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(Imperialismo e guerra)

NEL CENTENARIO DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE SMARRITA LA NOZIONE DI IMPERIALISMO

(8 Luglio 2014)

john

John A. Hobson

A distanza di cent’anni la memoria può giocare brutti scherzi: nella ridda di celebrazioni in occasione del secolo trascorso dallo scoppio della prima guerra mondiale sembra essersi smarrita la nozione di imperialismo che pure fu alla base delle ragioni per le quali si sviluppò quel gigantesco conflitto.
Nel senso dello smarrimento della memoria si distingue, com’è ormai sua abitudine, il presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano che, nei suoi discorsi, sparge a piene mani il sale del nazionalismo: sembra davvero impossibile che una persona capace di usare questo tipo di retorica sia stato per decenni ai vertici del Partito Comunista Italiano, un partito nato – tra l’altro – con l’impronta dell’internazionalismo proletario che pure ne rappresentò un elemento teorico portante per un lunghissimo periodo, anche successivamente alla scomparsa di Palmiro Togliatti che fu, è il caso di ricordarlo, il vicesegretario della III internazionale nel pieno degli anni’30.
E’ il caso quindi di riprenderla questa nozione di imperialismo anche perché come vedremo meglio essa è tornata, in questo periodo, di prepotente attualità.
Da ricordare in premessa due punti:
1) La nozione di “impero” si risolve nella definizione di una forma politica che associa un comando universale al mantenimento di una varietà di realtà politiche subordinate. L’idea di impero attraversa la storia politica dell’Occidente e spesso si presenta quando un’organizzazione politica pare ritrovarsi in una fase particolarmente critica del proprio sviluppo;
2) Ciò accadde proprio nel 1914 quando le due forme imperiali presenti sul suolo europeo: quella coloniale (Francia, Gran Bretagna) e quella fondata sull’imperio al riguardo delle nazionalità (Imperi Centrali, Impero Russo, Impero Ottomano) si trovarono proprio a fare i conti con la crisi del proprio sviluppo e cozzarono fra di loro al fine di stabilire l’indirizzo storico prevalente per il futuro. L’Impero Russo per ragioni “storiche” si schierò con gli imperi coloniali ma quello fu un fatto contingente. Tra l’altro la crisi dell’Impero Russo era ormai arrivata a uno stadio così avanzato che, come tutti ricordano quella struttura statuale non arrivò al termine del conflitto crollando in anticipo sotto i colpi della rivoluzione, prima “democratica” e poi bolscevica.
Riprendiamo però il filo della definizione di imperialismo.
L’uso e la diffusione del termine risalgono agli ultimi decenni del XIX secolo, all’epoca cioè della rapida spartizione fra gli Stati Europei di buona parte dell’Asia e dell’Africa.
Il dibattito sull’imperialismo si articolò attorno a diverse possibili interpretazioni del fenomeno, di tipo economico, sociologico, politico.
Le interpretazioni di carattere economico furono influenzate dalla dottrina, diffusa nel XIX secolo, della caduta tendenziale del saggio di profitto dovuta al sottoconsumo secondo gli economisti liberali o alla crescente composizione organica del capitale secondo l’interpretazione marxiana.
Nell’interpretazione di un economista appartenente alla sinistra liberale inglese, J.Hobson la spinta imperialista poteva essere disinnescata attraverso una serie di interventi volti ad aumentare il potere d’acquisto delle masse.
Per gli studiosi di scuola marxista il nesso tra capitalismo e imperialismo si presentava ben più profondo, se non addirittura necessario.
Hilferding, Rosa Luxemburg, Bucharin e Lenin, pur nella diversità delle loro accentuazioni, notarono come il capitalismo fosse stato capace di ritardare il suo inevitabile crollo per mezzo dell’espansione imperiale (sia al riguardo delle colonie, sia rispetto alle nazionalità), trovando così la strada per far accogliere i prodotti in eccesso e ricevendo materie prime e mano d’opera a buon mercato.
Fu Lenin a sostenere con maggiore decisione, nel suo “Imperialismo, fase suprema del capitalismo” (1917) che gli Stati capitalisti erano stati spinti all’espansione imperiale da un’esigenza di sopravvivenza.
Questo fatto aveva reso inevitabile il loro scontro come stava – appunto – avvenendo nel corso della prima guerra mondiale: i partiti socialisti francese e tedesco, votando i crediti di guerra, avevano dimostrato di non aver compreso il livello decisivo dello scontro allora in atto, anteponendo il loro nazionalismo all’analisi relativa proprio al livello “imperiale” del conflitto.
Proprio come accade adesso in questo ricordo “retorico-nazionalista” che ignora i termini veri di quel conflitto allo scopo di sviare l’attenzione da quello che è lo scontro in atto, oggi, tra le superpotenze.
L’accumulo proprio di “politica di potenza” verificatosi nel corso dell’ultimo decennio nel confronto globale ha fatto nuovamente emergere, infatti, una dimensione bipolare tra USA e Russia di assoluto livello imperiale.
Si è cercato di edulcorare, per ragioni politiche, questo fatto nascondendosi dietro all’idea di una globalizzazione capace di far emergere nuovi soggetti a livello planetario (tutti però di dimensione periferica) e in particolare l’Unione Europea che, priva di una propria dimensione politica, non potrà far altro che essere fagocitata nell’orbita occidentale dalla superpotenza USA.
Il ritorno alla dimensione imperiale rende quindi di pressante attualità il recupero della nozione pacifista da parte delle sinistre alternative e di opposizione a questo tipo di logica del tutto distruttiva.
Si può pensare a una possibilità di ripresa di confronto diretto anche di tipo bellico?
Difficile prevederlo, sarà pero necessario attrezzarci.

Franco Astengo

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