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Accordo con fatah, hamas si spacca

Esplodono le divisioni interne al partito dopo l’accordo di Doha: il politburo schierato contro il leader Meshal e la riconciliazione con Abbas. Il premier Haniyah vola a Teheran per rinsaldare i rapporti con l’Iran, messi in crisi dall’avvicinamento di Meshal a Qatar e Turchia.

(13 Febbraio 2012)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in nena-news.globalist.it

Accordo con fatah, hamas si spacca

foto: nena-news.globalist.it

EMMA MANCINI

Beit Sahour (Cisgiordania), 13 febbraio 2012, Nena News (nella foto, Abbas e Meshal al momento della firma dell’accordo in Qatar) – I “ribelli” di Hamas non ci stanno: la rottura interna al partito islamista contro l’accordo di riconciliazione con Fatah firmato da Khaled Meshal in Qatar si fa sempre più concreta. I leader di Hamas nella Striscia di Gaza si schierano compatti contro il capo del partito, mentre il premier Ismail Haniyah vola a Teheran per rinsaldare le relazioni con l’Iran.

L’accordo di Doha della scorsa settimana tra Meshal e il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas si è concluso con la decisione di investire Abu Mazen del ruolo di primo ministro ad interim del governo di unità nazionale, con il compito di guidare i Territori alle elezioni presidenziali e legislative del prossimo maggio. Una scelta dettata dal timore che un esecutivo con Hamas preponderante potesse spaventare i poteri occidentali e i loro aiuti finanziari da centinaia di milioni di dollari l’anno.

Ma vertici e base di Hamas non paiono dello stesso avviso: tirare la corda di un accordo non voluto potrebbe provocare una reale rivolta interna, che potrebbe essere appoggiata dai 40mila membri della forza di sicurezza a Gaza, per lo più sostenitori attivi del partito islamista. Sabato Mahmoud Zahar, uomo forte di Hamas a Gaza, ha accusato Meshal di non aver consultato nessuno degli altri leader del movimento prima di firmare l’accordo, chiedendo al Consiglio della Shura del partito di bloccarlo: secondo il politburo di Hamas, un simile accordo non può che essere considerato “illegale, sbagliato e strategicamente inaccettabile” perché Abbas non può rivestire il doppio ruolo di presidente e primo ministro.

“Si è aperta una crisi reale sull’accordo di Doha – ha detto Zahar all’agenzia stampa egiziana MENA – e un simile problema va risolto all’interno delle istituzioni del movimento”. Resta da capire se tale crisi sia da imputare al timore di Hamas di perdere lo strapotere costruito negli ultimi sei anni nella Striscia di Gaza o piuttosto alla paura di indietreggiare sulle proprie posizioni politiche. Molte delle scelte compiute da Meshal e la sua diversa visione ideologica rispetto a quella dei Fratelli Musulmani (di cui Hamas è il braccio palestinese) hanno portato il partito a perseguire strade nuove, quali la possibilità di accettare i confini del 1967 e la volontà di trasformare Hamas in movimento nonviolento ed esclusivamente politico, ripulito dalle milizie armate.

A far storcere il naso ai leader di Hamas anche la lentezza con cui Fatah sta implementando l’accordo di riconciliazione: dopo la promessa di liberare i prigionieri politici islamisti incarcerati in Cisgiordania, Fatah ne ha rilasciati pochissimi. E, dall’altra parte, Abbas frena sulla formazione del governo di unità: i suoi nuovi membri saranno scelti solo una volta che la data delle elezioni sarà certa. Certezza traballante, soprattutto a Gaza e a Gerusalemme Est.

Ieri Ismail al-Ashkar, capo del gruppo dei legislatori di Hamas, ha accusato Fatah di non aver mantenuto le promesse fatte in merito alle misure previste per l’implementazione dell’accordo. “Perché la riconciliazione funzioni, dobbiamo migliorarla. Se le elezioni devono tenersi con tutti i nostri cronici e complessi problemi, come possiamo pensare che il voto sia trasparente e giusto?”.

A smuovere le acque del partito, è intervenuto ieri un altro attore strategico: l’Iran. Il premier di Hamas Ismail Haniyah in visita a Teheran ha incontrato l’ayatollah Ali Khamenei che ha chiaramente e caldamente invitato il partito islamista a proseguire la lotta contro lo stato sionista, mostrando scarso entusiasmo per l’accordo di Doha.

A dimostrazione delle divisioni che stanno spaccando il partito c’è proprio la scelta di Haniyah di accettare l’invito del presidente Ahmadinejad per il 33esimo anniversario della Rivoluzione Islamica. Dopo aver lasciato Damasco, aver trasferito gli uffici del partito in Giordania e aver optato per un ruolo defilato in merito alla crisi siriana, l’Hamas di Meshal pare aver compiuto una scelta di campo: quando l’Iran chiese apertamente ad Hamas di esprimere sostegno e solidarietà al regime di Bashar al-Assad, Meshal ha preferito glissare, optando per un nuovo avvicinamento ai sunniti Qatar, Turchia e allo stesso Abbas.

Una scelta non condivisa dal resto dei leader del partito che continuano a guardare a Teheran e Damasco e sentono forte l’appartenenza alla compagine dei Fratelli Musulmani. Non solo per ragioni ideologiche: a Gaza le entrate finanziarie di cui gode il partito provengono per lo più da aiuti esterni. Tra i principali donatori l’Iran di Ahmadinejad. Nena News

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