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(12 Novembre 2007)
Un poliziotto spara in autogrill. Un ragazzo muore sul colpo.
Poco da chiarire.
Ma piuttosto che affrontare il problema alla radice, piuttosto che spiegare come mai tanti frustrati e psicopatici trovano riparo tra le forze dell’ordine, lo Stato italiano glissa. E attraverso l’uso criminale e irresponsabile dei pupazzi dell’informazione, costringe gli italiani a discutere d’altro. A crearsi un’opinione su argomenti paralleli, ininfluenti e completamente avulsi da quanto accaduto.
Così il problema si sposta sulla violenza delle curve, sulle trasferte a rischio, sui decreti anti-hooligans.
Addirittura si prevede di utilizzare il reato non meglio specificato (e per questo multiuso) di “terrorismo” per i fermati. Si parla di “eversione”, di “anarco-insurrezionalisti”, di “neofascisti”. Scenari inquietanti, ipotizzati per distrarre gli allocchi.
Adesso comincia a essere chiaro a molti: la svolta securitaria non è più “roba da comunisti”.
È un pericolo concreto per la libertà individuale, non una semplice invenzione.
È un mirino che cambia bersaglio continuamente, in base all’occorrenza: i rumeni, gli zingari, i lavoratori sindacalizzati di Melfi, gli ultras.
Categorie che preoccupano la brava gente, i benpensanti d’ogni dove, che non ne sa e non ne vuole sapere. Che invoca sicurezza ai governi. E la ottiene, sotto forma di stretta repressiva.
Siamo all’assurdo.
Lo Stato italiano si copre di vergogna tutelando il diritto dei suoi servitori di sparare mortali colpi “in aria”; il giornalismo italiano si rivela servile oltre ogni immaginazione, indicando all’uomo medio un nemico impalpabile eppure letale. Gli stadi rischiano di diventare, sempre più, il luogo del controllo e della repressione generalizzata. E la società rischia di assomigliare, in questo, sempre più a uno stadio.
Che nessuno si senta escluso.
È in ballo la libertà di tutti, non solo quella degli ultras.
12/11/07
Laboratorio Politico Jacob – Foggia
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