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il cibo che manca

(21 Aprile 2008)

Quando si parla di “imperialismo delle multinazionali” e del loro potere globale, i soliti giornalisti della libera stampa virgolettano sempre queste frasi, togliendo credibilità a queste affermazioni, e subito dopo seminano tutti i dubbi possibili, quasi sempre inventati, per non andare mai a fondo delle questioni.

La questione si pone perché ieri Jean Ziegler, relatore speciale dell’ONU per il diritto al cibo, ha dichiarato che l’aumento dei prezzi dei generi alimentari sta spingendo i paesi più poveri verso: “un omicidio di massa silenzioso, che è un crimine contro l’umanità”.

Dal gennaio 2007 i prezzi dei prodotti alimentari di base sono aumentati a livello mondiale del 55%, a causa di decisioni che sono state prese da organizzazioni multinazionali in concerto con la politica, dove è stato scelto di puntare sulla produzione di biocarburanti da realizzare con i cereali, sottraendo all’agricoltura per i bisogni umani imponenti quantità di ettari, appoggiati da incentivi statali (UE compresa), e di far calare la domanda di petrolio con lo scopo di farne scendere il prezzo.

Una strategia decisa in circoli ristretti, con una preponderanza degli interessi USA, che sono i più grandi produttori al mondo di cereali, per la immensa gioia dei grandi gruppi, anche finanziari, che controllano il commercio internazionale, che hanno visto le loro scorte di cereali raddoppiare di valore.

Anche se questa politica ha già prodotto rivolte di massa in Africa e in altri paesi poveri, e anche in Europa gli aumenti di pane e pasta si fanno sentire, nessuno dei grandi difensori della vita punta il dito sui responsabili veri, che sono ben identificabili, persone ed interessi che decidono della vita e della morte di milioni di persone, per non mettere in crisi un modello di sviluppo basato sull’autotrazione, a cui sono destinati i biocarburanti.

Però i giornalisti e i preti si stracciano le vesti per il genocidio culturale in Tibet, di questo scandalo del potere delle multinazionali e della politica succube e subalterna al potere economico, frutto della follia della globalizzazione, non si occupano molto, anzi per niente, forse perché dire la verità su chi comanda veramente equivale alla morte civile, licenziato o tacitato se sei un giornalista, emarginato dalla Chiesa come fu per quei preti che in America Latina si schierarono con la “teologia della liberazione”.
Ci sono delle concause di cui è giusto tenere conto, la siccità, l’aumento del costo del petrolio per i trattori, l’aumento del consumo di carne con la conseguente richiesta di mangimi, ma la riflessione che esce chiara e limpida è che la globalizzazione è un cancro da estirpare, e che ogni paese deve per prima cosa provvedere a produrre in proprio il cibo di cui ha bisogno, ristrutturando l’agricoltura per i consumi interni, e non producendo più nelle monocolture da vendere alle multinazionali.

Questa è una scelta politica strategica insieme a quella della limitazione delle nascite, perché non sarà più possibile emigrare per risolvere i problemi.

Ciascun paese sarà bene che sia autosufficiente perché la grande crisi energetica che arriverà con la fine del petrolio non permetterà né emigrazioni né rifornimenti.

Se alla crisi energetica si sommerà un inasprimento dei cambiamenti climatici dovuti al riscaldamento globale, anche se avremo capito di chi è la colpa non sarà una grande consolazione, bisogna da ora cambiare modello di sviluppo: sostenibilità, autosufficienza energetica (con il solare), autosufficienza alimentare, decrescita industriale e demografica.

Questo detta la ragione. I pazzi sono tutti gli altri.

21 aprile 2008

Paolo De Gregorio

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