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(14 Novembre 2010) Enzo Apicella

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Diliberto semprevergine e l’unità dei comunisti

(28 Aprile 2008)

Sono usciti dal socialismo per la porta principale, votando i finanziamenti delle spedizioni militari, così come i socialdemocratici nel 1914 votarono i crediti di guerra. Dopo il crollo elettorale, si sono abbandonati alla più assurda confusione: “Subito dopo la sconfitta le ipotesi emerse nel gruppo dirigente dell'Arcobaleno sono state le più varie, da chi ha detto entriamo nel PD a chi ha detto unità dei socialisti, da chi ha detto costituente di sinistra a chi ha lanciato la costituente comunista.”(1) Ferrero - bontà sua! – ammette la sua parte di colpa, Bertinotti si eclissa, Giordano, abbandonato dal padre padrone, piange. Immune da queste debolezze umane, Diliberto transita con aristocratico distacco e mirabolante camaleontismo attraverso le responsabilità politiche e le sconfitte, che segnano pesantemente gli altri dirigenti, restando sempre integro, semprevergine. In un’intervista, riportata anche sul sito dell’Ernesto, dichiara nientemeno di voler ricostruire una Rifondazione comunista come era prima della scissione, e che la segreteria nazionale del partito è pronta per la riunificazione: “…c'è da ricostruire ripartendo da falce e martello… Con quel simbolo 2 anni fa abbiamo preso 3 milioni e 700 mila voti. Con il simbolo dell'arcobaleno solo un milione”. E aderisce all’appello di “Comunisti Uniti” per l’unificazione del Prc e Pdci e a di “tutte le comuniste/i ovunque collocati in Italia”.(2)

Un lettore dell’Ernesto commenta: “Ma allora forse ho capito male io. Mi pareva che Diliberto fosse uno dei fondatori della sinistra arlecchino, anzi uno dei quattro segretari delle quattro forze convergenti. Mi pareva anche che avesse votato il rifinanziamento della missione in Afghanistan, l'allargamento della base di Vicenza, il protocollo sul Welfare che riproponeva la legge 30 e la controriforma pensionistica, la detassazione degli straordinari e molto altro... E questo per parlare solo degli ultimi due anni.”(3)

Falce e martello, per Diliberto, non è il richiamo alle lotte del passato, ma è un marchio, un logo che porta voti. Il crollo elettorale, però, non è dovuto al simbolo cambiato: due anni fa i lavoratori credevano che le sinistre volessero andare al governo per difendere i loro interessi e si sono ribellati quando hanno visto i “loro rappresentanti” votare le leggi e i decreti antiproletari di Prodi.

Per Diliberto, i partiti si possono scindere o fondere secondo le convenienze elettorali o di partecipazione ai governi. Ma un vero partito comunista non è una pellicola che si può far girare in senso inverso, è un organismo, che deve trovare la sua unità nelle radici profonde della classe, e non può essere scomposto o ricomposto come un puzzle, o ricostruito con organi di derivazione diversa alla Frankenstein.

Alla Camera Diliberto, a nome del suo partito, ha detto del governo Prodi: “È il nostro Governo e in esso ci riconosciamo.”(4) Poiché si è identificato totalmente con quel governo, deve portare in pieno il peso della sua sconfitta e della sua meritata impopolarità tra i lavoratori. Occorre prenderne atto, e mandarlo a casa.

Condizione preliminare, per ogni discussione su quale partito sia necessario per i lavoratori, è rimuovere l’intero gruppo dirigente di Rifondazione e del Pdci, comprese le appendici locali.(5) (Come vedremo in seguito, neppure questo basta, perché non si risolve niente senza un programma politico veramente radicale). Tali dirigenti sono stati la cinghia di trasmissione di un programma capitalistico in seno alla classe operaia. Si badi bene: non si tratta di semplice opportunismo, cioè sacrificare le lotte future e la coerenza politica a vantaggi immediati per i lavoratori, ma di una politica apertamente antioperaia. I lavoratori lo hanno capito e hanno dato loro l’ostracismo.

Se le colpe dei dirigenti non sono emendabili, tuttavia la base dei due partiti non ha fatto una vera resistenza. Troppo spesso chiusa in questioni locali, con la paura di essere emarginata nelle amministrazioni comunali o provinciali, ha tollerato l’intollerabile, accettando le sofistiche spiegazioni dei dirigenti, e isolando i compagni più critici, che sono usciti in gruppi o individualmente. Su tutti questi problemi non si può passare con un colpo di spugna, se non li si affronta, si riprodurranno tali e quali in futuro.

L’appello dei “Comunisti Uniti” sembra non tener conto del carattere irreversibile della frattura, e si rivolge a tutti i comunisti. Ma non tutti quelli che si ritengono tali possono indiscriminatamente essere raccolti in un’unica organizzazione.

Nei commenti allegati all’appello, ci sono le posizioni più diverse e incompatibili. Chi propone un’assemblea costituente per realizzare “una Sinistra unita di lotta e di governo e non necessariamente radicale e di opposizione movimentista”. Chi è anarchico, ma pensa che aderirà lo stesso. Chi trova illogica l’abolizione della proprietà privata. Chi gli risponde, giustamente: “… Marx parlava di proprietà privata “dei mezzi di produzione” (le fabbriche, per fare un esempio), non di tutto …cerchiamo di non andare oltre Marx.” Un altro scrive: “Diliberto e Bertinotti hanno tradito i movimenti. La sinistra può rinascere solo azzerando la dirigenza dei partiti dell’arcobaleno”. C’è chi invece canta le lodi di Diliberto e lo propone come leader di questo nuovo partito comunista. Questi commenti mostrano che non c’è unità sulle prospettive – eccetto forse le rivendicazioni più immediate.

E’ una buona regola non credere sulla parola a ciò che ogni gruppo o persona dice e immagina di se stesso, ma sottoporlo a critica. Il termine comunismo non ha mai avuto un significato univoco, molte correnti hanno portato questo nome, più volte si è posto il problema dell’incompatibilità, basti pensare alla frattura tra stalinismo e l’opposizione internazionalista, il cui massimo esponente fu Trotsky.

Ma, per rimanere all’oggi, due linee fondamentali, pur con mille sfumature interne, rivendicano di essere comuniste. La prima tendenza si identifica con lo slogan “partito di lotta e di governo”, vede nelle elezioni lo strumento fondamentale per la trasformazione della società, e pensa che il mutamento possa avvenire attraverso la partecipazione a governi, locali e nazionali, alleandosi con la sinistra borghese, attraverso riforme di struttura che cerca d’imporre, anche con pressioni sindacali o di piazza. Di fronte ai fallimenti di questi governi, o incolpa la borghesia che non ha voluto raccogliere la mano tesa dei lavoratori, oppure dà la colpa a gravi errori dei dirigenti, che si sono lasciati imbrogliare o corrompere, ma non mette mai in discussione, neppure quando è costretta a lunghi periodi di opposizione, la possibilità di una collaborazione governativa con partiti borghesi o piccolo borghesi. Considera la costituzione repubblicana come una conquista storica definitiva e pensa che si possa avanzare verso il socialismo rimanendo all’interno della legalità costituzionale.

La seconda tendenza, dominante nei partiti comunisti di tutto il mondo negli anni ’20, ma assolutamente minoritaria nell’Italia del secondo dopoguerra, afferma che la classe si costituisce in partito, contrapposto a tutte le formazioni partitiche delle classi possidenti, e mira all’emancipazione del proletariato attraverso il superamento della forma salariale. Respinge la soluzione della partecipazione governativa con partiti borghesi. Pur difendendo la costituzione contro gli attacchi fascisti, considera impossibile il passaggio al socialismo rimanendo all’interno della attuali istituzioni borghesi repubblicane, e non cessa, nella sua propaganda, di rivendicare la repubblica dei consigli, pur sapendo che non è un traguardo vicino. E’ convinta che la lotta per le riforme sia necessaria, ma non dimentica che esse sono un sottoprodotto della lotta di classe rivoluzionaria. Lotta per la difesa dell’ambiente, per la liberazione della donna, per il riconoscimento dei diritti degli immigrati, per l’autodeterminazione dei popoli, ma con la consapevolezza che, finché rimarrà il capitalismo, si ricreeranno sempre, in questi e in altri campi, nuovi disastri e nuove sopraffazioni. Poiché l’imperialismo è l’età senile del capitalismo, considera la borghesia, compresa quella di sinistra, troppo corrotta e reazionaria per poter portare avanti piani comuni, e osteggia tutti i governi borghesi, in quanto controparti alle quali strappare con la lotta i miglioramenti e le riforme necessarie per la sopravvivenza dei lavoratori e per l’agibilità politica. Se partecipa alle elezioni, si attiene a posizione di netta contrapposizione ai partiti borghesi, sia a livello nazionale, sia locale, rifiutando accordi elettorali e compartecipazioni al potere.

Sgombriamo subito il campo da alcune obiezioni: c’è chi vede in questa contrapposizione un confronto tra realisti e nostalgici. Realisti e nostalgici esistono in tutti i partiti, e non sempre per questione di età anagrafica. C’è poi, chi dice che bisogna guardare al “qui e ora” e non riproporre soluzioni che hanno le loro radici nel comunismo ottocentesco. Chi non studia le esperienze del passato e degli altri paesi troppo spesso interpreta come nuovi fenomeni che si sono già verificati più volte, in forma analoga, in altri paesi o in altre epoche. I dirigenti di Pcdi e Prc hanno presentato l’alleanza con Prodi come un fatto storicamente nuovo. In realtà, fin dai primi anni del Novecento, gli esempi di fallimentari collaborazioni governative con la borghesia si sprecano. La regola è sempre quella: i partiti borghesi impongono ai socialisti e comunisti scelte impopolari, e, quando li hanno screditati agli occhi delle masse e per questo non servono più, li cacciano. In molti casi il partito di sinistra subisce una trasformazione radicale, e diventa un partito borghese in tutto e per tutto. Ogni tanto qualche politico emergente, si chiami Nenni, Occhetto, Bertinotti o Diliberto, ci propina un’esperienza “nuova” che sa di naftalina.

Rifondazione, soprattutto agli inizi, ha cercato di far convivere le due tendenze, riformista e rivoluzionaria – e con esse c’erano anche molti chiacchieroni - riuscendoci finché il partito era all’opposizione. La rinuncia ad ogni analisi storica seria, sulla Russia, ma soprattutto sul periodo successivo alla guerra in Italia, non era casuale, non era dovuta a incapacità. Essa avrebbe messo in luce divergenze incolmabili, e avrebbe reso inevitabile la scissione. Alla fine, tutto ciò si è tradotto nell’esodo di singoli e di gruppi, ispirati, più o meno correttamente, alla seconda posizione. Non è il caso di ripetere ancora una volta la stessa esperienza, visti i risultati. Nonostante ciò l’appello vuole coinvolgere tutti. Non si è capito che le due tendenze sono alla lunga incompatibili, e nel breve e medio termine s’intralciano a vicenda, rendendo il partito che le ospita un campo di battaglia, incapace sia di un’azione riformista, sia di una lotta di classe radicale, proprio come è avvenuto con Rifondazione.

Fino ad oggi, gli eventi internazionali, l’offensiva borghese sul piano salariale, politico, culturale sono stati, nella maggior parte dei paesi, contrari ad ogni sviluppo della sinistra: Sembra di muoversi su un treno ad alta velocità diretto in direzione opposta a quella sperata. Da qualche tempo, però, la crisi economica, la brusca frenata dell’economia, l’impoverimento delle masse, le crescenti difficoltà del rifornimento alimentare stanno creando le condizioni per una ripresa della lotta, come si vede dalle agitazioni in molti paesi del mondo, a cominciare dagli scioperi egiziani. Però guai ad arrivare a questo appuntamento con un partito che riproduca le debolezze di Rifondazione, con un contenitore delle tendenze più eterogenee. In altre parole, rivoluzionari e riformisti non possono stare assieme, pena la reciproca neutralizzazione.

Una considerazione finale. Stiamo per entrare nell’occhio del ciclone di una crisi internazionale di portata storica. Sappiamo che, se la sinistra delude, le masse operaie si spostano a destra. Negli anni trenta, la politica superopportunista della socialdemocrazia tedesca e quella del partito comunista stalinizzato che, sulla base dell’assurda teoria del socialfascismo, pensava più a combattere i socialisti che Hitler, portarono a una catastrofe terribile. Oggi in Italia non siamo ancora a quel punto, ma dobbiamo sapere che i grandi periodi di crisi non ammettono soluzioni intermedie. O c’è una chiara risposta delle masse proletarie, oppure passa una soluzione autoritaria, che può avere aspetti esteriori assai diversi da quelli del fascismo e nazismo, ma ha in comune con essi la completa neutralizzazione delle lotte operaie. Non con l’apporto dell’opportunismo, ormai screditato, ma con la proibizione anche legale degli scioperi e l’intervento repressivo dello stato. Di fronte a questa prospettiva, occorre un partito che possa guidare le masse alla lotta, che si contrapponga ad ogni provvedimento restrittivo dello stato, e che non consideri quest’ultimo come un terreno neutrale da conquistare con i voti, ma come l’antagonista principe contro cui lottare. Che ridia la giusta importanza a forme di lotta, apprezzate da Lenin e dalla Luxemburg, come lo sciopero politico di massa. Per questo è necessario che questo partito raccolga solo militanti fieramente avversi ad ogni accordo con la borghesia, anche con quella sedicente progressista, rifiuti con essa ogni accordo governativo o locale.

Quelli che, nonostante tutte le esperienze negative, continuano a sognare un partito che governi con la “borghesia progressista”, col PD in particolare, facciano pure, ma sappiano che ripeteranno inevitabilmente l’esperienza del Pdci, di Rifondazione e della sinistra arlecchina.

NOTE

1) Micaela Bongi, Andrea Fabozzi, “Il Prc c'è, per la sinistra tempi lunghi”, Ferrero: dolorosa ma inevitabile la rottura in Rifondazione. Ora congresso a tesi senza schieramenti. Giordano non mi ha mai proposto di uscire dal governo. Non chiedo la testa del direttore di Liberazione. E in futuro potrei anche dissentire da Grassi”, il manifesto 24 Aprile 2008.

2) Appello “Comuniste e comunisti: cominciamo da noi”, nel sito http://www.comunistiuniti.it/ .

3) Dal sito dell’Ernesto : Diliberto: “Bisogna ricostruire la sinistra, iniziando dai comunisti”. Su la Rinascita della Sinistra del 18/04/2008. Altri commenti di lettori: “Diliberto se ne deve andare, come Bertinotti, Giordano, Migliore & C”. Un altro: “Continuiamo a consentire a personaggi impresentabili come Diliberto di rifarsi una verginità dopo aver teorizzato e praticato per quasi un decennio la strategia che ci ha annientati, e il nuovo partito comunista ce lo sogniamo! E' incredibile che questo individuo pretenda di uscire pulito e ancora in sella dopo lunedì scorso…”.

4) “Ai nostri occhi questo Governo rappresenta oggi l'equilibrio politico più avanzato possibile, il positivo terreno di incontro tra le culture e i programmi della sinistra e quelli dei moderati. È il nostro Governo e in esso ci riconosciamo. Lo sosteniamo e lo sosterremo lealmente, anche quando, magari, vorremmo facesse di più e di meglio, proprio perché, a partire da esso, insieme ad esso, è solo nell'ambito di questa maggioranza che si potranno ottenere dei risultati e la sinistra potrà contare, far sentire la propria voce ed avere peso politico.” ( Diliberto, seduta n. 118, del 2 marzo 2007)

5) In “Appello Comunisti Uniti: Il nemico marcia ancora alla nostra testa”, Germano Monti scrive: “… mi sembra che sia già in atto un’operazione politica di riciclaggio, tesa a speculare sul comprensibile sgomento delle migliaia di attivisti dei partiti e dei movimenti, improvvisamente e brutalmente messi di fronte ad una realtà da incubo, quella che vede, per la prima volta nella storia parlamentare italiana (eccetto, ovviamente, la parentesi fascista), l’assenza di partiti socialisti o comunisti nel Parlamento nazionale. Facendo leva su questo sgomento, si lancia un appello all’unità dei comunisti “ovunque collocati”, ma a partire dai militanti e dai dirigenti del PRC e del PdCI, e non passa che qualche ora dal lancio di quell’appello che arriva l’adesione della Segreteria del PdCI, cioè di uno dei gruppi dirigenti compromesso fino agli occhi nella catastrofe della sinistra parlamentare. Il nemico si appresta nuovamente a marciare alla nostra testa.” L’articolo è presente sul nostro sito.


26 aprile 2008

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Commenti (3)

o dentro o fuori

troppo facile criticare per chi non faceva parte del governo!!! ma quando sei in una coalizione, purtroppo, e vuoi contare qualcosa, devi ballare come vogliono i più forti, anche se ciò significa inghiottire amaro e sacrificare i tuoi ideali!

(28 Aprile 2008)

Carla

pcarla1980@libero.it

meglio ballare da soli

è meglio ballare da soli, piuttosto che ballare come dei pupi!

se poi il pupo pensava di contare qualcosa.... è appunto perché era solo un pupo.

ma se vuole che tutti i comunisti si uniscano a lui per ballare al ritmo imposto dal burattinaio... lasci perdere che è meglio.... i comunisti non sono tutti dei pupi

(29 Aprile 2008)

aldo

pane-rose@tiscali.it

SUL PARTITO COMUNISTA COME STRUMENTO DI PREPARAZIONE DELLE MASSE ALLA FASE RIVOLUZIONARIA.

SUL PARTITO COMUNISTA COME STRUMENTO DI PREPARAZIONE DELLE MASSE ALLA FASE RIVOLUZIONARIA.

Sono state mosse obiezioni circa l’opportunità di partecipare alla fondazione di un nuovo Partito Comunista di massa, nato dagli spezzoni di sinistra degli ormai moribondi partiti comunisti della sinistra borghese.
Si è sollevata la questione della dicotomia fra il “partito di lotta e di governo” ed il “partito rivoluzionario”. Dell’entrismo e del movimentismo.
Tali obiezioni mi sono sembrate ineccepibili sul piano teorico, costruzioni articolate e coerenti, ma al contempo fuorvianti in termini di prassi. Lo stesso riferimento al tradimento di Togliatti muove coerentemente nella direzione di una critica corretta nella sua costruzione interna, ma sradicata dalla realtà. Mi pare sia stato commesso l’errore di formulare una analisi politica limitata solo alla correttezza del ragionamento che porta alle conclusioni, ma non anche dei termini dialettici su cui si fonda il ragionamento stesso.

In primis bisogna a mio avviso aver colto il seguente assunto: il Partito Comunista di massa non è e non vuole essere il Partito Comunista rivoluzionario. Non possono essere la stessa cosa né dal punto di vista della strategia né della tattica, né tanto più possono coincidere sul piano organizzativo. Hanno obbiettivi differenti e strumenti per raggiungerli altrettanto diversificati. Questo perchè le due fenomenologie del Partito Comunista non sono temporalmente sovrapponibili, ma sono una susseguente all’altra, una conseguenza del raggiungimento degli obbiettivi dell’altra. Appartengono a due fasi differenti del processo rivoluzionario, ed è proprio il fine ultimo della rivoluzione il loro tratto comune. Per questo non possono mai porsi in antitesi l’una con l’altra, per questo non sono incompatibili ma strumentali, e dunque entrambe necessarie per il raggiungimento del fine rivoluzionario.
Partendo da ciò posso ora spiegare per quale ragione ritengo che si debba procedere in questo momento storico alla costruzione di un Partito Comunista di massa, e perchè ritengo che la questione dell’entrismo e del movimentismo sia tutto sommato marginale, e di conseguenza perchè l’analisi politica alla base della critica si debba considerare inesatta.

Lenin analizzando il processo rivoluzionario divideva fra condizioni oggettive cioè determinate dall’insanabilità delle contraddizioni interne alla produzione capitalista, e condizioni soggettive, determinate dal livello di preparazione e di consapevolezza delle masse popolari in vista dell’obbiettivo di sopprimere lo stato borghese.

Allo stato attuale dello sviluppo della produzione capitalista appaiono realizzate sul piano oggettivo gran parte delle sue contraddizioni, tali da farci ritenere che il capitalismo si trovi in un momento di profonda decadenza, da collocarsi temporalmente quasi a ridosso della fase di guerra imperialistica. La crisi da sovrapproduzione di capitale ha costretto i grandi gruppi economici occidentali, l’avanguardia del capitalismo mondiale, a delocalizzare la produzione spostando capitale in paesi lontani (Cina, India, Romania, Filippine, Viet Nam) facendo leva sull’arretrato grado di sviluppo delle zone stesse, ritenendo favorevole da una parte la grande crescita dei consumi propria di queste zone, dall’altra il basso costo della sua mano d’opera. Contemporaneamente alla delocalizzazione della produzione sono stati ampliati gli spazi di impiego del capitale in esubero anche nei paesi dell’occidente capitalista, compresa l’Italia, attraverso la deregolamentazione, fenomeno atto a demolire le ultime barriere protettive allo sfruttamento del lavoro erette in seguito alle vittorie sindacali del ‘900.
Ma tuttavia ciò è sembrato non bastare, da una parte perchè l’autonomia dei nuovi mercati si sta dimostrando meno consistente delle previsioni (la Banca Centrale cinese ha comunicato che per il 2008 è previsto un incremento della produzione del solo 7% a fronte delle previsioni che lo davano al 11%) , dall’altra perchè la compressione in termini di rapporti di produzione del lavoro in favore del capitale sta raggiungendo limiti pericolosamente invalicabili.
La conseguenza è stata quella di spingere i paesi avanguardia dello sfruttamento capitalista ad unirsi per integrare l’imperialismo economico con quello militare, adoperando la guerra quale strumento di impiego del capitale sovraprodotto in primis attraverso il suo finanziamento, e in secundis attraverso il finanziamento della ricostruzione.
Ma ciononostante la crisi in atto non ha raggiunto ancora il livello di guerra imperialista totale, ed è per questo che ritengo che ci si trovi a ridosso ma non ancora dentro, e questo perchè gli strumenti adottati per contrastare la crisi (imperialismo economico ed imperialismo militare locale), sono ancora sufficienti ad attutirne gli effetti. Ma non ancora per molto, vista la sua progressività, conseguenza della ciclicità propria del capitalismo.

Sul piano soggettivo invece siamo anni luce indietro.
Questo sia nei paesi imperialisti, che nei paesi oppressi dall’imperialismo. Ed anche dunque in Italia.
Le ragioni sono da ricercarsi sicuramente nella prima grande sconfitta del movimento comunista, subita in seguito alla prima crisi mondiale del capitalismo. E questo nonostante per un periodo relativamente lungo di tempo ben l’ottanta per cento del territorio mondiale avesse intrapreso la strada del socialismo.
Senza interrogarci ulteriormente, in un gioco di scatole cinesi, sulle ragioni di questa sconfitta, bisogna aggiungere che l’arretramento della consapevolezza delle masse popolari è stata anche conseguenza della fortissima ondata controrivoluzionaria portata avanti dalla borghesia mediante il largo uso dei moderni strumenti di comunicazione, da una inadeguatezza delle rappresentanze sindacali sempre più imborghesite e collaborazioniste, ma sopratutto dalla frammentazione e totale mancanza di organizzazione dei comunisti.
Ed è proprio per rispondere a questa arretratezza in termini di coscienza di classe che lo strumento del Partito Comunista di massa diventa indispensabile.
Perchè le masse oggi obbiettivamente sono in uno stadio di autocoscienza talmente arretrato da non permetterci frammentazioni e ortodossismi. Le stesse parole d’ordine della cultura comunista sono alla maggioranza sconosciute o viste come un pittoresco fardello del passato. Questo perchè il bombardamento mediatico della borghesia ha raggiunto un livello di semi-controllo delle menti, di monopolio del pensiero.
Non siamo dunque in una fase che ci permette scontri dialettici su questioni anche se vitali, meramente future.
L’esigenza primaria in questa fase è propagandare l’alternatività del comunismo rispetto all’attuale ordine economico capitalista, l’attualità e sopratutto la necessità del comunismo come risposta agli effetti delle contraddizioni del capitalismo, che sono rivendicate, spesso disordinatamente, dal “proletariato inconscio” odierno.
Bisogna rendere fruibile alle masse il patrimonio culturale del pensiero comunista tutto, per accumulare forze rivoluzionarie sempre più rilevanti sul piano della quantità, anche se a sacrificio della qualità. Bisogna accogliere e non escludere, perchè la crisi delle condizioni soggettive per la rivoluzione oggi si manifesta sopratutto nell’esistenza di tante avanguardie autoreferenziate ognuna per sé “ortodossa”, e della totale mancanza di seguito nelle masse. Tanti professori dinnanzi ad auditori completamente vuoti!
L’unico limite, l’unico confine fra il tollerato ed il condannato, fra l’ortodosso e l’eterodosso, potrà essere solo il tratto comune che unisce il Partito Comunista di massa con il Partito Comunista rivoluzionario: il fine ultimo della soppressione dell’attuale ordine economico capitalista e della sua sovrastruttura borghese, per costruire uno stato socialista intermedio anello indispensabile per la futura edificazione del comunismo su scala mondiale.
Qualunque altra questione, anche quella della partecipazione o meno ai governi borghesi, deve porsi come parametro di opportunità politica solo quello della propaganda, della facilità di recepimento, della diffusione delle parole d’ordine del comunismo dentro le masse.
Qualunque dialettica spinta da ragioni diverse da questa è oggi necessariamente marginale.
Solo in una fase successiva, laddove le masse abbiano raggiunto un livello di autocoscienza diffuso anche se impreciso, si lavorerà a smussare, arrotondare, indirizzare, e a rendere rigorose quelle basi politiche. Solo su di un terreno in questo modo fertile si potrà costruire il Partito rivoluzionario. Solo quando le parole d’ordine del comunismo saranno sulla bocca di tutti, quando avranno se non convinto perlomeno insinuato il dubbio nelle menti delle masse popolari, si potranno formare quelle avanguardie rivoluzionarie che ci condurranno alla rivoluzione.
In pratica la fase odierna, quella del Partito Comunista di massa, sposa simultaneamente il movimentismo e l’entrismo, perchè sia la propaganda territoriale che quella parlamentare adempiono al comune fine di diffondere fra le masse il germe del comunismo.

Tornando (e concludendo) alla critica mossa contro l’unità dei comunisti, l’errore nell’analisi politica è stato quello di aver sottovalutato il basso livello di preparazione delle masse popolari in questo momento storico, cioè l’aver ignorato la mancanza di condizioni soggettive per la costituzione di un Partito Comunista rivoluzionario. Anche il riferimento a Togliatti quasi sottolinea questa lontananza dalla realtà, in questo caso distante sessant’anni.

Ma tuttavia in questo momento storico peculiare confido in un ripensamento, perché la lotta diventa sempre più dura e le masse sempre più lontane; senza unità non c’è futuro per il comunismo e, potrà sembrare retorico, neppure per l’umanità.

Niccolò Zanotelli

(30 Aprile 2008)

Niccolò Zanotelli

niczano@hotmail.com

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