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Clamori dalla Colombia

(13 Ottobre 2009)

08/10 - IL 64% DEI COLOMBIANI VIVE SOTTO LA SOGLIA DI POVERTA'
Il MESEP (Missione per la congiuntura di Occupazione, Povertà, Diseguaglianza) ha presentato un dossier in cui vengono illustrate le
drammatiche dimensioni della povertà in Colombia.

Pur cambiando anche considerevolmente le cifre in gioco a seconda degli indicatori utilizzati, resta sempre evidente l'incredibile numero di persone che soffrono una situazione economica disastrosa.

Secondo il sistema di identificazione dei potenziali beneficiari dei sussidi e dei programmi sociali, che include come variabili l'ubicazione dell'abitazione, la dotazione di servizi, l'occupazione e la sicurezza sociale si arriva alla spaventosa cifra di 30 milioni di poveri (su 42.888.592 abitanti), e cioé del 70% circa della popolazione totale. Occorre tenere conto del fatto che una delle difficoltà insite in questo conteggio è relativa ad esempio ai 4,6 milioni di sfollati interni, la maggior parte dei quali è priva di documento d'identità.

Lo studio del MESEP presenta una nuova metodologia. E' stato realizzato in 300 dei 1098 municipi, includendo i principali centri urbani, e considera povera una famiglia che abbia un introito mensile inferiore a 1,1 milioni di pesos (440 $) ed indigente una famiglia i cui introiti non raggiungano i 450.000 pesos mensili (180 $).

La ricerca rileva la presenza di 8 milioni di colombiani indigenti e oltre 20 milioni di poveri; le percentuali nazionali indicano il 46% del totale in stato di povertà ed il 18% di indigenti (tot: 64% della popolazione). Tuttavia, nelle zone rurali, i dati forniti sono rispettivamente del 65% e del 33%, (totale: 98%). Questo vuol dire che solo il 2% della popolazione rurale può essere considerato al di sopra della soglia della povertà!

Alcuni dati possono ulteriormente chiarire la situazione: al deficit di 2,5 milioni di abitazioni, si somma il fatto che 12 bambini su 100 sono denutriti (le statistiche dell'Onu dimostrano che la fame cresce più rapidamente in Colombia che nell'Africa subsahariana), e che 12 milioni di persone non hanno accesso all'acqua potabile tramite acquedotto. Inoltre, secondo dati governativi (sempre minimizzati per ragioni di propaganda) ogni anno muoiono circa 2.600 bambini per scarsità o cattiva qualità dell'acqua.

Questi dati sono la migliore risposta alle presunte iniziative del governo del narcopresidente Uribe e della sua cricca per "risolvere il problema della povertà". Evidentemente, è interesse dell'oligarchia che le ricchezze di uno dei paesi più dotati di risorse naturali al mondo, siano destinate alle multinazionali (da cui riceve il compenso per aver svenduto il paese) e non alla popolazione locale, che muore letteralmente di fame. Del resto, il 6% del PIL del paese è destinato alle spese di guerra, come il 65% della spesa pubblica, e a chi fra i criminali che governano il paese interessano i morti per fame?

Queste agghiaccianti cifre legittimano, intrinsecamente, il diritto alla ribellione del popolo colombiano. Quale regime puó essere definito "democratico" alla luce di questa intollerabile situazione, oltre che dell´applicazione sistematica del terrorismo di Stato contro gli oppositori?

06/10 - SENATRICE PIEDAD CÓRDOBA SMENTISCE VERSIONE DELLA CHIESA CATTOLICA SULLO SCAMBIO UMANITARIO DEI PRIGIONIERI
La senatrice colombiana Piedad Córdoba ha smentito le dichiarazioni di monsignor Juan Vicente Córdoba, secondo il quale per lo scambio di prigionieri
sarebbe necessario un accordo consensuale preventivo tra le FARC e il governo colombiano.

La senatrice ha invitato il rappresentante della Chiesa Cattolica a "non ingarbugliare le cose", sostenendo che la prima cosa da fare è quella di creare le condizioni per il rilascio unilaterale di alcuni soldati dell'esercito colombiano avviato dalle FARC, e non aspettare oltre poichè "ogni rilascio è un supplizio spaventoso" ed il fatto che le FARC stiano liberando alcuni prigionieri unilateralmente potrebbe rappresentare l'inizio di un processo di distensione.

Dal canto suo, attraverso un comunicato pubblico del 22/09 scorso, la guerriglia ha ribadito che rilascierà due dei ventiquattro tra militari e poliziotti in suo potere, ossia il sottufficiale Pablo Emilio Moncayo ed il soldato Calvo, che saranno liberati in modo unilaterale e consegnati personalmente alla senatrice Córdoba.

Le FARC accettano inoltre la partecipazione della Croce Rossa e della Chiesa all'operazione umanitaria, chiedendo in modo esplicito che il presidente Álvaro Uribe specifichi pubblicamente le garanzie e i protocolli indispensabili alla stessa. Il più antico e poderoso movimento guerrigliero dell´America Latina ha inoltre stigmatizzato la sua crudele insofferenza, che ha prolungato di altri cinque mesi la detenzione dei militari, così come la sua insensibilità di fronte al dramma che vivono i prigionieri delle due parti.

A Uribe sembra non interessare fare passi avanti per una soluzione politica del conflitto, e con l'ausilio della Chiesa e degli Usa sembra piuttosto intenzionato a portare avanti la sua politica guerrafondaia del riscatto a ferro e fuoco, come ha già dimostrato in passato.

Evidentemente il narco-presidente Uribe non ha il tempo di fornire le garanzie indispensabili ad un rilascio unilaterale di prigionieri (chiamati pomposamente "servitori dello Stato"), occupato com'è a modificare la costituzione per poter ottenere un terzo mandato consecutivo!

04/10 - NELLE CARCERI COLOMBIANE ALMENO 7000 PRIGIONIERI POLITICI IN CONDIZIONI DISUMANE
Secondo i dati raccolti nell'ambito della "Campagna internazionale per la liberazione dei prigionieri politici in Colombia", almeno 7.000 fra i detenuti
colombiani sono a tutti gli effetti prigionieri per ragioni politiche.

Di fatto, il governo non gli concede lo status di prigionieri politici perché nega l'esistenza del conflitto armato che perdura da oltre quarant'anni. Fino al 11 settembre 2001 il delitto di cui erano accusati era quello di ribellione; in seguito, sono stati qualificati come "terroristi", il che ha comportato un peggioramento delle condizioni di detenzione, privandoli di una reale possibilità di difesa.

Sotto il governo di Uribe Vélez la politica della cosiddetta "Sicurezza Democratica", caratterizzata dal ricorso alla barbara pratica delle ricompense in cambio di delazioni, ha portato alle retate massive nelle città e nelle campagne, dove (per mezzo di segnalazioni di informatori incappucciati) gli effettivi della polizia, dell'esercito e del DAS (polizia politica) portano a termine numerose detenzioni spesso senza l'autorizzazione della magistratura; l'accusa è sempre la stessa, e cioè essere collaboratori o membri attivi delle organizzazioni guerrigliere.

Di fronte alla mancanza di prove, molti detenuti sono torturati affinché riconoscano e "confessino i propri delitti". Molte prigioniere politiche escono per partorire in un ospedale e tornano in carcere con i neonati, che devono condividere la prigione con le madri nelle condizioni igieniche e climatiche più avverse.

Le condizioni sanitarie in cui vivono i prigionieri sono subumane: spesso i detenuti muoiono in carcere per mancanza di assistenza medica, e a molti malati terminali si nega il diritto alle cure ed alle terapie.

Le condizioni di sovraffollamento rappresentano un tormento terribile per i detenuti; nella maggior parte dei casi le carceri contengono un numero di detenuti 5 o 6 volte superiore alla loro capienza (+500%). A titolo di confronto si consideri che in Italia, che patisce una grave situazione di sovraffollamento carcerario, i numeri parlano di 64.000 detenuti circa contro una capienza prevista di 43.000 persone, con un aumento percentuale (comunque grave) di circa il 50%.

Anche le condizioni climatiche sono terribili; molte carceri sono costruite in regioni dove la temperatura scende sotto lo zero e i detenuti devono lavarsi con acqua fredda; queste carceri non dispongono di un sistema di riscaldamento. Dove invece la temperatura arriva oltre i 30-34 C°, senza alcun sistema di ventilazione, con la poca acqua a disposizione il già menzionato sovraffollamento rende la vita semplicemente impossibile.

Gli oppositori sociali e politici al regime fascista colombiano, quando non sono freddati da sicari paramilitari e dall'esercito, finiscono in posti come quelli descritti; i massimi dirigenti politici al governo del paese, il narco-presidente Uribe in testa, colpevoli di delitti quali il terrorismo di stato, il narcotraffico internazionale, l'ingerenza nei paesi vicini a scopo di destabilizzazione, colpevoli di aver creato, sostenuto e sovvenzionato il paramilitarismo che imperversa nel paese, invece, tengono riunioni nelle lussuose sale istituzionali con i capi della criminalità organizzata, nella complice indifferenza della comunità internazionale.

02/10 - EX MILITARE COLOMBIANO: "ROSALES HA OFFERTO 25 MILIONI DI DOLLARI AL CAPO DEI PARAMILITARI PER ASSASSINARE CHÁVEZ"
La magistratura colombiana è in possesso della testimonianza di un ex militare colombiano condannato per paramilitarismo, secondo il quale l'ex governatore
del dipartimento venezuelano di Zulia, Manuel Rosales, ha partecipato con gli squadroni della morte a un complotto per assassinare il presidente Hugo Chávez .

In una lunga intervista rilasciata al giornale "El Nuevo Herald", l' ex soldato Geovanny Velasquez Zambrano, condannato a 40 anni di carcere per aver partecipato ad una serie di massacri nella regione colombiana del Catatumbo (zona di frontiera col Venezuela), ha dichiarato che Rosales ha partecipato a due riunioni con i paramilitari, il 23 e il 24 dicembre 1999, offrendo 25 milioni di dollari per l'assassinio di Chávez.

I primi dettagli del piano per assassinare il presidente venezuelano erano stati resi noti nell'aprile 2003 quando Rafael García, ex capo della sezione informatica del Dipartimento Amministrativo di Sicurezza della Colombia (DAS), aveva dichiarato che alti funzionari del governo colombiano (compreso l´allora direttore del DAS Jorge Noguera) si erano riuniti per pianificare la destabilizzazione del Venezuela e l'assassinio di diversi leader venezuelani, tra i quali Jesse Chacón Escamillo, Isaías Rodríguez e José Vicente Rangel, all'epoca rispettivamente ministro degli Interni e della Giustizia, Procuratore della Repubblica e vice Presidente.

Un'altra importante testimonianza viene dal maggiore dell esercito colombiano Mauricio Llorente Chávez, condannato per collusione con i paramilitari in 3 massacri nella zona di Catatumbo. Llorente ha dichiarato che il comandante dei paramilitari addestrati per assassinare Chávez era il soldato professionista dell'esercito colombiano José Misael Valero Santa, il quale sarebbe stato in passato sotto il comando dello stesso Llorente e oggi al comando di 1000 dei 2000 paramilitari presenti in Venezuela con il fine di destabilizzare il paese.

Velasquez ha inoltre aggiunto che nella riunione del 23 dicembre Rosales ha dichiarato che a pagare sarebbero stati alcuni uomini statunitensi, ma che lui stesso si sarebbe fatto garante dell'affare.

Per l'ennesima volta vengono portati alla luce i fatti della narco-parapolitica del presidente Uribe e la stretta collusione tra esercito colombiano e paramilitari che, oltre a macchiarsi di orrendi crimini nel conflitto interno, sconfinano con chiare intenzioni destabilizzatrici e di ingerenza attentando alla sovranità del Venezuela, sempre ovviamente sponsorizzate dagli Usa.

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Associazione nazionale Nuova Colombia
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