mica l’hanno colto in flagranza ma si cerca di cucirgli addosso l’accusa gravissima di terrorismo.

Però il processo va a rilento. Qualcuno forse avrebbe preferito una condanna rapida. Così, secondo il racconto fatto a Liberazione sarebbe iniziata una vera e propria persecuzione.
Non sarebbe la prima volta, infatti, che Giuseppe diventa ”desaparecido”.
Molto probabilmente anche l’ultimo lavoro l’ha perso per la presenza invasiva degli inquirenti.

Arduo stabilire il confine tra la persecuzione e la reale attività istruttoria.
Ora il ventisettenne, protagonista suo malgrado di questa storia cilena, o forse sarebbe più giusto definirla genovese, è sotto choc. Sconvolto.

Chi ha raccolto il suo terrificante racconto, dunque, lo ha trovato in lacrime e lo ha portato in ospedale dove gli sono state riscontratate contusioni sul fondoschiena e sul costato, lividi, tensione muscolare proprio in corrispondenza dei punti dove sarebbe stato pressato per tenere la schiena dritta.

E ora piscia pure sangue quel ragazzo che dice di essere stato picchiato gratuitamente, senza che abbia neppure provato a opporre resistenza.
Che ci siano state percosse nell’incontro ravvicinato con alcuni agenti, stando al referto del pronto soccorso, non ci sarebbero dubbi.
Non c’è bisogno neppure della denuncia, viene spiegato, perché il reato è di quelli perseguibili d’ufficio.
Per un attivista locale di Rifondazione, che è anche avvocato, è, ormai «la fine di ogni diritto».

«Gl’è andata meglio che a Federico Aldrovandi – commenta Haidi Giuliani, senatrice del Prc - ha ragione l’avvocato: se si continuano a tollerare certi atteggiamenti è la fine di ogni diritto.
Come si fa a chiedere a tutti i ragazzi senza la divisa, compreso il ventisettenne catanese, che bisogna rispettare le leggi, quando ci sono dei tutori dell’ordine che sono i primi a offenderle?».

Checchino Antonini
“Liberazione” del 21-12-06

Fonte

Condividi questo articolo su Facebook

Condividi

 

Notizie sullo stesso argomento

Ultime notizie del dossier «Storie di ordinaria repressione»

Ultime notizie dell'autore «Liberazione»

Commenti (1)

Forme di violenza

L'articolo che ho appena letto di Checchino Antonini, sulla violenza al commissariato di Catania, mi ha colpita particolarmente. Per prima cosa perchè è in sè un fatto riprovevole, che non ha niente a che vedere con la ricerca della giustizia, ma è esattamente il suo contrario: è proprio "la fine dei diritti", com'è stato detto nel corso dello stesso articolo, riportando le parole di Haidi Giuliani. La seconda cosa, ma non meno importante, è che a un mio carissimo amico, tanti anni fa, è successa una tragedia simile ma non è stata fatta giustizia e lui ancora porta i segni di questa violenza fisica e psicologica. Dopo un grave atto di criminalità accaduto all'estero, invece di essere soccorso dalla polizia, è stato invece "imputato" per la stessa violenza che aveva subito. Spesso mi chiedo se sia possibile rivolgersi all'Iterpol per chiedere aiuto nella risoluzione del caso, per cercare i colpevoli, ma subito dopo mi rispondo che sarebbe inutile. Perchè mi aspetto una risposta negativa in partenza, uno scoraggiamento a proseguire. Da anni mi chiedo se ci sia davvero una giustizia, e mi amareggia particolarmente il cinismo della gente che guarda film violenti divertendosi per fatti che per me sono solo l'apertura di una vecchia ferita. Questa ferita gigantesca si riapre ogni volta che sento di fatti come quelli che la voce del giornalista ha descritto. L'unica cosa che riscatterebbe me e il mio migliore amico, sarebbe la consapevolezza che fosse possibile cercare giustizia, non vendetta personale, attraverso delle forze di polizia capaci di ascoltare chi, avendo subito una grave aggressione, porta dei danni psicologici permanenti. Certi traumi nessuno potrà mai cancellarli, ma almeno questa sofferenza potrebbe essere mitigata da un atto di ascolto e di ricerca. Da un atto di onestà e di altruismo istituzionale, attraverso un'etica che le forze dell'ordine dovrebbero avere e che - appena rischiarata dal lume di una candela - io vedo in un sogno idealista, ma non nella realtà. Vorrei vedere una vera luce sulla statua della giustizia, soprattutto i due piatti della bilancia esattamente allineati. Per tutti. Anche per lui.

(27 Dicembre 2006)

Manuela Calvieri

jasnaja.poljana@cheapnet.it

7874