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Gaza

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(5 Aprile 2013) Enzo Apicella
Dopo una tregua lunga quasi cinque mesi, la notte scorsa l'aviazione israeliana ha nuovamente bombardato la Striscia di Gaza

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Washington, i rischi d’una pace compromessa

(3 Settembre 2010)

Washington

Dei colloqui per la ricerca d’una pace israelo-palestinese basterebbe osservare i presupposti offerti dalle due voci di spicco dell’attuale governo israeliano su una delle questioni più spinose – Gerusalemme – per comprendere come essi, già nella fase iniziale, si presentino sbilanciati. Il ministro della difesa Barak, esponente d’un partito laburista fortemente ridimensionato dalle elezioni del 2009 ma senza il cui appoggio Netanyahu non avrebbe potuto formare la coalizione che lo sostiene, ha pubblicamente affermato che la parte Est della città dovrebbe essere frazionata fra un’area ebraica (dodici rioni) e una palestinese. Alla città vecchia, impreziosita dai luoghi santi del culto delle tre religioni monoteiste, verrebbe riservato un regime particolare e concordato. La forbice delle posizioni israeliane pone sul fronte opposto le tesi che legano indissolubilmente la politica del premier alla composita famiglia dell’ultradestra con gli immigrati russi supporter di Lieberman, gli ortodossi di governo dello Shas e quelli estremi dei “rabbini dell’odio” che controllano gli insediamenti al di là di quel che Knesset e governo dicano di fare. Sebbene la loro illegalità sia poi stata negli anni legalizzata proprio dagli organi istituzionali del Paese. Una nazione che vira sempre più verso l’essenza di Stato di ebrei, introducendo non solamente l’apartheid d’una sicurezza” all’ombra di Muro ed esercito, ma che lo consolida attraverso la discriminazione degli arabi d’Israele di cui tutta la destra vorrebbe disfarsi. Per tacere della smania di chiusura dei confini ad altre etnie.

Allora l’Abu Mazen costretto al tavolo della scommessa di queste trattative da ultima spiaggia potrà discutere, e teoricamente patteggiare, solo ciò che su Gerusalemme o altro chi gli stringe la mano ha già aprioristicamente deciso. Ad esempio non ha chance la richiesta che i palestinesi e il fronte arabo, anche i Paesi più moderati, auspicherebbero come presupposto irrinunciabile per accordi futuri: una Gerusalemme demilitarizzata dall’occupazione del 1967. Restituita una parte al culto d’ogni religione presente in loco e a Est capitale di quello Stato Autonomo di Palestina solo promesso dagli accordi di Oslo e mai attuato dopo. Anzi dell’Al Qods musulmana sempre meno c’è stato sentore in questi anni di scontri e violenze perpetrati sì da entrambi i contendenti, ma con forze impari, visto che Israele possiede uno degli eserciti più tecnologicamente dotati del globo mentre Fatah e Hamas non hanno truppe ma solo miliziani. Da decenni la ricaduta di gran parte del conflitto è a senso unico, colpendo l’incolumità e la dignità del popolo palestinese. La rinnovata politica del fatto compiuto che fu di Gurion, della Meir, di Begin, Sharon e pure del Rabin stipulatore di accordi col nemico che gli costarono la vita ma non rispettati da lui stesso, questa prassi ha sparso sale su ogni terreno di trattativa. Prima di soffocare nel sangue e disperdere il sogno del riscatto d’un popolo e della sicurezza d’un altro tale sciagurata strategia ha lacerato l’autorevolezza della diplomazia facendo precedere patti traditi al sangue e ai lutti sparsi con scientifica periodicità dalla forza delle armi di Tsahal.

La tragica forbice che fra sorrisi di circostanza Netanyahu e la mediatrice di parte Clinton ripropongono a un leader privo di leadership, carisma e suffragio popolare produrrà scelte tampone anche per gli altrettanto ostici temi che seguiranno. Profughi, frontiere, sicurezza, acqua. Come per la descritta condizione di Gerusalemme ciò che Israele va a chiedere all’interlocutore non sarà il confronto su reciproche proposte autonome bensì un’eventuale scelta fra opzioni preconfezionate nella casa del più forte. A ben poco serviranno appelli alla buona volontà e a un’auspicabile convivenza fra popoli se uno dei due soggetti continua a vedersi abbattere abitazioni, affamare i figli, distruggere corpi e speranze. La realtà di Israele, dei Territori Occupati chiamati Cisgiordania, della Striscia di Gaza trasformata in prigione non è quella che può ritrovare negli agi della propria vita privata la coppia ebreo-palestinse degli artisti Schnabel-Jebreal. Il loro film “Miral”, lanciato in concomitanza col tam tam mediatico sul summit statunitense, racconta una parte di quel che è accaduto nel tempo, ma l’oggi e soprattutto il domani possono esistere non coi buoni propositi ma con fatti concreti. ‘Due Stati per due popoli’ progetto auspicabile è stato tradito e distrutto da parecchio tempo anche da chi siede all’attuale tavolo di Washington e l’apertura di quest’ultimo tentativo sembra deridere una flebile speranza. Rischiando d’essere l’ennesima truffa per milioni di vite e per la Storia.

Enrico Campofreda

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