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Atlantismo e interventisimo

(23 Gennaio 2007)

Nello svolgere un tentativo di ragionare politicamente su Vicenza e dintorni e Afghanistan e dintorni, potrebbe risultare facile cavarsela con l'antico motto marxiano: “la storia, quando si ripete, si ripete in farsa”.

La politica estera del governo di centrosinistra appare, infatti, vieppiù in continuità con quella del centrodestra (ricordate la polemica sul Libano?) e, ancora, con la politica estera dello stesso centrosinistra tra il '96 ed il 2001: appaiono davvero fuori luogo quelli che gridano “non vi abbiamo eletti per questo”; affermare che ciò che accade in questi giorni era fin troppo facilmente prevedibile appare di nuovo un “escamotage” semplicistico ( non a caso, senza reclamare nulla, fin dalle prime avvisaglie dell'accordo tra Rifondazione Comunista e il centrosinistra si principiò , da qualche parte, a proporre una “sinistra non governativa”).

Una politica estera, quella dei governi succedutisi alla guida del Paese dal post – Muro di Berlino in avanti, riassumibile in due punti: atlantismo, di stampo degasperiano e interventismo, di taglio cavouriano.

Insomma due vecchissimi arnesi della politica estera ottocentesca, usati sulla base dei consueti ragionamenti del “senso di responsabilità”, del “non isolamento” e via dicendo; senza alcuno sforzo di andare a vedere a fondo ciò che stava mutando nel quadro internazionale, a partire proprio dalla caduta dei regimi dell'Est, dal dissolvimento dell'URSS, dall'assunzione da parte degli USA del ruolo di unica superpotenza mondiale.

Ecco: è mancata l'analisi di ciò che è cambiato; la sinistra italiana (ed europea) ha ragionato in termini di governo dell'esistente, ha rinunciato a vedere il futuro, ha sbagliato le previsioni.

Un dato, questo dell'assenza di analisi, che ha coinvolto anche gli oppositori: di modo che, sul terreno dei movimenti, ci si è mossi in linea con slogan di contestazione, senza riuscire ad afferrare i nodi veri.

In primo luogo è mancata la percezione circa il ritorno della guerra come strumento fondamentale per la risoluzione dei conflitti: così la superpotenza ha inteso giocare sullo scacchiere internazionale, a partire dalla guerra dei Balcani del 1991. La guerra è apparso lo “strumento di gestione” della politica estera USA immediatamente, nella fase dello scioglimento dei blocchi contrapposti.

In secondo luogo la scomparsa del confronto Est – Ovest ha modificato anche ruolo e natura del rapporto Nord – Sud (forse un socialdemocratico come Willy Brandt, nel suo libro del 1980, aveva già avanzato alcuni elementi di intuizione purtroppo trascurati).

Si sono spostati i riferimenti: dalla centralità del Mediterraneo nei rapporti Europa – Medio Oriente, ci è spostati verso Est, con l'irrompere diretto degli USA sul terreno, il ritorno di Israele ad assumere la funzione di “esportatore di guerra” (come nel caso del Libano: questo è stato il vero punto di dissenso sulla questione), il tentativo di formazione di una unica base, al servizio della superpotenza, dal Medioriente al Corno d'Africa.

In questo ambito la vicenda afgana assume una centralità (non inedita: basta tornare a leggere Engels) cui prestare grande attenzione: sarà attraverso la massiccia presenza militare dell'Occidente in quel paese che potrà essere possibile accerchiare l'Iran, che rimane il vero bersaglio della “seconda fase” (se si può definirla a questo modo) della guerra irakena.

Soltanto “buonisti illusi” o cinici detentori del potere possono ormai parlare di rapporto Nord – Sud in termini di cooperazione internazionale, aiuti umanitari, ecc: la situazione appena descritta impone un ragionamento in termini di schieramento, di proposta di politica estera anche in chiave di gradualità e di appoggio concreto a situazioni di resistenza alla logica della superpotenza ( smontando, concretamente, la favole dello scontro di civiltà, e analizzando compiutamente il fenomeno del fondamentalismo, sia in chiave di ruolo delle masse, sia rispetto al tema del terrorismo).

La seconda grande annotazione da far emergere in questa occasione riguarda l'assoluta assenza dell'Europa come soggetto politico, e l'altrettanto inanità della sinistra europea (anche quella più radicale) ad assumere questo elemento come punto di battaglia politica: una storia che ha almeno due matrici, quella ideologica – che sta nella storia delle forze comuniste europee – di incapacità a delineare una propria identità effettivamente internazionalista, schiacciate come sono state per decenni dal proprio nazionalismo di derivazione staliniana (anche nel senso dell'accettazione della logica di Jalta), quella del programma politico che, tradizionalmente, ha sempre escluso l'idea dell'Europa come punto di riflessione e di battaglia (eppure sarà ciò che accadrà ad Ovest, nei “punti alti”, che determinerà lo sviluppo del futuro).

Certo: si presentano altre questioni sullo scenario mondiale. Dall'Estremo Oriente al Sud America. Questioni che meritano il massimo dell'interesse e della capacità d'analisi.

Gli elementi decisivi, però, a mio modesto avviso, appaiono quelli che ho appena cercato di descrivere, nell'ambito – ovviamente – di una crisi verticale degli strumenti politici tradizionali e del modificarsi del processo di globalizzazione, soprattutto sotto l'aspetto comunicativo che meramente economico.

Per quel che riguarda l'Italia vale la pena soffermarsi su di una ultima annotazione, riguardante il nostro quadro politico: la diversità tra gli ultimi anni'90 del secolo scorso, sta nel passaggio al governo di una parte di quella sinistra politica che pure, alla logica di guerra espressa dai governi di centrosinistra di allora, aveva saputo opporsi.

Un fenomeno da non trascurare, da non considerare semplicisticamente come “politicista”, da relegare alla categoria dell' “autonomia del politico”, anche perché coincide con il definitivo sfaldamento di Rifondazione Comunista, sul piano dell'espressione di un minimo di identità politica autonoma.

Tutto ciò reclama l'apertura di una discussione tra quanti condividono, in linea di massima, questo tipo di valutazioni e soprattutto richiede, almeno, la formazione di un nucleo d'identità che, all'interno del movimento di opposizione che si sta sviluppando,che reclami un salto di qualità nella proposta di politica estera, in nome di un rinnovato internazionalismo e di un pacifismo posto in grado di vedere (attraverso l'analisi) la gradualità dei passaggi necessari, per costruire una forza adeguata a controbattere, appunto, i vecchi arnesi di cui continua a dotarsi il centrosinistra di governo: atlantismo e interventismo.

Savona, li 21 Gennaio 2007

Franco Astengo

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