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I FONDAMENTALI DELLA FILOSOFIA POLITICA: SIAMO ANCORA NANI SULLE SPALLE DI GIGANTI?

(14 Aprile 2014)

Quale rapporto esiste ancora tra i fondamentali tracciati sul tema della filosofia politica nel mondo antico greco – romano e la cosiddetta e presunta “modernità”?

Non si tratta di una domanda retorica ma del cercare di stabilire alcune coordinate di fondo ancora valide oggi in una fase di totale smarrimento dell’identità dell’agire politico così come questo è stato portato avanti ,in particolare nell’Occidente, almeno dall’illuminismo in avanti.
Insomma: siamo ancora nani sulle spalle d giganti oppure siamo stati sbalzati violentemente a terra, privi di appoggi?
Questi interrogativi sono sorti dalla lettura di un saggio di Federico Pezzoli apparso nel contesto della storia dell’antichità curata da Umberto Eco per la “Biblioteca di Repubblica – L’Espresso”: saggio che si assume come punto di riferimento per questa riflessione.
Il pensiero politico antico era caratterizzato da una forte componente etica e ricostruibile da una grande varietà di fonti, molte delle quali frammentarie.
Un pensiero politico che è sempre stato legato alle condizioni storiche, istituzionali e sociali dell’epoca, concentrandosi soprattutto su quattro temi (su questi punti vale, infatti, il raffronto nel tempo e soprattutto nell’attualità):
1) L’individuazione della miglior forma di governo;
2) La natura e la qualità del politico;
3) Il rapporto tra governanti e governati;
4) L’utilità della vita comunitaria per la raggiungere la virtù o la felicità.
S’impongono a questo punto ancora alcune precisazioni, fondamentali per comprendere sia la filosofia politica antica in senso stretto sia il pensiero politico antico.
Appare ovvio considerare che la “politica degli antichi” non può essere quello “dei moderni”: ciò significa che i filosofi politici antichi non concepivano la politica come un’analisi teorica e oggettiva del funzionamento dello stato, inteso modernamente come entità “altra” rispetto alla comunità dei cittadini, ma come un sapere volto a comprendere e a influenzare la prassi e a rendere i cittadini virtuosi; questo spiega l’attenzione per temi come quelli della natura della virtù e in particolare della giustizia (che oggi rientrano nell’ambito propriamente etico) e l’attenzione per virtù che hanno modo di manifestarsi soprattutto nel contesto civico.
Un altro aspetto da tenere presente è l’uso di una terminologia comune a quella impiegata nel mondo moderno: libertà, eguaglianza, giustizia.
Ma l’eguaglianza riguarda precise categorie, definite diversamente a seconda del sistema politico: nella democrazia ateniese il concetto di cittadinanza implicava, ad esempio, un forte grado di partecipazione attiva e si distingue dal tipo di cittadinanza fondata sul concetto di rappresentatività politica delle democrazie moderne.
E’ con Aristotele che si sviluppa, proprio sul piano specifico del pensiero politico, una vera e propria svolta che, con linguaggio moderno, si potrebbe definire come d’individuazione delle “fratture sociali” sulle quali fondare l’azione politica organizzata, nelle diverse forme.
Aristotele individua il prevalere della mentalità scientifica e pragmatica: nell’Etica Nicomachea si afferma, infatti, che la politica è una scienza pratica e nella Politica si ribadisce cosa sia la polis e che cosa il cittadino e quali sia la forma politica e il tipo di educazione che permettono al massimo grado il raggiungimento del fine (telos) della città ma, dall’altro, anche l’esigenza di classificare e sottoporre a esame le costituzioni esistenti e di studiare quali siano i fattori che contribuiscono alla conservazione o al mutamento di un sistema politico.
Aristotele predilige una Costituzione all’interno della quale, in luogo dell’affermazione riguardante l’esistenza di un individuo superiore agli altri in virtù, le leggi siano sovrane e permettano un esercizio giusto del potere.
Lo spartiacque nell’esercizio del potere è tracciato tra forme di governo corrette: regno, aristocrazia, politeia (costituzione/diritto di cittadinanza) e quelle considerate “deviate”: tirannide e oligarchia.
Rimane fondamentale, però, la conclusione che viene tratta, sotto questo profilo, nel libro III della “Politica”, in cui riflettendo sul fenomeno della “stasis” all’interno della “polis” greca, vi si ravvede la necessità di stabilire una norma oggettiva, adottando il criterio socio economico ricchi/poveri per classificare le costituzioni e la proposta di una forma come la “politeia”, in cui coesistono oligarchia e democrazia e in cui le due componenti sociali cercano in un qualche modo una mediazione, a dimostrazione dell’analisi riguardante l’effettiva profondità delle tensioni tra ricchi e poveri.
Siamo di fronte a un’anticipazione di un’ipotesi di fondamento costituzionale della contraddizione di classe? Sicuramente no, ma l’idea stessa della contraddizione sicuramente la si ravvede all’interno del quadro di riferimento dell’epoca.
Non si è tentato naturalmente, in un’occasione come questa, di semplificare il complesso itinerario della formazione del pensiero politico nella storia ma semplicemente di riaffermare la necessità di guardare al passato la cognizione di causa .
Senza una continuità di pensiero sarà impossibile realizzare un qualsiasi rinnovamento : un’affermazione svolta con qualche forzatura e con qualche elemento di provocazione, d’accordo.
Forse, però, i tempi in cui stiamo vivendo richiedono di più l’espressione di forzature e provocazioni piuttosto che l’esercizio di una pazienza passiva.

Franco Astengo

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